laR+ IL COMMENTO

La rappresaglia e i dilemmi di Putin

Dopo l’attentato al ‘Crocus’, il presidente russo sceglie il bersaglio più facile: l’Ucraina. Perché ne va anche degli equilibri interni della Federazione

In sintesi:
  • L’apertura di un fronte anti-islamico è un grande rischio per la Russia
  • Dalle Repubbliche a maggioranza o forte componente musulmana provengono molti giovani inviati come carne da macello sul fronte ucraino
Putin ha fatto la voce grossa, poi ha messo la sordina alle accuse sparate su Kiev
(Keystone)
25 marzo 2024
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Prevedibile. Anzi, scontato. Mandanti o partecipi della carneficina di Mosca sono i ‘neljud’, i ‘non umani’ ucraini, come da due anni vengono chiamati in Russia. Saranno loro a pagare più pesantemente la rabbia, la ritorsione, anche la paura innescate dalla strage nel feroce assalto al gremito mega anfiteatro ‘Crocus’ a nord della capitale. Putin lo ha sostanzialmente annunciato già venti ore dopo l’attacco (Kiev ha «offerto una finestra» ai terroristi per entrare nella Federazione); il giornale indipendente ‘Meduza’ ha rivelato che ai media statali (dunque quasi tutti) è stato ordinato di non insistere sulla matrice islamica bensì “sulla pista ucraina”; e la polizia ha riferito che il quartetto del commando già arrestato durante la fuga era diretto a sud-ovest, quindi verso i confini del Paese ‘invaso’ nel febbraio 2022 e da ‘denazificare’. Il Cremlino si è invece limitato all’essenziale sull’autentificata (filmati, foto, nomi) rivendicazione jihadista dell’Isis. Lo ‘zar’ si è presto fissato sulla scelta più facile. In definitiva l’unica subito percorribile.

L’apertura di un fronte anti-islamico (di un islam combattente) è infatti un grande rischio per la Russia. Come stanare i terroristi nella vastità del Caucaso musulmano, e mentre sei già impegnato in una guerra europea lungo le tue frontiere. Come riuscire a stanare leader e manovalanza dell’Isis-K nei loro santuari in Afghanistan, dove non è affatto dimenticata l’invasione russo-sovietica del 1979 (preambolo all’implosione dell’Urss). Come farlo senza riallargare la faglia fra Mosca alleata dell’Iran teocratico e tuttavia invisa alla parte del mondo islamico radicale sunnita, ancora memore della disumana repressione denunciata da Anna Politkovskaja (per questo assassinata) nella Cecenia musulmana ribelle e accusata, spesso in modo ambiguo, di quasi tutti gli attentati nella Russia dei primi anni Novanta. Ancora: insieme alla Cina, il ‘Sud globale’, nuova disordinata piattaforma su cui punta il Cremlino, stavolta potrebbe anche non apprezzare.

Infine, e comunque prioritario il vero dilemma politico: procedere alla replica militare anti-islamista, ma soprattutto con quali rischi per la tenuta degli equilibri interni della stessa Federazione russa, che ha Repubbliche a maggioranza o forte componente musulmana, le più periferiche e povere del Paese, da cui molti giovani sono stati inviati come carne da macello sul fronte ucraino, quindi materiale infiammabile. Cogliendo esattamente questo punto esiziale, sabato Putin ha promesso (anche al suo potere): “Non permetteremo a nessuno di distruggere la multi-etnicità della Federazione”.

Quindi, che Ucraina sia. Senza nessuna prova, o anche vero indizio, di colpevolezza. In realtà Putin sceglie per la vendetta il bersaglio più facile: condiviso e popolare sul fronte interno; e abbastanza ‘comodo’ militarmente viste le attuali debolezze militari del nemico. Escalation garantita, anche se nelle ultime ore un po’ di sordina Mosca l’ha messa alle accuse sparate su Kiev. Infatti, Putin sa che un eccesso di reazione potrebbe aiutare l’Occidente a ricompattarsi e la Nato a trovare ‘le armi della sopravvivenza’ invocate da Zelensky.

Perciò, partita aperta. Ed esiti ancora imperscrutabili.