laR+ Sportellate

Dani Alves, i trapper e il portavoce del Cio

Si continua a sentir dire che sport e politica dovrebbero restare separati, ma in realtà non lo sono mai stati e mai lo saranno

21 marzo 2024
|

Stare al mondo non sarà sempre tutto rose e fiori, ok, ma intanto è l’unico mestiere praticabile, e poi è comunque vero che non ci si annoia mai. A tenerci all’erta, fra molte altre cose, sono pure i dispacci d’agenzia che provvedono ad aggiornarci su quanto accade attorno a noi. Per quanto attiene allo sport, due sono le notizie che oggi tengono banco.

La prima – che a ben vedere con l’agonismo ha davvero poco da spartire – viene da Barcellona e ci racconta che Dani Alves, ex calciatore blaugrana e uno dei giocatori più vincenti, non sarà costretto a scontare in carcere la totalità della pena (quattro anni e mezzo) a cui è stato di recente condannato per stupro: la Giustizia, infatti, lo ha liberato dei ferri e gli ha concesso, in attesa della sentenza definitiva, di tornare a fare la sua vita in cambio di una cauzione da 1 milione di euro, che per lui, si sa, sono bruscolini.

Ma il problema, ovviamente, non sta nel tenore della cifra fissata dal tribunale: la sua liberazione sarebbe stata scandalosa anche se avesse dovuto versare un fantastiliardo, perché in gioco infatti c’è qualcosa di valore inestimabile, e cioè il principio. La Spagna, Paese che negli ultimi decenni si era distinto per politiche sociali piuttosto all’avanguardia, con questa decisione è come se effettuasse un salto triplo verso quel passato da cui pareva essersi invece affrancata. Perché in pratica, così agendo, ha sancito – e riaffermato – che la legge non è poi davvero uguale per tutti. Chi è ricco, infatti, in gattabuia ci resta sempre meno di chi è povero, quasi come ai tempi in cui i nobili potevano commettere qualsiasi nefandezza – compresi gli assassinii – a patto che potessero poi lavarsi fedina, coscienza e reputazione pagando in moneta sonante quanto stabilito, per ogni delitto, dai codici che loro stessi avevano in precedenza stilato. A danno, naturalmente, di un sacco di cose, ma soprattutto delle vittime – e della stessa legge – che in questo modo perde un bel po’ della sua credibilità.

Senza contare il pericolo che casi simili possano diventare il modello – distorto – a cui qualcuno potrebbe pensare di conformarsi. C’è infatti il rischio che, fra non molto, qualche trapper minchione (scusate il pleonasmo, che lascio soltanto per arrivare perfettamente alla fine della colonna) nelle sue ispirate rime venga a raccontarci vantandosi che, siccome ha guadagnato un monte di grana, può finalmente permettersi un paio di stupri semi-legali all’anno.

La seconda perla di giornata giunge invece, con doppia firma, da Cio e Russia, che hanno deciso di lanciarsi in reciproche accuse di discriminazione. In seguito alla decisione del governo olimpico di vietare agli atleti russi e bielorussi – oltre che di partecipare sotto le loro bandiere nazionali ai prossimi Giochi di Parigi – anche di sfilare insieme a tutti gli altri il giorno della cerimonia inaugurale del 26 luglio, Mosca ha definito l’atteggiamento del presidente del Cio Thomas Bach razzista e neonazista.

Il tedesco nemmeno ha reagito, affidando la risposta al portavoce ufficiale dell’istanza sportiva mondiale Mark Adams, il quale ha detto che le affermazioni del Cremlino superano di molto ciò che è accettabile. E ha tenuto a precisare che i Giochi dell’Amicizia, che la Russia intende organizzare in settembre come contro-Olimpiadi, sono da condannare perché politicizzerebbero lo sport.

Ora, sostenere che lo sport sia qualcosa di avulso dalla politica è un’amenità che potremmo sentir dire dalle anime belle, idealiste e digiune di entrambe le discipline, ma suona davvero strano che a pronunciare queste parole sia proprio il Cio, cioè l’organismo planetario – insieme alla Fifa – che in assoluto presenta il maggior numero di compromissioni con la politica. Politica e sport hanno sempre viaggiato a braccetto, fin dalla notte dei tempi, partendo dall’antichità, passando per Hitler e arrivando infine alla Cina e alla Russia dei giorni nostri, che se di recente hanno organizzato colossali kermesse muscolari non è stato certo per slancio decoubertiniano, ma per recapitare al mondo messaggi inequivocabili sulla loro potenza.