laR+ Sedici Euro

Nelle tenebre, un inatteso lampo di luce e genialità

Nel 1976 a risolvere la quinta edizione del torneo continentale fu un rigore calciato a cucchiaio dal (fin lì) semisconosciuto boemo Antonin Panenka

In sintesi:
  • La quinta edizione degli Europei, l'ultima con fase finale a sole 4 squadre, fu vinta a sorpresa dalla Cecoslovacchia
  • A segnare il rigore decisivo nella finale contro la Germania occidentale fu Antonin Panenka, con un cucchiaio che beffò il leggendario Sepp Maier
  • Tutte e quattro le partite del torneo, giocato nell'allora Jugoslavia, ebbero bisogno dei tempi supplementari (record)
13 marzo 2024
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Nei primi mesi dell’ormai 1976 c’era la sensazione, almeno all’apparenza, di aver raggiunto quel futuro di cui tanto a lungo s’era parlato e che con enorme impegno, nei decenni precedenti, s’era cercato di immaginare. Il Concorde – primo aereo a superare la velocità del suono – aveva da poco effettuato infatti il suo primo volo commerciale, i giovani Steve Jobs e Steve Wozniak avevano fondato Apple Computer e la sonda statunitense Viking 1 era entrata in orbita attorno a Marte, pianeta sul quale sarebbe riuscita a fare atterrare, poche settimane più tardi, il suo Lander. Pareva dunque, davvero, di essere penetrati in una nuova era, fatta di tecnologie portentose e sfide affascinanti che avrebbero reso l’umanità migliore, la vita meno dura e le storture e le ingiustizie della storia ormai soltanto un ricordo. Si trattava però purtroppo di mera illusione, perché sarebbe bastato guardarsi un po’ attorno per rendersi conto che il mondo, in realtà, marciava a passo di gambero.

Nella vicina Italia, infatti, nello stesso periodo la Corte di cassazione – come fosse l’Inquisizione – condannava ‘Ultimo tango a Parigi’ di Bernardo Bertolucci, ne vietava la proiezione e ordinava il rogo di tutte le copie del film. Nella lontana America, invece, diversi Stati fra cui Texas, Florida e Georgia reintroducevano la pena di morte, mentre nell’ancor più remota Argentina un golpe destituiva Isabelita Peron e consegnava il potere al generale Videla e ai suoi compagni di merende, che misero in piedi una delle peggiori dittature che si ricordino. E non è che a Soweto le cose andassero poi troppo bene: le proteste degli studenti neri contro l’introduzione della lingua afrikaans erano sfociate in una repressione che provocò centinaia di morti.

Questo era dunque il contesto storico in cui si inseriva la quinta edizione del Campionato europeo di calcio, la cui fase finale andò in scena in Jugoslavia e al quale presero parte, oltre ai padroni di casa, anche olandesi, tedeschi occidentali e la cenerentola Cecoslovacchia, autentica underdog che davvero non poteva vantare speranze di vittoria. La Germania Ovest – campione continentale e mondiale in carica – partiva da grande favorita, essendo in gran parte formata dai giocatori del Bayern che da tre anni sulla Coppa dei campioni: parliamo di pezzi grossi come Sepp Maier, Schwarzenbeck, Beckenbauer e Gerd Müller.

Ugualmente tenuta in enorme considerazione da chi stilava pronostici era l’Olanda, Paese fino a pochi anni prima del tutto privo di tradizione pallonara, ma di recente divenuto punto di riferimento per essersi inventato un gioco estremamente rivoluzionario e capace di unire l’estetica all’efficacia: non a caso l’Ajax, il club più rappresentativo, aveva dominato le Coppe continentali giusto prima che il testimone passasse ai bavaresi. Senza dimenticare che all’ultima Coppa del mondo era giunta in finale, e altrettanto avrebbero fatto due anni più tardi. E anche qui bastano pochi nomi per suffragare le previsioni di giornalisti e allibratori, che ritenevano gli Oranje forse ancor più papabili dei tedeschi per la conquista del titolo: Suurbier, Krol, Neeskens, Rep, Cruyff e Rensenbrink, tanto per gradire.

Da tenere d’occhio, ovvio, c’era anche la Nazionale jugoslava: prima di tutto perché giocava in casa – e sperava di trionfare davanti ai propri tifosi come avevano fatto Spagna (1964) e Italia (1968) – e poi perché in rosa aveva davvero grandi giocatori: Petrovic, Surjak, la bandiera Oblak, la stella Dzajic e soprattutto Jurica Jerkovic, straordinario numero 10 che poi giocò a lungo in Svizzera, dove fu tre volte votato miglior straniero del campionato, dapprima a Zurigo e infine a Lugano.

I soli a non godere di alcuna considerazione alla vigilia del torneo erano cechi e slovacchi, all’epoca ancora riuniti sotto una sola bandiera. Colpa dei nomi non certo altisonanti, o addirittura sconosciuti, di cui era composta la rosa selezionata da Vaclav Jezek, pure lui fin lì un autentico carneade. Eppure quella squadra qualcosa doveva pur valere, dato che nel proprio girone di qualificazione aveva preceduto Inghilterra e Portogallo e che poi, ai quarti di finale (andata e ritorno), aveva fatto fuori l’Urss con un complessivo 4-2.

Le partite

E infatti, la prima sorpresa del torneo 1976 fu firmata proprio dalla Cecoslovacchia, che nella gara inaugurale riuscì a superare 3-1 gli olandesi, evangelisti del calcio totale e di una nuova mentalità che li aveva indotti – infrangendo un tabù granitico – a presentarsi in ritiro portandosi appresso mogli e fidanzate. Al gol del vantaggio cecoslovacco, firmato da Ondrus al 19’, aveva risposto lo stesso… Ondrus, che a una dozzina di minuti dal termine infilò maldestramente il pallone nella propria porta (all’incrocio dei pali!), consentendo ai Paesi Bassi di andare almeno ai tempi supplementari, dove comunque poi crollarono sotto i colpi di Nehoda e Vesely. I Tulipani peccarono di presunzione, sottovalutarono gli avversari e, giustamente, la presero in saccoccia.

Con un clamoroso colpo di scena stava per chiudersi pure l’altra semifinale, che metteva di fronte tedeschi occidentali e Jugoslavia. Doppiamente in vantaggio con Popivoda e Dzajic già al 30’, i padroni di casa si fecero scelleratamente raggiungere nel quarto d’ora conclusivo, e nei prolungamenti si fecero infilare due volte da Müller. Ma non parliamo del grande Gerd – che aveva detto addio alla Mannschaft a soli 28 anni dopo la conquista del Mondiale casalingo del 1974 – bensì di Dieter, 22enne punta del Colonia entrata in campo in campo soltanto all’80’.

A disputarsi la medaglia di bronzo furono due squadre deluse all’inverosimile: Olanda e Jugoslavia. Il mancato accesso alla finalissima indusse la gente a snobbare la gara di consolazione, a cui assistettero soltanto 6mila spettatori. Secondo qualcuno, però, non fu solo il disappunto a indurre i croati a disertare lo stadio Maksimir di Zagabria. La scarsa affluenza sarebbe infatti da leggere come un messaggio politico: la Nazionale era probabilmente considerata come un giocattolo – e una vetrina internazionale – di Belgrado e della Serbia, che nel nord del Paese era vista come una forza occupante da sabotare con ogni mezzo. Si trattò insomma di un prodromo di quanto avverrà una quindicina d’anni più tardi, con la guerra intestina che porterà alla dissoluzione della Jugoslavia.

In campo, agli ordini dell’arbitro svizzero Hugerbühler, la squadra di casa finì per farsi battere di nuovo: dopo il 2-2 al 90’, ci fu al 107’ la risolutiva rete dell’Arancia meccanica, che per un match in fondo inutile nemmeno aveva voluto schierare il divino Cruyff.

E a necessitare dei tempi supplementari – quarta partita su quattro, un record – fu pure la finale vera e propria, a cui però fu aggiunta pure l’appendice della cosiddetta lotteria dei rigori, dato che la parità (2-2) permaneva anche al 120° minuto. Per la prima volta nella storia dei grandi tornei, un trofeo veniva dunque assegnato coi tiri dal dischetto, e fu davvero una sequenza memorabile. Gli outsider cecoslovacchi segnarono i loro primi quattro rigori, mentre Uli Hoeness calciò alle stelle il quarto tentativo dei tedeschi. Se avesse segnato, il baffuto Antonin Panenka – centrocampista dei Bohemians di Praga – avrebbe regalato al suo Paese il più importante successo sportivo della propria storia. E ci riuscì nel modo più inatteso e più spettacolare possibile, andando a scucchiaiare il pallone per superare l’icona Maier col più beffardo dei pallonetti: un lampo di luce e genialità che illuminò il buio in cui la Cecoslovacchia e i suoi abitanti erano in quell’epoca confinati. E in molti Paesi ancora oggi un rigore calciato a quel modo si chiama, molto semplicemente, Panenka.

Questa è la quinta di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagnerà fino alla vigilia di Germania 2024.