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Il dilemma del fotovoltaico, tra bollette e remunerazione

Aet segue il mercato e taglia le tariffe di acquisto dai privati dell’energia in eccesso. ‘Tenerle alte farebbe aumentare i costi finali ai consumatori’

In sintesi:
  • Il direttore Pronini: ‘Lo scorso anno è stato qualcosa di eccezionale’
  • L'economista Ronny Bianchi ha un'altra visione
Gli impianti sono triplicati negli ultimi cinque anni
(Ti-Press)
21 febbraio 2024
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Quattordici centesimi che fanno rumore. Sono il taglio dell’Azienda elettrica ticinese (Aet) alla tariffa – calcolata al kilowattora (kWh) – riconosciuta ai proprietari di pannelli fotovoltaici per l’acquisto dell’energia in eccesso. Dai 22,5 centesimi versati nel 2022 si è scesi agli 8,5 del 2023. Un balzo importante che ha riportato il prezzo in linea con quanto era la norma negli anni precedenti ma che resta inferiore a quello che viene riconosciuto negli altri cantoni, dove difficilmente si scende sotto i 10 centesimi al kWh. Non sono però mancate le critiche, a cominciare dalla politica, visto che sull’arco di un anno la differenza è notevole. Un’interpellanza presentata da Massimo Mobiglia (Verdi liberali) e Matteo Buzzi (Verdi) afferma che questa misura potrebbe rappresentare un disincentivo per i cittadini a investire nel fotovoltaico. Al Consiglio di Stato viene quindi chiesto se non sia il caso di intervenire, ad esempio introducendo una soglia minima per la remunerazione della corrente fotovoltaica in Ticino.

Pronini: ‘Vogliamo pagare di meno o remunerare di più chi produce?’

«La domanda di fondo che ci dobbiamo porre – afferma interpellato dalla ‘Regione’ Roberto Pronini, direttore dell’Azienda elettrica ticinese (Aet) – è questa: vogliamo una bolletta più leggera per tutti o una remunerazione maggiore per chi produce energia fotovoltaica?». Anche perché, prosegue Pronini, «la tariffa per i produttori privati riconosciuta da Aet dipende dai prezzi di mercato. Noi ritiriamo questa energia che non può essere accumulata e la vendiamo direttamente sui mercati all’ingrosso. Il valore di questa energia è calcolato annualmente sulla base di un indice della borsa elettrica svizzera elaborato dall’Ufficio federale dell’energia. Se questa energia venisse remunerata oltre il suo valore di mercato necessiterebbero ricadute su tutta la catena e il consumatore finale dovrebbe pagare un prezzo più alto. Ricordiamoci le reazioni dello scorso anno per l’esplosione dei prezzi dell’energia: una situazione simile non sarebbe sostenibile sul lungo termine, ad esempio, per le industrie».

Rispetto al 2022 la riduzione della tariffa per il 2023 è però stata importante, da 22,5 a 8,5 centesimi al kilowattora. «Vero, ma lo scorso anno è stato eccezionale. Un valore fuori dalla media», risponde il direttore di Aet. «Le grosse differenze degli ultimi tre anni sono dovute a variazioni del mercato che non si erano mai viste. Se nel periodo 2015-2020 abbiamo avuto una certa stabilità, con differenze di pochi centesimi, nei tre anni successivi abbiamo vissuto oscillazioni fuori dalla norma. Il crollo delle tariffe deriva da qui. Va comunque detto – aggiunge Pronini – che quello del 2023 è il terzo prezzo più alto dal 2015». Proprio per contrastare l’instabilità c’è chi ha proposto, attraverso un’interpellanza inoltrata al Consiglio di Stato, di fissare una soglia minima per le tariffe. Indicativamente intorno al 10-12 centesimi al kWh. Risponde il direttore dell’Azienda elettrica ticinese: «Se si fissa una soglia minima al di sopra del valore di mercato qualcuno si vedrà fatturare il maggior costo. E paradossalmente questo peserà su chi non ha un impianto fotovoltaico a casa. Quindi andranno probabilmente a pagare di più gli inquilini di appartamenti. È un problema di redistribuzione – aggiunge Pronini –, se si paga di più l’energia fotovoltaica, qualcuno dovrà coprire la differenza. E le possibilità non sono molte: lo Stato o il consumatore finale». In altri cantoni, però, il prezzo che verrà riconosciuto ai produttori privati per il 2023 è più alto di quello ticinese. A Zurigo, ad esempio, la città paga 14,54 centesimi al kWh, mentre il cantone si ferma a 10,9. «Dove ci sono dei prezzi più alti è perché, di regola, ci sono dei clienti vincolati. Questa energia viene ritirata a un prezzo più alto perché il cliente a cui viene venduta non può scegliere da chi acquistarla. In alcune città d’oltralpe, che hanno fatto una scelta più ‘verde’, questa energia viene rivenduta a tariffe più alte. Da noi si è fatta la scelta di prestare maggiore attenzione ai prezzi, che sono più bassi sia all’acquisto che alla vendita al cliente», risponde Pronini. Restando all’esempio di Zurigo: «Lì ci sono più tasse e contributi pubblici, oltre a una grossa base di nucleare e di idroelettrico. Questo mix permette di riconoscere ai produttori privati una tariffa più alta di quella ticinese, senza incidere eccessivamente sul prezzo medio».

‘È un investimento che resta conveniente’

A proposito dei prezzi riconosciuti ai produttori privati. Una critica che spesso si muove ad Aet è la differenza tra la tariffa con la quale si acquista ai privati – 8,5 centesimi al kWh per l’energia fotovoltaica nel 2023 – e quella con la quale si rivende alle economie domestiche, quest’anno intorno ai 20-25 centesimi. «Va però ricordato che in questa differenza ci sono anche il costo della rete e le tasse. Il prezzo finale è composto per circa il 45% dall’energia, per il 40% dall’utilizzo della rete e per il restante 15% da tasse e tributi. E qui si spiega anche la differenza tra cantoni citata in precedenza». Ma non c’è il rischio che con una tariffa più bassa si disincentivi a investire in un settore virtuoso come quello fotovoltaico? «No, lo dicono i numeri che mostrano come gli impianti siano aumentati. Negli ultimi anni abbiamo avuto una forte crescita. 1’860 impianti in più in Ticino nel 2022 e oltre 2’800 nel 2023. Il loro numero è triplicato negli ultimi cinque anni e la tendenza è in crescita. Ricordiamo che per un privato la rivendita dell’energia fotovoltaica in eccesso deve servire ad ammortizzare l’investimento, non a creare un guadagno». E qui si torna ai 22 centesimi al kWh dello scorso anno. «Se negli anni fosse rimasta quella cifra, che permette di recuperare l’investimento in tempi relativamente brevi, si sarebbe probabilmente dovuto rivedere anche il sistema di incentivi cantonali, non più necessari». Pronini spiega come «già con le tariffe ‘normali’ si riesce oggi ad ammortizzare l’investimento in un tempo inferiore alla vita dell’impianto, che è di circa 30 anni». A proposito del prezzo di vendita della componente “energia” in bolletta – che in Ticino è mediamente intorno ai 14,7 centesimi al kWh – il direttore Aet afferma: «Bisogna infine distinguere il valore dell’energia solare, prevalentemente estiva e diurna, da quello dell’energia notturna e invernale. Il primo tende a diminuire con il crescere dell’offerta, mentre il secondo sarà sempre più alto in virtù del fatto che la minore disponibilità dev’essere compensata con acquisti dall’estero. I prezzi variano anche in funzione della stagione. L’energia fotovoltaica è per il 70% energia estiva e per il 30% energia invernale, mentre il consumatore tipo consuma il 60% durante l’inverno e il 40% durante il resto dell’anno. Il picco di offerta del fotovoltaico non coincide quindi con quello della domanda: il consumatore finale necessita di energia 24 ore al giorno su tutto l’anno, non solo quando splende il sole».

L’ospite

Azienda elettrica, qualcosa non va

di Ronny Bianchi, economista

15,56 centesimi al kilowattora è il prezzo dell’energia fotovoltaica immessa in rete pagata dal Groupe E nel 2023; 18,60 da Romande Energie, 16,44 da Sig, l’azienda di servizi industriali della città di Ginevra; la Città di Zurigo paga 14,54 centesimi. In Ticino? L’Aet per il 2023 ha stabilito 8,5 centesimi, in base al Regolamento per le energie rinnovabili (vedi anche intervista a lato). Tuttavia, come ha giustamente sottolineato Mario Poggi, in una lettera a questo quotidiano mercoledì 14 febbraio, ha tutta l’aria di essere una presa per i fondelli. Sia a livello nazionale, sia a livello cantonale, lo Stato promuove da anni le fonti rinnovabili con incentivi economici. Nonostante questo, coloro che sono animati da buone intenzioni si scontrano con la realtà che è quella di un investimento non propriamente redditizio, perlomeno in Ticino. Per il 2022 Aet ha pagato circa 22 centesimi, facendo intravvedere prospettive interessanti, ma è stato solo un fuoco di paglia perché negli anni precedenti ha spesso rimborsato al di sotto dei 10 centesimi.

Durante lo scorso anno molti installatori hanno promosso il fotovoltaico puntando proprio sulla remunerazione stuzzicante dell’elettricità immessa in rete. Molti ventilavano un prezzo attorno ai 20 centesimi per diversi anni. La realtà, però, è ben diversa. Un impianto fotovoltaico diventa interessante solo con una remunerazione stabile tra i 12 e 15 centesimi al kWh. In questo modo è possibile ammortizzare l’impianto in circa 10-15 anni. Naturalmente molto dipende dalla percentuale dell’autoconsumo, ma i tempi sono questi. Va poi calcolato che nel frattempo è necessario cambiare l’inverter, cioè il sistema che gestisce i flussi di energia. Ma perché in Ticino la remunerazione del fotovoltaico è così bassa, mentre altre realtà svizzere hanno una politica diversa? Un fatto sembra assodato: esiste una divergenza tra quanto vorrebbe la politica (e i cittadini) e quanto hanno in mente le direttive applicate da Aet o dalle aziende distributrici. A tal proposito ricordo che al momento della richiesta di costruzione si può decidere se vendere l’energia in eccesso al fornitore locale a un prezzo leggermente più elevato – rinunciando a parte degli aiuti – o se vendere ad Aet. In altre parole: a chi si occupa di energie il fotovoltaico sembra più che altro un fastidio, un problema in più.

Senza una chiara e corretta remunerazione lo sviluppo del fotovoltaico rimarrà sempre di nicchia – attorno al 5% in Ticino e al 7% a livello nazionale – mentre le potenzialità sono enormi anche senza necessariamente ricorrere ai grandi impianti in montagna che, ancora una volta, andrebbero in mano ai grandi investitori.

Faccio un esempio concreto e reale: un giovane contadino vorrebbe istallare un impianto di circa 200 kW di potenza sul tetto della sua stalla con l’idea, giusta, di diversificare le sue entrate sul medio lungo periodo. In questo caso gli aiuti sono consistenti ma la quota a suo carico non è indifferente: circa 150mila franchi. Trovandosi fuori dall’abitato deve però allacciarsi alla rete con un cablaggio speciale, non si può infatti appoggiare alla rete normale, quella delle economie domestiche, perché la sua produzione non sarebbe sopportata. Il giovane contadino, come primo tentativo, chiede di allacciarsi alla vicina centrale Ofible che però non può acquistare energie fotovoltaica. Non è infatti un distributore finale (!). Allora si rivolge alla Società elettrica sopracenerina (Ses), il fornitore locale, che gli chiede 90mila franchi per una rete adeguata di 350 metri. Risultato: verosimilmente l’impianto non si farà. In questo caso basterebbe una legge che obblighi gli attori presenti sul territorio ad agganciare tutti gli impianti sopra una certa potenza. I costi certamente inferiori ai grandi impianti in altitudine.

‘La politica intervenga’

Ora guardiamo brevemente l’altra faccia della medaglia, ovvero il costo dell’energia pagata da un’abitazione privata. L’esempio è una casa di 5 locali con un consumo annuo di 4’500 kW. Per quanto riguarda la Ses: dai circa 24 centesimi negli anni tra il 2020 e il 2022, la tariffa è passata a 34,9 del 2024. Per i clienti delle Aziende multiservizi Bellinzona (Amb) – una società, per inciso, che l’attuale direttore del Cda di Ses voleva privatizzare – i prezzi sono passati da circa 19 centesimi agli attuali 27,34. Una differenza di 7,5 centesimi, mica noccioline. Ad Airolo la differenza è addirittura di dieci centesimi. Nessuna di queste società opera in perdita. Ma allora perché ci sono queste differenze? La spiegazione più probabile è che i costi di gestione siano differenti, ma un qualche dubbio rimane. Non sarà che bisogna remunerare gli azionisti, che quando si tratta di enti pubblici si accontentano di una cosa congrua e quando si tratta di azionisti privati la remunerazione deve essere elevata? E come faranno i consumatori di alcuni comuni a far pagare il kWh poco più di 10 centesimi? Semplice, perché sono aziende pubbliche, che sovente sfruttano – loro e non i grandi investitori – le proprie acque. Quindi la conclusione è in linea con quella del signor Poggi: ci prendono le nostre acque, ci fanno pagare la corrente a prezzi altissimi e quando decidiamo di voler contribuire alla produzione di energia rinnovabile e pulita rendono la vita difficile ai piccoli produttori. Evidentemente qualcosa non va. A questo punto è auspicabile che la politica intervenga con decisione.