laR+ IL COMMENTO

Svizzera 2030, quando la distopia diventa prospettiva

L’ipotesi di un Paese senza distribuzione giornaliera dei quotidiani e con la Ssr dimezzata richiama i romanzi di Huxley e Orwell

In sintesi:
  • A chi o a cosa potrebbe essere funzionale un indebolimento del panorama mediatico?
  • Un’informazione il più plurale possibile contribuisce al buon funzionamento del sistema democratico
Un popolo meno informato è un popolo più facilmente manipolabile
1 febbraio 2024
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Ipnopedia, bispensiero, neolingua, psicoreato, soma. La distopia ‘Svizzera 2030’, che ipotizza un intero Paese privo della distribuzione giornaliera dei quotidiani in abbonamento e confrontato con un servizio pubblico radiotelevisivo dimezzato, richiama fortemente la terminologia di due grandi classici della letteratura fantascientifica: ‘Il mondo nuovo’ di Aldous Huxley e ‘1984’ di George Orwell.

Ci accorgiamo di essere di fronte a un autentico e grosso problema quando la distopia comincia a trasformarsi in prospettiva. Ciò sta succedendo in questi giorni se si tiene conto delle discussioni e proposte intorno al futuro ruolo della Posta da un lato, e del dibattito che accompagna l’iniziativa per ridurre il canone radio-tv a 200 franchi e relativa controproposta del Consiglio federale per una diminuzione della tassa di ricezione a 300 franchi a partire dal 2029 dall’altro. Due argomenti che convergono da qualche parte e che suscitano parecchia preoccupazione: quella di ritrovarci fra pochi anni sprovvisti di una solida rete che garantisca alla popolazione l’accesso all’informazione.

Tra le proposte di revisione del mandato della Posta che il capo del Datec Albert Rösti avrebbe dovuto portare sul tavolo del governo all’ultima seduta (Rösti che sarebbe stato indotto a fare un passo indietro di fronte a diversi corapporti degli altri consiglieri federali, stando a quanto rivelato dall’Aargauer Zeitung) ci sarebbe l’abolizione della consegna giornaliera delle lettere e presumibilmente anche di quella dei giornali, misura contenuta in un rapporto elaborato da una commissione di esperti nel 2022 e che, come ha ben scritto il collega Bruno Costantini sul Cdt dello scorso 30 gennaio, qualora venisse applicata “ammazzerebbe definitivamente quel che resta dei quotidiani cartacei, salvo poi sciacquarsi la bocca con la solita vuota retorica sui pericoli che corre la democrazia se il panorama dell’informazione s’impoverisce”.

Dovrebbe essere piuttosto assodato che un’informazione il più plurale possibile contribuisce al buon funzionamento del sistema democratico. Ribadirlo tuttavia non nuoce, visto che a quanto pare non è argomento del tutto sufficiente a garantire una minima stabilità a un servizio pubblico svolto anche dai privati.

Sarebbe però opportuno provare anche a fare il ragionamento opposto, ovvero tentare di capire a chi o a cosa potrebbe essere funzionale un indebolimento del panorama mediatico. La questione, pur ideologica che sia per alcuni, non può essere considerata fine a se stessa: un popolo meno informato è un popolo più facilmente manipolabile. Di ciò una certa politica è consapevole e sembrerebbe essere intenzionata a trarne vantaggio.

È qui che tornano in mente, prepotenti, i romanzi futuristici di Huxley e Orwell: una realtà in cui uomini e donne non vengono più educati o informati ma “condizionati” attraverso la ripetizione continua di slogan (Il mondo nuovo); un mondo in cui si rende impossibile concepire un pensiero critico individuale, in cui “la menzogna diventa verità e passa alla storia” e dove i contenuti di libri e giornali vengono continuamente riscritti automaticamente da enormi e complessi macchinari (1984). E pensare che Huxley pubblicò il suo libro nel 1932, mentre Orwell nel 1949…

Il 2030 può sembrare lontano, ma in realtà è dietro l’angolo.