Posti nelle commissioni, relazioni con i colleghi, lobbisti, mondanità: impressioni dei neoparlamentari ticinesi, alla loro prima sessione a Berna
Avevamo omesso il suo nome, nel titolo dell’articolo che la scorsa settimana abbiamo dedicato all’attribuzione dei posti nelle commissioni parlamentari. Poi, nello stesso articolo, ci eravamo limitati a scrivere che “finisce nella Commissione degli affari giuridici (Cag)”. Avevamo buone ragioni – le abbiamo tuttora – per farlo. Così come Simone Gianini ha le sue, di buone ragioni. Per farci notare in tono bonario che la ‘sua’ non è affatto una commissione di serie B; e che sì, è andata “bene” anche a lui, non solo – come riportavamo nel titolo – a Regazzi, Chiesa e Pamini, ‘finiti’ in commissioni considerate più influenti, dove si trattano dossier strategici e di ampia portata che raramente passano dalla Cag.
Lunedì 18 dicembre, primo giorno dell’ultima settimana della sessione invernale delle Camere federali. Siamo seduti con il consigliere nazionale del Plr a uno ‘Stammtisch’ nella Sala dei passi perduti. Il neodeputato bellinzonese spiega: «Era abbastanza naturale» che, «in quanto avvocato e notaio», il suo gruppo lo designasse a un posto nella Commissione degli affari giuridici. Gianini fa notare che «da tempo un ticinese non era in questa commissione», trasversale alle altre – come quella delle finanze – e che opera in ambiti «che toccano direttamente la vita quotidiana dei cittadini: protezione dei consumatori, diritto della famiglia, del lavoro, delle società, dei contratti, fondiario, penale e così via».
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Primo intervento nel plenum per Simone Gianini
Avere di nuovo un rappresentante nella Cag è «sicuramente positivo anche per il Cantone». «Purtroppo», fa notare anche lui, nessun consigliere nazionale ticinese ha trovato posto in commissioni (sicurezza sociale e sanità; ambiente e pianificazione del territorio) «pure importanti per alcuni dei temi che mi stanno a cuore». Gianini comunque scalpita: da gennaio «mi attiverò subito»: «fa parte della mia natura», e poi «c’è già parecchia carne al fuoco».
Se a Gianini è andata bene, a Paolo Pamini (Udc) è andata molto bene: dentro, subito, nell’ambita Commissione economia e tributi (Cet), che gli «calza a pennello». Per l’esperto di fiscalità «è stata una bella sorpresa». «Ho giocato tutte le carte che potevo giocare, scrivendo anche una lettera di motivazione di tre pagine». I posti attribuiti al suo partito nella Cet sono passati da 7 a 8; e il gruppo democentrista si è rinnovato parecchio: due fattori che hanno reso possibile «una missione quasi impossibile». Non capita spesso per un neofita a Palazzo di entrare al primo colpo nella Cet. Solitamente vi si approda, se va bene, solo a partire dalla seconda legislatura.
Invece Giorgio Fonio (Centro) è nella Commissione delle istituzioni politiche (Cip, presieduta da Greta Gysin). Inoltre fa parte della Delegazione per le relazioni con il Parlamento italiano. Il sindacalista momò è «soddisfatto». In particolare perché «la Cip è una commissione importante per la regione che rappresento, dato che si occupa anche di asilo e migrazione».
Altrettanto importanti delle commissioni sono i contatti allacciati con i colleghi di partito e gli altri parlamentari. «Qui è soprattutto una questione di relazioni personali, sul piano umano», dice Pamini. Occasioni privilegiate sono i numerosi eventi, aperitivi e cene ai quali consiglieri nazionali e ‘senatori’ sono invitati a ogni sessione (durante quella invernale in particolare). Gianini ne ha sfruttata qualcuna: compresa la ‘notte dei lunghi coltelli’, preceduta da cena allo Schweizerhof e ritrovo quasi obbligatorio al Bellevue [i due hotel di lusso tra gli epicentri della vita mondana durante le sessioni parlamentari, ndr]. Una frequentazione improntata a una certa «prudenza», comunque, anche perché di tempo libero non ne resta molto. «Se accetti tutti gli inviti, uno non dorme più e rischia di diventare alcolizzato», osserva Pamini. Fonio dice di aver «apprezzato» la «miriade di inviti», non tutti raccolti: considera questi eventi «momenti privilegiati di scambio di informazioni e di conoscenza», sia dei parlamentari che dei rappresentanti della società civile.
E-mail, lettere, messaggi sullo smartphone: per gruppi di interesse e lobbisti, i parlamentari freschi di elezione sono particolarmente interessanti. Gianini conferma: «Sì, in effetti in vista della prima sessione c’è stata parecchia attività. Sto osservando con una certa calma e prudenza, anche per quel che riguarda l’eventuale adesione a intergruppi parlamentari».
Pamini ha tenuto traccia di tutto: racconta di aver ricevuto «più di 40 tra lettere e messaggi e-mail». Non se lo aspettava «questo volume» di corrispondenza. Il luganese non si scompone. «Non mi disturba, anzi. Molte comunicazioni riguardano ambiti che mi stanno a cuore. Ad esempio: ho ricevuto posta da Hotelleriesuisse, ed è stato interessante relazionarsi subito con loro, dato che i miei suoceri sono albergatori a Locarno». E poi sono i lobbisti semmai a dover temere qualcosa: «Hanno a che fare con un consulente fiscale a caccia di mandati. Non so se sono loro a marcare stretto me o piuttosto il contrario [ride]».
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Paolo Pamini in versione deputato-fotografo
Il consigliere nazionale della destra ha un atteggiamento aperto: ha chiesto (con successo) a gruppi interparlamentari «tendenzialmente di sinistra», come quello per il lavoro, di poter essere accolto come membro osservatore. «Una preziosa occasione per sentire l’altra campana», dice. Anche Fonio è stato «inondato da un’impressionante marea di informazioni». «Ognuno ti dà la sua visione», cionondimeno il materiale è «interessante»: «Le lobby fanno parte del sistema. Ed è anche grazie alle informazioni da loro fornite che puoi conoscere e approfondire determinate tematiche. Poi, certo, spetta a me come politico interpretare e filtrare».
L’elezione del Consiglio federale è stato il momento clou della sessione. Pamini l’aveva sempre seguita in tv: «In prima persona, dall’interno, in realtà è meno emozionante di quanto lo sia davanti allo schermo. Ma qui gioca l’effetto creato dai media audiovisivi, un effetto che avevo sperimentato sulla mia pelle già in Gran Consiglio a Bellinzona». Gianini: «La preparazione, la tattica tra i partiti, all’interno dei gruppi… Mi ha dato un’impressione particolare. E poi essere lì, dentro l’emiciclo, a votare per il rinnovo del Consiglio federale, ti fa capire che sì, effettivamente sei stato eletto». Per il resto, il deputato bellinzonese ha passato più tempo dentro la Sala del Consiglio nazionale che nella ‘Wandelhalle’ (la Sala dei passi perduti): «Ho voluto dedicarmi il più possibile ai lavori parlamentari, iper-regolamentati, per familiarizzarmi con i suoi meccanismi e per capire quali strumenti poter usare. Nel frattempo ho depositato una prima interpellanza e una prima domanda all’ora delle domande. E già al secondo giorno ho preso la parola durante il dibattito sull’Iniziativa per il paesaggio, per far sentire la voce del Ticino sul tema dei rustici». Anche Pamini preferisce per ora «lavorare dentro l’emiciclo, dove sto cercando di abituarmi al rumore di fondo, che è abbastanza forte». Non essendo ancora cominciato il lavoro in commissione, questa sessione «anche da parlamentare la si vive in un certo senso da spettatore». E «francamente, non è sempre facile capire su cosa si stia votando».
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Giorgio Fonio (a destra, accanto ai colleghi di partito Reto Nause (al centro) e Marc Jost
A Fonio invece piace lavorare in una delle piccole scrivanie a disposizione dei deputati nella Sala dei passi perduti: da lì si può guardare fuori dalle grandi vetrate, verso la collina del Gurten. Questione di tirare il fiato, di fare mente locale. Perché i ritmi possono essere frenetici. Già in questa sessione il lavoro da fare («molto interessante) è stato «tanto»; solo nelle prime due settimane «abbiamo votato quasi 200 volte!». «Sapevo che sarebbe stato… tanto. Ma proprio così tanto… questo no». E non sono ancora cominciate le sedute di commissione. Intanto ha depositato il suo primo atto parlamentare: un’interpellanza (firmata da tutta la Deputazione, e nel solco del lavoro svolto dal suo predecessore Marco Romano) per sapere a che punto siamo sulla fermata dei treni Intercity nel Mendrisiotto. Momenti di difficoltà? «All’indomani del giuramento. Finita l’emozione, la famiglia tornata in Ticino: per la prima volta ti ritrovi davvero solo, in un ambiente che non conosci. Poi mercoledì siamo andati a Basilea per i festeggiamenti dei presidenti delle Camere: ho conosciuto un po’ di gente, e da lì via tutto è stato più semplice».
Fabio Regazzi (Centro) non è certo un neofita a Palazzo. Ha passato 12 anni al Consiglio nazionale. Dov’è sempre stato trattato «molto bene» in fatto di commissioni: otto anni in quella dei trasporti, quattro in quella dell’economia e dei tributi. Eppure adesso, da ‘neosenatore’, anche se conosceva già quasi tutti i membri del suo gruppo, «parti ai piedi della scala». «Da questa parte di Palazzo – spiega – vige un principio di anzianità piuttosto rigido. E siccome nel nostro gruppo [sono 15, ndr] praticamente tutti sono stati rieletti, avevano già in partenza un vantaggio rispetto a me e a Marianne Binder [la ex consigliera nazionale argoviese eletta agli Stati in novembre, ndr]». All’inizio gli erano state prospettate commissioni che «non mi interessavano molto». Ha dovuto abbassare l’asticella: a un certo punto era pronto ad accettare un posto nella Commissione ambiente, pianificazione del territorio ed energia.
Poi, «grazie a una serie di circostanze favorevoli», oltre che a «una cena con i colleghi del gruppo», il ‘senatore’ di Gordola ha elaborato «una mini-strategia» che gli ha consentito – al termine «un iter tortuoso e sofferto» – di approdare alla sua meta: la Commissione economia e tributi. Regazzi siede anche nella Commissione della politica di sicurezza. Non in una terza, come molti suoi colleghi. «Ho ottenuto una deroga, facendo valere la mia situazione particolare come imprenditore e come presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri».
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Fabio Regazzi (a destra) a colloquio con Jakob Stark (Udc/Tg), davanti Marco Chiesa
C’è stato poco da fare, invece, per cambiare posto nella Sala. Sempre in virtù del principio di anzianità, gli è stata assegnata la poltrona numero 12: in prima fila (al Nazionale invece stava dietro e ‘dominava’ con lo sguardo l’intero emiciclo), staccata dal resto del gruppo, inserita tra quelle di un Plr (il glaronese Benjamin Mühlemann) e di un Udc (lo svittese Pirmin Schwander). «I miei colleghi di gruppo mi dicevano: cosa fai lì, lontano da noi?». Sta di fatto che nessuno voleva spostarsi, fare spazio, in modo che Regazzi potesse riallacciare il contatto fisico con i suoi. Alla fine si è trovato un compromesso: grazie a un arrocco in casa Udc, tra Marco Chiesa e Schwander, i due ‘senatori’ ticinesi sono ora spalla a spalla (forse è la prima volta che capita nella storia: andrebbe verificato). Regazzi rimane distaccato dai suoi («è una situazione anomala, non ideale»), ma è pur sempre meglio di niente («sicuramente è un vantaggio avere vicino un ticinese»). E alla prossima occasione «vedremo di mettere a posto anche questa».
Regazzi ha già preso la parola nel plenum. Per difendere una sua iniziativa parlamentare sugli interessi di mora applicati dalla Confederazione. Lo ha potuto fare solo dopo aver chiesto – e ottenuto – una deroga: la regola non scritta vuole infatti che agli Stati i ‘nuovi’ non intervengano alla prima sessione. Il ticinese non si è ancora espresso in italiano, come spesso fa Chiesa: «Qui ti ascoltano davvero, e se parli francese o tedesco è più facile che il messaggio passi». Alla Camera alta si fanno le stesse cose che si fanno ‘di là’. Ma «qui è un altro mondo». «Tendenzialmente parla chi ha qualcosa da dire, non solo perché bisogna intervenire. C’è silenzio in aula. Il dibattito è quasi un dialogo tra singole persone. I partiti non vengono quasi mai menzionati. Il confronto è aperto e rispettoso. Non si va mai sopra le righe. Non c’è quell’aggressività verbale che si vede dall’altra parte [di Palazzo], dove si tende a fare politica in modo fazioso».
I lobbisti: sembrano essere un po’ meno presenti che al Nazionale. Almeno per il momento. «Forse perché i ‘senatori’ sono più tosti, meno malleabili, non gradiscono essere tampinati», ipotizza Regazzi. «Sapevo che qui era diverso», dice. «Ma è più diverso di quanto mi immaginassi». Una cosa non è cambiata: l’albergo dove alloggia «da sempre» quando è a Berna per le sessioni, l’Hotel Bären, a due passi da Palazzo.