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Giorgio Morandi, un’attenzione del mondo

Milano ospita la retrospettiva a lui dedicata, un’occasione di meditazione intensa curata da Maria Cristina Bandera, a Palazzo Reale fino al 4 febbraio

Natura morta, 1956, olio su tela
(Bologna, Museo Morandi | Settore Musei Civici Bologna)
5 novembre 2023
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Di nuovo al mondo non c’è nulla o pochissimo. Così scriveva Giorgio Morandi, a proposito della serie di ‘Fiori 1950-1951’, dandoci, ancora una volta, la prova di quanto fosse preciso e autentico nel definire la sua arte, nel tratteggiare il suo modo di vedere il reale, nell’umiltà della sua testimonianza del vero che appare e che, impercettibilmente, si fa sentire dagli attenti.

A distanza di più di trent’anni dall’ultima rassegna che Milano ha dedicato all’artista bolognese, sì è inaugurata a Palazzo Reale (Milano) la retrospettiva di Giorgio Morandi. Le sale ospitano opere che regalano al visitatore lo spazio per una meditazione intensa, tanto da inverare ciò che ebbe a scrivere nel 1918: “La mia natura è incline alla contemplazione”. Una mostra ideata e curata da una delle massime esperte della pittura di Morandi, Maria Cristina Bandera, 120 opere che ripercorrono l’intera produttività dell’artista, attraverso prestiti importanti, provenienti da prestigiose istituzioni e altrettanto autorevoli collezioni private.

Scriveva di lui il sodale poeta Bernardo Bertolucci: “Nei quadri di Morandi apparentemente semplici, c’è sempre un nuovo, un punto da cui spirare all’infinito anche di questa sua poesia così pacata, così sommessa”. Una poesia che in Morandi si carica di silenzi e di metafore dell’attesa, sempre pronte a rivelarsi più per quello che tacciono, che per quello che rendono evidente. È proprio con questa sua nudità dello sguardo, che l’artista bolognese ha sempre saputo come attirare l’attenzione di molti poeti e letterati. Un importante sodalizio fu anche quello con il poeta francese Philippe Jaccottet, che gli dedicò uno scritto tra i più pregnanti e acuti, dal titolo ‘Le bol du pélerin (Morandi)’.

Non è un caso che si usi, parlando della poetica dell’artista, molto spesso la parola “luogo”, anche questo in senso enigmatico. È un termine che riporta immediatamente ad uno spazio a un punto esatto verso una solitudine dello sguardo, capace di orientarsi, come se fosse sempre in equilibrio, nei punti focali sempre puntuali che abitano i suoi quadri.


Giorgio Morandi

Sguardo sempre epico

Nato a Bologna alla fine dell’Ottocento (1890) e morto, nella sua città, nel 1964, Morandi fu un protagonista d’eccezione della pittura italiana che, tramite le sue campiture di colori, le sue incisioni e i suoi disegni, ha saputo tratteggiare. C’è un percorso preciso nel suo ‘fare’, un itinerario o pellegrinaggio, nato da uno sguardo sempre epico nei riguardi della vita e dell’esistenza politica che l’hanno formato. Il reale per lui fu un principio di individuazione e fu anche un dettato che ha saputo ascoltare, cogliendo le visioni determinanti per le sue scelte, mai gridate, ma sempre coerenti e autonome. Il ‘posto’ esatto per la messa in scena dei suoi oggetti/mondo, Morandi lo cercò sempre nell’individuazione percettiva delle sue prospettive, tra le singolarità del suo essere attento a un “sempre uguale”, che sapeva però contenere impercettibili o lievi differenze oggettuali/esistenziali, decisive nella realizzazione delle sue idee pittoriche.

Infatti è questo il suo modo di ricercare la profondità dell’evidente.

Giorgio Morandi ha vissuto per tutta la sua vita nella stessa strada – via Fondazza, a Bologna – con la madre e le tre sorelle, spostandosi poi nel 1960 nella casa vacanza di Grizzana, dove il pittore ha ammesso di vedere da lì, il paesaggio più bello del mondo. Questa sua apparente immobilità non gli ha impedito di perseguire i suoi intenti di conoscenza, tra le esperienze artistiche europee e le avanguardie che lo ispireranno per tutta la sua fase artistica.

Un primo periodo si concretizza mano a mano che il suo tempo trascorre, tra le grandi guerre, le grandi morti, i grandi incontri che, nelle sue tinte leggere e ombrate, hanno saputo come farsi evidenze dialoganti e innovative tra le esperienze artistiche e non solo. Il suo percorso di studio all’Accademia di belle arti di Bologna, lo porterà accanto ai canoni classici, impostando il suo sguardo al classicismo e soprattutto alla grazia, tutta umanistica, del Rinascimento italiano, fino a condurlo ad assaporare tutta l’energia di Pablo Picasso.

Colmo di curiosità e passione ha percorso la storia della pittura europea accostando anche le reboanti atmosfere futuriste, diventando, con Carlo Carrà e Giorgio De Chirico, un esponente della scuola Metafisica, accostandosi poi al gruppo dei “Valori plastici”, sapendo costruire così, da questi inizi, la sua personalissima visione, il suo personalissimo pudore dello sguardo: la sua intimità. La sua città rimase sempre il suo luogo d’elezione e dopo la morte, la sua casa diventerà un “porto” al quale approdare per conoscerlo al meglio, cogliendo, tra quelle stanze polverose e sgualcite, gli interstizi di luci capaci di posarsi sulle cose, per renderle altro da sé, denudando quelle anime che improvvisamente sapevano raccontarci il vero, diversamente.


A Milano

Ancoramenti

Bottiglie ridipinte da una velatura di gesso, cestini di pane rivestiti di carta colorata, scatole di latta dipinte, brocche e vasi decorati da semplici righe azzurre, candelabri e stracci gialli avvoltolati su sé stessi, costituiscono il suo mondo, il suo circondario, portandoci in luoghi che Jaccottet definì “distanti, inaccessibili; come uno spazio che non potremo mai veramente abitare”. È da questi ancoramenti che Giorgio Morandi offre la sua interpretazione del reale.

Le tecniche pittoriche che egli adotta sembrano pervenire ancora dall’artigianato appreso in una bottega rinascimentale. I plastici prospettici che il pittore mette in opera, sono il risultato di una minuziosa creazione di spazi studiati da una distanza perfettamente calcolata, capace di ristabilire un’armonia incessante tra le forme e i colori, tra i contorni e le spellature delicate delle luci.

Pittore di bottiglie, imbuti rovesciati, di scatole e candelabri irrimediabilmente spenti, sempre inattivi, in realtà costringono il fruitore all’interpretazione di un diorama parlante e silente al contempo, che lo interrogano, lo interpellano.

Sotto a ogni quadro con bottiglie di vario formato, alle quali è stata tolta la leggerezza della trasparenza – perché coperta da quella fantasmatica pellicola gessosa – si può intravedere la linea immaginaria di una silhouette metropolitana, o le virilità potenti delle cattedrali del Nord. La linea percorre i singoli volumi degli scompagnati parallelepipedi – conici, sferici, esagonali – trasformandoli in paesaggi urbani in cui, la città è solo la sottotraccia di una condizione, più che un’idea.

È questo il decanto di un mondo ricreato nel suo studio di Via Fondazza. Lì non ci sono che scorci di luci, ombrature di cortili, segmenti infranti di orizzonti servibili unicamente per le sue messe in scena di mondi allestiti, più dalla percezione che dal realismo.

Le uniche immagini in esterno che tratteggiano il suo vedere le troviamo nelle serie dei Paesaggi che, ciclicamente, ritornano quasi a equilibrare i paesaggi interiori realizzati dall’assemblaggio spaziale delle cose, posizionate sui tavoli e sui basamenti ricostruiti in studio. Esterni che diventano angolature, svolte, curvature raccolte dalle occasioni di un vedere capace di ospitarli per tranquillità. Qui il suo sguardo s’intrufola anch’esso ossessivo, nelle strade bianche di Grizzana, tra le squadrate case dai tetti rossi, tra i capanni definibili ed estremamente chiarificati da luci pomeridiane al meriggio. Qui c’è ancora il suo sguardo capace di scompigliarsi compostamente tra le vegetazioni che, a tratti, diventano una serie di macchie compatte, messe all’orizzonte, smosse e tremolanti in variazioni di verdi, opposti ai neri terrigni che le sostengono: infiniti prospettici, tralucenti di luce pomeridiana, anch’essi in attesa che qualcosa succeda.

Diventano dunque anche questi paesaggi, dei veri e propri passaggi: trasposizioni umane della quiete dove, le assenze, saranno vere presenze in grado di prospettare quelle interrogazioni interiori che l’arte morandiana ha sempre saputo realizzare e offrire al suo spettatore. Siamo dunque di fronte a un occhio capace, eticamente, di vedere e questo perché come usava dire Morandi: ‘Si può dipingere ogni cosa basta soltanto vederla’.


Winterthur, Kunst Museum Winterthur
Natura morta, 1955, olio su tela

Eccessi del reale

Giorgio Morandi realizza una partecipazione emotiva del dettaglio, non tanto del reale ma nella resa plastica delle emozioni, lasciando gravitare, nello scavo che egli impone al proprio spettatore, l’apertura necessaria allo stupore dell’innato che ci abita, sia come meraviglia che come perturbante.

Egli interroga l’individuo/persona in modo diretto, riportandolo alla visione/presenza di cose così quotidianamente vissute, che rischiano di essere obliate dalla consuetudine. Le bottiglie non saranno più solo trasparenti e fragili, come i candelabri non saranno più soltanto reggitori di fiammelle e neppure gli stracci saranno piegati nella loro follia quotidiana, ma diventeranno tutti simulacri di una simbologia da leggere e interpretare, come fossero nuove scritture. Oggetti portatori di nuovi caratteri e nuove personalità ma, soprattutto, cose alle quali è stata ridonata un’opportunità di rendersi nuovamente essenziali. Oggetti/cose/mondi dunque che, daccapo, si attualizzano attraverso la loro forma e la loro postura nello spazio, come vere visoni dentro una realtà da reimparare a comprendere oppure, realizzando una mappatura sconvolgente delle ossessioni che, nella loro ripetitività, giungono al centro di una profondità inaspettata e sorprendente.

Giorgio Morandi coglie dunque gli eccessi del reale con il suo vedere, afferrando gli accenni della bellezza del mondo e cucendo, tra essi, i baratri dei vuoti e la spazialità delle possessioni percettive della memoria, conducendoci, delicatamente, verso un banco di tribunale, chiamandoci in appello. Il nostro dire sarà un guardare la Storia, il nostro sapere diventerà la sua narrazione attenta, incuneatasi all’interno delle piccole storie quotidiane, tra gli innesti primari di una eterna contemporaneità.


Milano, Pinacoteca di Brera
Natura morta, 1918-1919, olio su tela