L'intervista

Voce, corpo e disordine: Debora Petrina

Le sue collaborazioni rispondono ai nomi di Tiziano Scarpa e John Cage. È nella playlist di David Byrne. Lunedì 16 ottobre sarà allo Studio Foce di Lugano

‘L’età del disordine’ è l’ultimo album
14 ottobre 2023
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In vista del concerto di presentazione per il suo ultimo album, ‘L’età del disordine’, lunedì 16 ottobre dalle 21 allo Studio Foce di Lugano, Debora Petrina ci ha concesso un’intervista di presentazione.

Salve Debora. Lunedì presenterai a Lugano il tuo ultimo disco e quando ho visto il tuo nome nella programmazione mi si sono aperti collegamenti remoti che mi hanno fatto risalire al 2009, quando ti conobbi con In Doma. Sono passati anni, con il disco dello scorso anno ti sei stabilizzata sulla lingua italiana e hai portato una ventata fresca con un assetto piano e voce, al medesimo tempo pop e ricercato. Cosa aspettarci dalla tua esibizione?

Stabilizzarmi mi è proprio impossibile (ride, ndr), e infatti sono reduce da un concerto in cui non ho suonato una sola canzone in italiano (Festival Spirito del Tempo a Milano, ndr), ma certo il disco segna una riappropriazione della mia lingua che coincide anche con un momento di scrittura narrativa intensa. Nella mia esibizione c’è anche questo aspetto del racconto, assieme alla danza e all’uso ‘ampliato’ del pianoforte. Se mi stabilizzassi perderei quell’entusiasmo, quel gusto della scoperta che è il cuore pulsante del mio lavoro, del lavoro di ogni artista autentico.

Il tuo disco è stato prodotto e registrato con Marco Fasolo, che conosco bene per il suo passato musicale e per la sua collaborazione con i ticinesi Houstones. Com’è capitato l’incrocio fra questo tipo di suono e il riappropriarsi della musica italiana?

Con Marco ci conoscevamo da tempo e ci sono due cose che ci accomunano: ricerca e curiosità. È stato semplice dialogare e le idee sono arrivate a frotte. Nessuno di noi due si sente legato a un genere musicale, ma piuttosto all’emozione che il suono genera. Dal nostro incontro sono nate parecchie psichedelie, fra chitarre elettriche non ortodosse (che è come le uso anch’io quando le imbraccio), piani giocattolo, preparati e rovesciati!

Ho mandato a Marco un bel po’ di provini e lui ha scelto quali canzoni inserire nel disco. La sua preferita è ‘Era Ieri’, una canzone molto tosta, a tratti dolorosa. Come se le parole avessero generato visioni diventate materia sonora, a volte magmatica.

Nel pop italiano la voce è sempre stata regina, ma ascoltandoti e conoscendo le tue collaborazioni, fra Tiziano Scarpa e John Cage, si capisce forse il perché di tanta ricchezza immessa nelle canzoni. Può essere questo movimento un contenitore abbastanza resistente e plasmabile per contenere così tanti input? C’è della musica italiana che ti ha ispirato o è la musica a muoverti e l’italiano solo una delle tue lingue?

L’italiano non è solo la mia lingua, ma anche uno dei miei primi giochi (avevo un padre insegnante che mi torturava fin da piccolissima con sinonimi e contrari e che mi ha insegnato a scrivere a 4 anni...). Scrivere è sempre stata una mia grande passione, dagli strani temi delle superiori che a volte spaventavano la prof (in uno mi ero immaginata di essere un uomo anziano, già morto, che ripensa ai suoi ultimi giorni di vita), alle poesie appuntate in foglietti sparsi, alla scrittura recente, più organica (ho un libro che attende di essere pubblicato e un altro che ho fatto uscire in copie ridotte, con importante prefazione di Tiziano Scarpa).

Finora non avevo pubblicato un disco di canzoni in italiano per pudore, non avevo la maturità necessaria per espormi nella mia lingua. Non è semplice comporre in italiano senza cadere in certi cliché che si sono imposti nel pop, soprattutto. Credo di essere riuscita, con questo disco, a dare un tocco di modernità fuori dai soliti canoni. Se posso citare qualche nome che ritengo sacro e coi quali trovo affinità con la mia scrittura, ci sono quelli di Tenco e Ciampi, più Rota e Morricone nelle colonne sonore.

Hai una vicinanza con il Ticino e le sue radio, sei stata spesso ospite in diversi programmi nei loro palinsesti. Che tipo di rapporto hai con la radio? Credi possa essere ancora strumento di scoperta musicale e culturale? Che effetto ti fa ascoltare un tuo brano trasmesso? Ricordi la prima volta?

La radio è il mio strumento di ascolto prediletto, da sempre. Alla radio ho scoperto non solo musiche nuove, ma pure musiciste con le quali è nata una grande amicizia, come Amy Kohn. Parlare, suonare in radio è una grandissima emozione, nell’intimità delle cuffie ad ascoltare la tua voce, i tuoi suoni e dall’altra parte un pubblico invisibile che ti ascolta da vicino, a casa propria o in macchina. Come cantare nell’orecchio di tante persone allo stesso tempo, senza vederle. E posso senza dubbio dire che le esperienze più belle le ho fatte proprio alla RSI, dove pure fui premiata per il miglior live dell’anno. L’’ultima è stata bellissima, a gennaio 2023: ho suonato un lungo estratto dalle NuovoMondo Symphonies (il mio disco con Giovanni Mancuso) e l’intero staff era al femminile. E soprattutto super competente!