Il vicedirettore uscente Lorenzo Erroi rivolge un piccolo saluto, parecchio commosso, ai colleghi e ai lettori de laRegione
“Buona la prima”. È con questa frase da cinema che negli ultimi anni, quando spettava a me chiudere l’edizione della Regione per il giorno successivo, davo il via libera alla stampa della prima pagina, dunque dell’intero giornale. Una sorta di formula scaramantica, giusta per il momento notturno in cui finisci di passare le bozze, hai già telefonato a questo e quello per eventuali modifiche dell’ultimo secondo e sempre con un po’ d’ansia – anche se quel rito l’hai ripetuto mille volte – ti chiedi cosa penseranno i lettori di quanto uscirà dalla rotativa. Ancora oggi, il fatto di non essere mai stato svegliato alle sei di mattina per aver cannato un titolo o combinato qualche immane casino mi pare un miracolo (ma è forse sintomo d’una certa clemenza da parte del buon Daniel).
Ora che sto per cambiare lavoro, ho l’impressione che mi mancherà quel buona-la-prima, anche se era spesso il frangente più concitato della giornata. Mi mancherà tormentare i colleghi della tecnica fino all’ultimo secondo perché “c’è un refusino”, parola che ormai mi rivolgevano come soprannome. Mi mancheranno i pastoni a base di funghi, falafel di frigo e salse improbabili coi quali impestavo la pausa pranzo dei compagni di lavoro. Mi mancheranno – magari un po’ meno – anche i battibecchi con alcuni politici un po’ troppo permalosi.
Mi perdo nei dettagli, lo so, ma non me la sento di fare bilanci, e poi è proprio dai dettagli che parte la memoria (Proust aveva la madeleine, io i falafel, vai a capire). Quando penso a certe storie che abbiamo raccontato o commentato, prima ancora di titoli e testi, mi viene in mente uno sguardo o la battuta di qualche collega. Quei colleghi – giornalisti e non solo – che mi hanno visto spuntare da chissà dove, mi hanno subito accolto e mi hanno insegnato un sacco di cose d’un mestiere in cui l’esperienza serve a dirigere l’ispirazione. Li ringrazio di cuore, come ringrazio Giacomo e Rocco Salvioni, che mi hanno ripescato da una carriera nel marketing tutt’altro che affine alla mia natura. Spero di aver scritto un po’ meglio di quanto non vendessi.
Grazie anche a Daniel e Andrea, per avermi preso con loro in direzione: penso che ne abbiamo combinate di belle, anche se non sta a noi dirlo. Spetta semmai ai lettori, il cui affetto mi (ci) ha spesso commosso e confortato, specie quando una scelta editoriale scatenava le ire funeste di certi notabili con la pelle sottile e la ripicca facile. Personalmente, spero di aver rispettato la massima di Göran Tunström che mi ripeteva sempre Erminio Ferrari, un maestro che conosceva il mestiere e non solo quello: “Bisogna fare attenzione a non sporcare in giro con le nostre parole”. A Cristina – che prenderà il mio posto e di cui conosco bene il talento, la determinazione e la sensibilità – mi limito a girare lo stesso consiglio.
Ora è il momento della nostalgia canaglia, ma parto anche con entusiasmo e curiosità per quel che mi aspetta, che non sarà facile, ma è poi il suo bello: spero di portare alla Rsi, pur in altra forma e in un ruolo ben diverso, tutto quello che ho imparato qui in via Ghiringhelli 9. Incluso un po’ dello spirito che si respira in questa redazione lontanuccia da via Paolo Fabbri 43, certo, ma in cui comunque “fra krapfen e boiate le ore strane son volate”.
Ora sarà meglio che mi fermi, sennò finisce che mi commuovo. Poi forse aveva ragione il giovane Holden – oggi sono in vena di citazioni, sorry – quando consigliava: “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti”.
Comunque sia, anche stasera, buona la prima.