Sindacati in piazza a settembre per chiedere aumenti del 5% e aiuti per il rialzo dei premi di cassa malati. ‘Anche la politica si attivi’
Adeguare integralmente i salari al carovita e contribuire a combattere gli aumenti dei premi di cassa malati – che in Ticino potrebbero salire anche del 10% – con un sostegno mensile di 50 franchi. È quanto chiede l’Unione sindacale svizzera (Uss), che il 16 settembre a Berna scenderà in piazza per richiamare datori di lavoro e politica “alle proprie responsabilità” in quello che è già stato definito come un “autunno sindacale decisivo”. La richiesta dell’Uss è chiara: un ritocco verso l’alto del 5% dei salari nel 2024. «Capisco che può sembrare una cifra molto alta, ma è fondata su un calcolo articolato e corretto», spiega alla ‘Regione’ il vicesegretario cantonale dell’Ocst Xavier Daniel. «Negli anni passati i salari reali non sono cresciuti, anzi. E il continuo aumento delle spese sta erodendo sempre di più il potere d’acquisto dei cittadini. Prendiamo ad esempio il paniere dei beni, non tiene conto dei costi di cassa malati. Quindi – prosegue Daniel – quando viene utilizzato per monitorare le spese, resta esclusa una voce che è in vertiginoso aumento e che mette in seria difficoltà sempre più famiglie. Soprattutto in Ticino». Per il sindacalista negli ultimi anni «c’è stata una stagnazione dei salari. Nel nostro cantone sono pochi i settori che hanno riconosciuto in maniera generalizzata un adeguamento». Una richiesta che secondo il vicesegretario deve essere accolta anche «per tenere fede a quanto è stato promesso negli scorsi mesi. Mi riferisco alla campagna per maggiori aperture dei negozi, dove ci sono salari storicamente bassi. I favorevoli – puntualizza Xavier – si sono detti pubblicamente pronti a migliorare le condizioni dei lavoratori in caso di approvazione. Ora è arrivato il momento».
Per Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia per il Ticino e Moesa, il dibattito deve coinvolgere anche la politica. «Non si può pensare che il problema dei rincari e dell’adeguamento al carovita sia risolto solo dalle trattative salariali e nel partenariato sociale. Anche perché più della metà dei dipendenti lavora in settori che non prevedono un contratto collettivo di lavoro». Secondo Gargantini «politica e padronato si rimbalzano continuamente la responsabilità. Una situazione certamente non nuova, ma che si sta accentuando. Va anche ricordato – aggiunge il segretario di Unia – che a ‘passarsi la palla’ spesso sono le stesse persone che rappresentano le aziende e siedono tra gli scranni dei vari palazzi decisionali». Non tutte le imprese, facciamo notare, sono però uguali e pronte a sostenere un aumento salariale del 5% per i dipendenti. «Lo sappiamo bene, quello che facciamo noi è un discorso macroscopico che poi va declinato nei diversi settori. Ma, a livello generale, ci sono categorie che dalle turbolenze degli ultimi anni sono uscite molto bene e le prospettate conseguenze catastrofiche degli aumenti dell’energia, è sotto gli occhi di tutti, non ci sono state». Per Gargantini «siamo quindi in una situazione ben migliore di quella che si prospettava e temeva. Di conseguenza molti settori economici possono e devono assumersi la responsabilità e adattare gli stipendi. È necessario farlo anche perché sono queste stesse realtà che poi beneficiano del potere d’acquisto delle famiglie. Altrimenti resteremo in una spirale negativa».
Tra i settori che presto potrebbero avere un contratto collettivo c’è quello della logistica. «Stiamo negoziando. Abbiamo già raggiunto un accordo con l’associazione padronale e vogliamo renderlo di obbligatorietà generale. Un obiettivo che se tutto va come deve dovremmo poter raggiungere entro la fine di giugno», dichiara Marco Forte di Syndicom. «Questo significherebbe aumentare i salari minimi che al momento sono di 19 franchi l’ora. Verranno costituite anche le commissioni paritetiche per vigilare sul rispetto delle norme». Discorso più difficile per quanto riguarda i media. «Anche qui le trattative sono in corso, ma gli editori hanno dato la disponibilità per un salario minimo di 4’800 franchi per Ticino e Svizzera tedesca. È troppo poco se si considera che quello della Romandia, dove è in vigore, è di 5’800 franchi».
A essere preoccupata è anche la Vpod, il sindacato del personale dei servizi pubblici e sociosanitari. «C’è un timore concreto che il carovita non venga riconosciuto e questo risparmio rientri tra le misure per contenere la spesa dello Stato», afferma Raoul Ghisletta. «Non sarebbe la prima volta». Secondo la Vpod il problema potrebbe riflettersi di conseguenza anche sul settore privato. «Se l’Ente pubblico non adegua i salari al carovita, le aziende prenderanno esempio». Un incontro tra il sindacato e il Consiglio di Stato su questo tema è in agenda per la metà di settembre.