Dura reprimenda dell'esperto forestale Roberto Buffi sulla gestione degli interventi da parte del Cantone. Il caso dei tagli rasi nella faggeta di Moneto
Una ferita all’ambiente, una tabula rasa per uno sfruttamento del legname che ha dell’insensato e che è paesaggisticamente deturpante. Così, almeno, la vedono (è il caso di dirlo...) molti abitanti delle alte Centovalli quando volgono lo sguardo in direzione del pendio boschivo di Moneto, sul versante destro della valle, dove si è da poco conclusa la prima tranche dei lavori selvicolturali iniziati del 2019. Interventi svolti sotto l’egida del Cantone e promossi dall’Ufficio forestale di circondario su un fondo di proprietà del Patriziato di Borgnone. Il grosso cantiere ha comportato l’abbattimento a colpi di motosega di centinaia di faggi, trasportati sull’altro versante della vallata grazie a un filo a sbalzo appositamente installato e da lì poi caricati e portati via con l’ausilio di appositi automezzi.
«Ci vorranno anni – testimonia un abitante di Lionza – per ricucire questa cicatrice. Non è sicuramente un bel vedere un simile disboscamento. Se un privato si permette di tagliare un albero gli fanno mille storie e lo multano, ma questo spettacolo vi sembra accettabile? Come possono dei forestali che curano il bosco, che si impegnano a favore della conservazione degli habitat, della protezione e della naturalezza del bosco ad acconsentire a questo scempio?». Parere condiviso da altri domiciliati in valle rivoltisi a laRegione, come pure dall’ingegnere forestale Roberto Buffi, già alle dipendenze del Dipartimento del territorio, nonché ricercatore capoprogetto all’Istituto di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio Wsl. Uno che, insomma, di vegetazione e ambienti forestali se ne intende.
Queste lingue diradate create nel bosco col tempo spariranno, i nuovi faggi negli anni andranno a sostituire quelli tagliati dall’uomo, ma intanto i buchi generati dal dissodamento a fini produttivi (sfruttamento della legna) rimangono per un pezzo.
Anche se a suo tempo, quando all’argomento avevamo dedicato un ampio servizio, questi tagli erano stati etichettati come “lavoro di gestione del bosco interessante per l’economia legata alla filiera del legno e utili alla crescita di novellame nel sottobosco e, più in generale, alla biodiversità”. Aspetti confutati energicamente da Buffi, a detta del quale si tratta «di un danno al paesaggio inaccettabile. Paesaggio che rappresenta un bene prezioso e che ha pure la funzione di collante per la comunità. Per questo mi fa piacere che si levino voci critiche al riguardo di quanto eseguito a Moneto. Non vi è alcun interesse pubblico in questo intervento, che giova solo agli imprenditori» – ammonisce l’esperto, il quale aggiunge: «Chi ha autorizzato questi lavori pensava di fare un’opera interessante e utile, in realtà getta solo ombre sull’operato del Dipartimento e degli Uffici forestali. La realtà è ben più complessa e multiforme e non è fatta di sole motoseghe e sussidi elargiti dallo Stato per favorire le aziende e abbassare i costi».
Nella sua tagliente disamina, Roberto Buffi punta in particolare il dito sulla mancata pianificazione selvicolturale necessaria di fronte a interventi di ampia portata che tenga in considerazione tutti gli elementi: penso al suolo, alla vegetazione, agli animali che lo popolano, all’età e allo stato del bosco. Ci si limita a un semplice concetto di raccolta e sfruttamento come avviene nei Paesi in via di sviluppo. Che ne è ad esempio degli aspetti climatici (il CO2 che le piante assorbono), della penetrazione delle neofite invasive e dell’erosione del suolo conseguenza di questo agire? Tagli simili nelle foreste non sono ammissibili. Potrei accettarli nel caso di boschi di solo castagno, ma non laddove quest’ultimo è presente con altre specie quali la quercia, e non nella faggeta».
Un taglio crea spazio per piante e alberi che hanno bisogno di luce e favorisce lo sviluppo di un bosco misto con alberi indigeni e la biodiversità: non è così? «Quella della biodiversità è una scusa, un bluff. Nel caso delle Centovalli stiamo parlando di una faggeta giovane che non costituisce sicuramente un ambiente ‘povero’, come affermava a suo tempo l’Ufficio forestale a Locarno. Il problema di fondo è che non si accetta il bosco nella sua evoluzione naturale, dalla quale sostanzialmente dipende la biodiversità. Qui si apre un discorso ben più ampio che richiederebbe tempo e spazio. Purtroppo ci troviamo di fronte a una tendenza nefasta che ha fatto scuola in molte parti del Ticino. Siamo caduti nel facilismo e questi tagli rasi estesi (che sono tra l’altro vietati dalla Legge forestale federale) e quegli incentivi vanno aboliti. C’è una mancanza di cultura pura e semplice. Purtroppo non vengono organizzati seminari e giornate di approfondimento e informazione sulla politica forestale, specialmente per quanta riguarda la fascia collinare, e i forestali che decidono gli interventi da attuare spesso lavorano in una ‘bolla’. Non si ragiona a sufficienza su cosa stiamo facendo, sulle conseguenze e ciò che desideriamo prima di accendere le motoseghe».