L’Occidente sta perdendo l’Africa? E la sta perdendo a vantaggio della Russia? Ne sono convinti diversi analisti euro-americani.
L’Occidente sta perdendo l’Africa? E la sta perdendo a vantaggio della Russia? Ne sono convinti diversi analisti euro-americani. Così, il golpe militare in atto nel Niger della grande povertà ma anche dei notevoli giacimenti di uranio (il 7% delle riserve mondiali), della preziosa posizione geo-strategica nella vitale regione subsahariana, e della politica pro-americana e pro-europea del presidente deposto Mohamed Bazoum, conforterebbe la tesi di chi vede un generale spostamento del Continente Nero in direzione della politica putiniana, che mira a un “Sud globale” affiancato a Russia e Cina nella costruzione di un futuro assetto mondiale, come minimo paritario nel duro confronto con il blocco occidentale. Quest’ultimo pagherebbe insomma le sue antiche e moderne forme di vecchio e nuovo colonialismo, di sfruttamento economico (soprattutto attraverso le multinazionali), oltre a quel comportamento paternalista che pochi mesi fa anche il New York Times denunciava come solido residuo delle convinzioni di superiorità intellettuale e di civiltà che accompagna spesso iniziative e valutazioni del Nord capitalista nei confronti delle piaghe dell’universo africano (sviluppo insufficiente, dittature, corruzione, guerre civili, malnutrizione).
Forse non a caso, il ‘golpe’ di Niamey (in realtà ancora incerto nei suoi esiti finali) ha coinciso col Forum di San Pietroburgo, che ha riunito attorno a Putin una ventina di leader africani. Summit concepito dal capo del Cremlino per consolidare la sua strategia in quella parte di mondo e per annunciare compensazioni dopo la sua decisione di bloccare militarmente l’esportazione del grano e bombardare i silos ucraini (“un’offesa a Dio”, ha detto papa Francesco). Operazione riuscita però solo in parte. Sia perché i suoi ospiti sanno come anche l’“alleato senza limiti” di Mosca, cioè la Cina, rivaleggi alla grande, con altri mezzi rispetto alle multinazionali occidentali ma con identici esiti, nello sfruttamento delle immense risorse africane (materie prime e agricoltura), sia perché il vertice stesso di San Pietroburgo si è scontrato con diverse difficoltà. In sintesi: vi ha partecipato meno della metà dei Paesi presenti al primo analogo incontro di quattro anno fa; i convenuti hanno registrato senza particolare entusiasmo la promessa russa di ‘regalare’ grano a cinque Paesi del Continente Nero; hanno invece ribadito che la rinuncia di Putin all’accordo sul transito pacifico nel Mar Nero infiamma i prezzi dei cereali sul mercato mondiale, complici siccità e violenti cambiamenti climatici; e non possono non aver segnalato che la promessa russa del 2019 di aumentare gli scambi commerciali con l’Africa fino a 40 miliardi di dollari è stata disattesa (come sottolinea il Financial Times), con un calo a soli 14 miliardi, di cui il 70 per cento destinato a poche nazioni (Egitto, Algeria, Marocco, Sudafrica). È comunque assai meno dei 70 miliardi da qui al 2025 promessi all’Africa dagli Usa nel dicembre scorso (finora sono stati 10 miliardi all’anno).
Un vantaggio, certo, Putin se l’è già assicurato. Non tanto lo sventolio delle bandiere russe in Niger in queste ore di caos. Ma soprattutto la presenza della Wagner (non a caso ‘graziata’ dopo lo ‘strano golpe’ di giugno) nei Paesi presenti a San Pietroburgo. Attivismo militare spregiudicato, del tutto indifferente al carattere antidemocratico di destituiti e nuovi vincitori, favori mercenari pagati a suon di miliardi coi proventi di oro, diamanti, uranio. Tanti miliardi destinati alle casse del Cremlino. Che ampiamente compensano il “regalo” di grano. Un altro modo di sfruttare l’Africa.