Atg e syndicom sostengono che per il giornalismo ticinese ‘l’acqua è alla gola’. Ma la strada degli aiuti cantonali suscita qualche perplessità
“Quello che noi facciamo è una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo, all’oceano mancherebbe”. Prendiamo in prestito delle sagge e sentite parole pronunciate di recente da un cittadino valmaggese durante un momento di raccoglimento. Le prendiamo in prestito per parlare dei media, della nostra professione, di ciò che significa oggi fare giornalismo. Anche noi, infatti, potremmo riconoscerci in questa immagine: siamo un po’ delle gocce, tante piccole gocce in mezzo al mare tempestoso dell’informazione. E crediamo, vogliamo credere, che qualora non ci fossimo l’oceano mediatico sentirebbe la nostra mancanza.
Ma perché mai non dovremmo esserci? I sindacati di categoria (Atg e syndicom) sostengono che per il giornalismo ticinese “l’acqua è alla gola”. È infatti sotto questo slogan che si è tenuta ieri un’azione di sensibilizzazione e di protesta davanti al Palazzo delle Orsoline, proprio all’ora in cui i deputati e le deputate del nostro Cantone arrivavano per la seduta di Gran Consiglio. Non è stato un caso: la politica è il destinatario delle rivendicazioni sindacali. Ciò che si richiede – da tempo – è l’elaborazione di un pacchetto locale di aiuto ai media ticinesi, a maggior ragione dopo la bocciatura del pacchetto federale nella votazione popolare tenutasi l’anno scorso. D’altronde, il contesto per niente facile in cui operano i media è noto: calo drastico delle entrate pubblicitarie, aumento dei costi delle materie prime, erosione del numero di abbonati. A ciò si aggiunge la sfida imposta dalla digitalizzazione e dalle nuove forme di fruizione delle notizie. Se poi si considera l’intimo legame qualitativo tra l’informazione regionale e la vita democratica del Paese, nonché la necessità della politica di potersi avvalere di determinati canali mediatici per riuscire a raggiungere la popolazione (o, detto più banalmente, di qualcuno che parli di loro), è lecito affermare che le premesse che giustificano una tale richiesta di sostegno ci siano tutte.
Tuttavia la possibilità di un aiuto pubblico ai media a livello locale suscita qualche perplessità, pure tra gli addetti ai lavori. In una realtà di piccole dimensioni come la nostra, un sostegno cantonale diretto alla stampa potrebbe (il condizionale è d’obbligo) incidere negativamente sull’indipendenza delle testate, baluardo irrinunciabile del giornalismo che si percepisce e vuole essere percepito quale “cane da guardia” della democrazia. C’è, insomma, una sorta di paradosso che ruota intorno alla questione: la politica ticinese probabilmente verrebbe incontro alle richieste del settore soltanto se capisse che aiutare i media vuol dire anche e soprattutto aiutare sé stessa. E questo, in effetti, pone qualche problema.
Tutto ciò non vuol dire che gli aiuti non servano, anzi: siamo d’accordo sul fatto che la stampa regionale meriti e abbia bisogno di essere sostenuta. Restiamo convinti però che sia la strada federale – degli aiuti indiretti – quella da seguire e rafforzare. Anche se i tempi a Berna rischiano di essere lunghi.
Per quanto ci riguarda, nel mentre andremo avanti, una goccia dopo l’altra, a cercare di “riempire” l’oceano mediatico con un’informazione accurata e lo spirito critico che contraddistingue quei pesci che, come noi, riescono pure a respirare con l’acqua alla gola.