Respinto il ricorso di un'impresa che ha costruito manufatti su quattro mappali, malgrado il divieto d'uso intimatole dall'autorità comunale
«Le decisioni del Municipio sono state confermate». Si dice soddisfatta la sindaca di Muzzano Verena Hochstrasser, perché, finalmente, è giunta la sentenza del Tribunale federale che ha dato ragione al Comune. Ora, quella ‘sfrontata illegalità’ dovrà terminare. Stiamo parlando dell'annosa vertenza concernente l'utilizzo, malgrado il divieto d'uso intimato a più riprese, di un terreno in zona Piodella, da parte di un'impresa di scavi e trasporti del Luganese.
Le parti in causa nel contenzioso in realtà sono tre: il Comune di Muzzano, la ditta in questione e i proprietari dei quattro mappali sui quali opera la società: due sono di proprietà della Fondazione Lucchini, come spiegò, nel novembre scorso, durante una seduta di Consiglio comunale la sindaca Verena Hochstrasser, mentre gli altri due fanno parte del demanio cantonale e sono dunque di proprietà del Cantone. La vertenza, dicevamo è annosa. La ditta in questione riprese le attività di una precedente azienda nel 2012 e due anni dopo inoltrò una domanda di costruzione "parzialmente a posteriori" per interventi eseguiti e da effettuare su due mappali, dove vennero costruiti una decina di depositi per un volume di circa 1'560 metri, uno stabile formato da tre blocchi con una tettoia, dei depositi e un posteggio per 16 posti auto e autocarri.
Nel 2015, la stessa azienda presentò una seconda domanda di costruzione parzialmente a posteriori per gli altri due fondi, dove sorsero almeno dieci depositi di materiale inerte di vario tipo, alcune baracche, un frantoio e dove operano svariati mezzi e macchinari. Alla luce degli avvisi cantonali sfavorevoli, con decisioni del 29 settembre 2016, il Municipio negò le due licenze e le deroghe richieste, "ritenendo le attività e le opere contrarie alla funzione di zona (zona industriale e per piccola industria non molesta), sia sulla base del Piano regolatore del 1984, sia su quello vigente. Queste decisioni, confermate dal Tribunale cantonale amministrativo (Tram), con una sentenza risalente al 25 febbraio 2019, sono cresciute in giudicato", si legge nella sentenza di Mon Répos.
Tuttavia, la ditta ha proseguito le sue attività. Perciò il Municipio di Muzzano, con la decisione del 5 giugno 2019, le ha intimato un divieto d'uso dei quattro fondi. Una decisione che è stata confermata il 22 gennaio 2020 dal Consiglio di Stato, ritenuta la violazione materiale delle attività svolte dalla società, che ha presentato ricorso al Tram. Anche i giudici del Tribunale amministrativo cantonale, il 12 maggio del 2021, hanno respinto il ricorso della ditta, che ha pertanto inoltrato un altro ricorso a Losanna. La sentenza è giunta alle parti nei giorni scorsi ed è stata pubblicata sul sito del Tribunale federale.
Sono eloquenti le parole scritte nella sentenza dai giudici federali che hanno respinto il ricorso dell'azienda che ha contestato l'ultimo divieto d'uso intimato dall'autorità locale: "Il principio della legalità e quello dell'uguaglianza esigono che le costruzioni, come quella litigiosa, realizzate senza autorizzazione e che sono in contrasto col diritto materiale, devono essere sospese, e semmai rettificate o demolite, poiché altrimenti sarebbe premiata l'inosservanza della legge: chi pone l'autorità di fronte al fatto compiuto deve quindi aspettarsi che, di fronte agli inconvenienti derivanti all'interessato da un ordine di demolizione, prevalga il ripristino di una situazione conforme al diritto".
I giudici federali hanno ‘censurato’ le argomentazioni della società. Nelll'ultimo ricorso, la società ha sostenuto, a torto, che "l'interruzione delle sue attività non sarebbe sorretta da un sufficiente interesse pubblico, visto che il Comune avrebbe aspettato fino al 2019 per emanare il divieto d'uso". Però, sottolineano i giudici federali, la società "misconosce che tale divieto sia stato adottato dopo che la stessa, senza disporre delle necessarie autorizzazioni, ha persistito nelle sue attività illegali". D'altra parte, fin dal 2001, la ditta precedente aveva dato avvio alle sue attività senza essere in possesso delle necessarie licenze edilizie, ampliandole, poi, nonostante i vari ordini di sospensione dei lavori. Nella sentenza, si legge che "era quindi manifesto che la società dovesse aspettarsi l'emanazione di un divieto d'uso". D'altro canto, la società ricorrente ha rilevato invano che rappresenta un'importante datrice di lavoro, che si avvale della collaborazione di oltre 40 dipendenti e che le attività oggetto del contestato divieto d'uso sarebbero state effettuate da oltre 30 anni.