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Dai matti sulla Senna a Golda Meir, scorre il cinema di Berlino

La lezione di vita di Nicolas Philibert in ‘Sur l’Adamant‘ e la lezione di cinema di Helen Mirren in ‘Golda’

Helen Mirren è Golda Meir
(Jasper Wolf)
21 febbraio 2023
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Ci sono film che hanno il merito di essere ben diretti, con una buona fotografia, un montaggio di rilievo e, soprattutto, capaci di un’intelligenza impossibile da commerciare, capaci di una umanità così vera da emozionare profondamente. Capaci, infine, di regalare il tempo usato per vederli, cosa rara, e di lasciare alla mente e al cuore una lezione di vita indimenticabile. Si tratta, questa volta, di ‘Sur l’Adamant’ di quell’originale regista che è Nicolas Philibert, uno dei grandi documentaristi di oggi. Il titolo è la presentazione: il regista sale su un battello, l’Adamant, che è un centro diurno. Una struttura galleggiante sulla Senna, proprio nel cuore di Parigi, che accoglie adulti affetti da disturbi mentali. Singolare e solitario esempio di risposta al deterioramento e alla disumanizzazione della psichiatria, qui si offre un’assistenza che radica i pazienti nel tempo e nello spazio e li aiuta a recuperare o a mantenere il loro spirito umano originale. Nicolas Philibert naviga con la sua camera in mezzo a questa varia umanità, di volta in volta puntando sull’avvicinamento al soggetto, che è un mondo a sé, con dei confini da rispettare; mai il regista cerca di sfruttare banalmente un volto, una parola, una canzone. Egli riesce a esaltare e cullare con affetto infinito quella compagnia malata, regalando forza a chi combatte per non cadere nel proprio oblio. Certo, Philibert non risparmia un j’accuse alla società circostante che delega al volontariato, e le immagini di un gruppo di questi "malati" che come mendicanti gira tra i cassonetti a raccogliere cibo, necessario per poter stare insieme, nella sua amarezza è la più allegra sequenza vista nell’intero festival.


TS Production/Longride
Da ‘Sur l’Adamant’

Ben più in basso faticano a volare gli altri tre film in competizione: ‘20’000 especies de Abejas’ (20’000 specie di api) della regista Estibaliz Urresola Solaguren, ‘Music’ di Angela Schanelec, e ‘Mal Viver’ di João Canijo. Proprio quest’ultimo film mette in evidenza uno dei gravi problemi del cinema oggi. Canijo spiega di avere avuto come ispirazione Strindberg e il regista Jacques Rivette. Nel film non si colgono queste radici, ma si intuisce il fallimento dell’idea: Rivette aveva attrici e attori veri, qui insieme al cinema manca proprio la recitazione. Eppure ci aspettavamo molto da João Canijo. Per Estibaliz Urresola Solaguren si tratta del primo film di fiction, dopo corti di grande successo, e ‘20’000 especies de Abejas’ paga questo esordio con una narrazione spesso insufficiente, eppure il tema che tocca la pellicola è di quelli brucianti: un bambino che si sente e si atteggia da bambina, e tutto quello che comporta nel suo più fragile periodo di crescita. Lancia in resta, la regista punta dritta all’assoluzione del bambino e alla condanna della società che fatica a stargli vicino, compresa una madre che fin da piccolissimo se lo porta a letto, spedendo il marito sul sofà. Il film porta a un bonario dibattito salottiero nel quale nessuno può negare i diritti dei bambini e delle bambine, senza pensare a cosa può servire realmente a un bambino di otto anni in difficoltà. Infine, ‘Music’ di Angela Schanelec, un complicato racconto che tra montagne e spiagge della Grecia fino ai laghi di Berlino si distende dagli anni 80 ai nostri giorni. Questo per dirci di un gruppo di giovani nati divertendosi e sognando, ritrovatisi a fare i conti con quel tempo passato, conti che si pagano anche con il suicidio. L’originalità del film è nel potente uso del canto barocco e poi fino alla musica dei nostri giorni, un canto sempre con una forte impronta narrativa.


Faktura Film/Schellac
Da ‘Music’

Fuori concorso, non ci ha convinto pienamente ‘Golda’, l’atteso film di Guy Nattiv con una indimenticabile Helen Mirren nel ruolo di Golda Meir, quarto primo ministro d’Israele e prima donna a ricoprire la carica. La Signora Mirren aggiunge questo a uno dei tanti ritratti femminili che ci ha con generosità regalato. È una Golda Meir anziana, fumatrice più che accanita e malata di cancro quella che l’attrice britannica è chiamata a interpretare, nel momento in cui ella si trova ad affrontare con sovrumano sforzo la guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973. Tutto è visto attraverso i suoi occhi che non celano il dolore per la morte di migliaia dei suoi ragazzi, cosa per cui fu chiamata a rispondere in tribunale nonostante la vittoria contro le forze egiziane e siriane. Il film vale la pena di essere visto soprattutto per questa straordinaria Mirren.