Convocati i media per ribattere ‘alle illazioni’ relative ai casi di molestie, il consigliere di Stato precisa: ‘Segnalazioni 7 anni dopo la mia partenza’
Un’esposizione dei fatti in quattro punti per rispondere «a delle illazioni – alcune più velate, altre più spinte – contenute in alcuni atti parlamentari e articoli di giornale». Punti che ripercorrendo quanto spiegato da Manuele Bertoli nella conferenza stampa convocata in merito al caso Unitas sono così riassumibili: della lettera scritta dalla collaboratrice che si è suicidata ha ricevuto solo degli estratti, l’audit ha stabilito che non c’è stato mobbing, le segnalazioni di molestie sono arrivate sette anni dopo che aveva lasciato la direzione, la gestione delle prestazioni della Fondazione non è mai stata in mano a una sola persona. È questa la scaletta – aperta da una premessa e chiusa da un auspicio – delle precisazioni che il consigliere di Stato ha valuto fare davanti ai media in merito alla vicenda delle molestie sessuali perpetrate per decenni da un ex alto dirigente dell’Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana di cui lui stesso è stato membro di comitato (da fine anni Novanta al 2001) e poi direttore (fino al 2011, quando è stato eletto in governo).
Un incontro che Bertoli ha specificato di non aver indetto in qualità di consigliere di Stato ma a titolo personale dato che i dubbi avanzati sul suo operato, in particolare in relazione a quanto sapesse, riguardano il periodo in cui era attivo ai vertici di Unitas. Scopo dichiarato, quello di mettere pubblicamente in luce gli avvenimenti in vista della probabile discussione generale che si terrà in parlamento nella sessione al via lunedì: «Prima che si vada in mille direzioni ho ritenuto opportuno riferire i fatti affinché se ne tenga conto. Anche perché per il governo, se deve parlare qualcuno, lo fa il responsabile del dossier». In questo caso il direttore del Dss Raffaele De Rosa.
Punto due, il mobbing: «Come si può leggere dalla risposta del governo all’interpellanza trasformata in interrogazione di Marco Noi e cofirmatari al punto 7, l’audit esterno non ravvisa mobbing», ha evidenziato Bertoli. La frase per la precisione è: "Dal rapporto non emergono convergenze sufficienti per poter affermare che vi fosse un atteggiamento sistematico e diffuso, lesivo della personalità dei collaboratori Unitas". Questo per Bertoli «conferma quello che dissi a laRegione il 15 marzo dello scorso anno, ovvero che quando ero direttore, e a questo punto posso dire anche prima, non c’è mai stato mobbing».
Per quel che concerne «chi sapeva e chi no» delle molestie accertate dall’audit, per Bertoli la risposta del governo basata sull’audit «è chiara: le segnalazioni sono cinque e sono avvenute dal marzo 2018 al marzo 2020. Io ho lasciato la direzione di Unitas sette anni prima. Purtroppo – ha commentato a proposito – senza segnalazioni è complicato immaginarsi le cose, soprattutto questo genere che per loro natura tendono a rimanere sepolte. Finché la gente non parla il problema è difficile da affrontare». Ha poi aggiunto che «quello che ho fatto sulle molestie al Decs credo che testimoni chiaramente che non ero uno di quelli che guardava altrove, anche se non tutte le segnalazioni sono finite in provvedimenti drastici come licenziamenti perché non sufficientemente corroborate».
Bertoli si è poi soffermato sulla Fondazione di cui ancora è presidente, costituita nel 2000: «Si tratta di un soggetto separato da Unitas. L’atto di fondazione prevede che aiuti l’Associazione, valuti dei progetti che le vengono sottoposti, e che eroghi delle prestazioni sulla base di un protocollo. A prendere le decisioni è il Consiglio di fondazione, ovvero tutti i membri». Questo Bertoli ha tenuto a precisarlo in quanto «tra le cose raccontate in questi mesi c’è anche quella dell’eventualità che l’autore delle molestie potesse prevaricare non concedendo prestazioni. Ciò non è mai stato possibile».
‘Ora non ci sono abbastanza persone pronte per il ricambio di comitato, sono preoccupato’
In conclusione Bertoli ha tenuto a manifestare vicinanza alle vittime: «Quando accadono questioni come queste è giusto e necessario che se ne parli, perché investono una collettività. Ritengo che quando si tratta di dolore sia giudizioso non giudicare, non commentare ma accogliere quanto viene espresso». Bertoli ha però voluto aggiunge che, oltre al rispetto della sofferenza delle vittime, è necessario avere rispetto per il futuro dell’associazione. L’auspico espresso è che Unitas «possa continuare a fare quello per cui è nata». Al suo Dna originario aveva fatto riferimento nella premessa in cui spigava che l’Associazione è sempre stata composta a tutti i livelli – anche nel comitato e nella direzione – da persone cieche e ipovedenti sulla base di «un’idea di emancipazione, di autogestione, di affrancamento da una condizione di dipendenza». E riferendosi all’ingiunzione del Consiglio di Stato di cambiare completamente il comitato, ha sollevato criticità nel caso si volesse procedere troppo rapidamente: «Bisogna agire con testa se si vuole che continui a essere un’Associazione di autoaiuto che mantenga la sua identità. Perché se una serie di persone se ne va – e forse è giusto che se ne vadano – ora non ce ne sono abbastanza per prendere il loro posto. Cercare tra i ticinesi è un conto, farlo tra i ciechi e gli ipovedenti riduce di molto la platea». Quanto all’ipotesi di commissariamento avanzata da più parti, «va bene per gli enti pubblici o i Comuni – ha ribattuto –, ma non si può fare per una società di diritto privato. E anche se si potesse, si andrebbe in un’ottica contraria a quella dell’autoaiuto». E allora come combinare tutto? «Non lo so – ha ammesso – ma sono preoccupato».
Quanto al clima di ostilità nei confronti di chi si è espresso sui media con nome e cognome – alcuni soci, ex membri di comitato, collaboratori, volontari e vittime che hanno denunciato i fatti –, Bertoli ha commentato che «se hanno avuto delle ripercussioni è sbagliato, non si fa così. È chiaro che internamente c’è un vissuto complicato di chi ha subito le molestie e poi ci sono altre persone che di tutto questo hanno solo udito parlare e sentono messa in dubbio la bontà dell’associazione in cui fanno attività. Spero che questo si possa superare con la buona volontà da una parte e dall’altra».
"Il consigliere di Stato Ps Manuele Bertoli ha perso un’altra occasione per stare zitto": durissima la presa di posizione arrivata in redazione nel pomeriggio a firma Mps. Nel testo il Movimento per il socialismo in merito al suicidio della collaboratrice scrive che "il consigliere di Stato si limita a dire che ‘quel fatto ci ha lasciati tutti di stucco’, di aver chiesto il testamento della vittima ma di non averlo ricevuto, così ha ritenuto il caso chiuso...". Mentre sulle molestie verificatesi per 25 anni su almeno 5 donne all’interno di un luogo di lavoro commenta: "Come si fa a non percepire nulla e a non cogliere segnali di malessere e di malcontento?", e aggiunge: "È veramente ora di finirla di dare la responsabilità alle vittime che non hanno segnalato quanto accadeva. È compito di una direzione (di qualsiasi azienda o luogo di lavoro) vigilare affinché certe cose non succedano". La nota si chiude con un giudizio che non fa concessioni a Bertoli: "Sostanzialmente dice che la cura e il sostegno alle persone ipovedenti sono più importanti del benessere delle vittime... le attività dell’Associazione devono andare avanti, quindi nessun azzeramento del comitato, nessuna assunzione di responsabilità. Una posizione vergognosa e inaccettabile, un ulteriore schiaffo alle vittime e alle loro famiglie". La discussione in parlamento si preannuncia molto animata.