Con l’avvento delle multisale, alcuni cinema si sono reinventati aprendosi a più attività. Viaggio nella storia del monosala di Como, oggi luogo di vita.
Ogni esperienza al cinema è preceduta da un itinerario, una passeggiata, la memoria si distende tra esperienze vive, le vicissitudini dell’esistenza, l’attesa. Una speranza in più per il giorno. I primi ricordi del mondo cinema mi portano mano nella mano con mia mamma, attraversando vie e piazze di Milano. Passanti, semafori e noi a piedi intorno allo sferragliare dei tram, mentre i piccioni prendono il volo. La meta, il ‘Gloria’, anno 1928, passando da Piazza Piemonte con i grattacieli d’epoca che ti portano un po’ a Parigi. Qui, ‘Il Teatro Nazionale’, dove molti anni dopo incontro Carmelo Bene, i ‘Canti Orfici’ di Dino Campana, testi in prosa e in versi letti con una voce arcana, l’incanto. Arrivati in Corso Vercelli, entriamo, la sala ancora illuminata, la cassiera, poi il buio.
‘Gloria’, è anche il cinema dove sono andato molte volte al pomeriggio, Como, salendo via Varesina, al confine tra Camerlata e Rebbio. Cinema d’autore, cineforum, eventi. Spazio aperto all’incontro fondato sull’associazionismo popolare. Ne parlo con Vincenzo D’Antuono, presidente del ‘Circolo Arci Xanadù’ costituitosi per rilanciare nel 2007 questa storica sala, dopo due anni di chiusura. Scelta visionaria, audace. «Il ‘Gloria’ è una sala storica che ha tenuto la piazza dignitosamente, un cinema commerciale che ha saputo guardare anche ad altre cose. Chiude nel 2005 perché contemporaneamente aprono due multisale, una a duecento metri, l’altra a cinque chilometri. Viene a mancare il pubblico, la disponibilità delle pellicole. Obtorto collo, cessa l’attività».
Cosa è avvenuto, dopo? «Ci siamo fatti avanti, un gruppo che si è costituito sulla base di solide relazioni, trascorsi politici combinati a persone preparate sul terreno del cinema e della musica. Così, nasce l’associazione ‘Circolo Arci Xanadù’ nell’intento di affittare la sala con un’idea chiara. Il cinema, post-cinema». Un nuovo sguardo. «Eravamo coscienti che le condizioni perché il luogo potesse essere solo cinema non esistevano più, considerando che allora a Como c’erano altre sale che via via hanno chiuso. I presupposti per un cambiamento. Io stesso provengo da esperienze associative di promozione sociale e culturale, per anni mi sono occupato di circuiti ed eventi musicali». Un terreno fertile, le competenze. «Leggevamo il territorio. La struttura ha un bar, uno spazio esterno, caratteristiche per fare anche altro. C’era il potenziale, un pubblico portatore di nuove domande, soggetti organizzati che potevano utilizzare gli spazi. Partiamo il 27 gennaio 2007 con un omaggio a Fabrizio De André, titolo, ‘Dai diamanti non nasce niente’, da allora la nostra messa cantata. Stiamo preparando la diciassettesima edizione, trovando sempre forte rispondenza. Un aneddoto, carino, è che mentre apriamo a Como si abbatte la Ticosa che è ancora lì».
Difficoltà? «Ci siamo scontrati con le leggi del mercato e partire come abbiamo fatto noi coi debiti ti mette subito in difficoltà. La cosa bella è che siamo riusciti a centrare il segno dal punto di vista politico, nel senso ampio del termine. Il messaggio che volevamo trasmettere è quello di uno spazio pubblico autogestito, spazio della città, qualcosa in cui riconoscersi ed è stato importante perché i soci, i sostenitori, ci hanno aiutato». Creare interessi, convergenze. «Tieni conto che qui abbiamo tre persone stipendiate, per il resto siamo volontari. In vari momenti il sostegno ci ha permesso di intervenire sulla struttura, ad esempio rifare il tetto, fino ad arrivare alla campagna, ‘Manchi Tu nell’aria’, un passaggio esaltante, la sala piena, uno slancio incredibile». L’obiettivo? «Ambizioso. Un’azione di crowdfunding per arrivare a duecentomila euro, cifra che ci metteva in condizione di acquistare l’immobile. Obiettivo difficile da realizzare, ma se non ci provi…». Quanto raccogliete? «Ottantatremila euro, di per sé un successo enorme. Poi, il Covid ci ha stroncato».
Vincenzo, prende l’iniziativa di parlare alla proprietà dando valore alla campagna svolta; riuscire a ottenere sei anni di contratto utilizzando la somma per la messa a norma definitiva del luogo. Un tempo necessario per poter parlare, in prospettiva, di un acquisto. Così, arriva il consenso. «Dal 2023 dovremo ripensare la monosala, la sua valenza; le cose che facciamo diventano fattore di ricomposizione dei soggetti in una fase di atomizzazione generale. Persone che possono venire qui in piena autonomia». Parlavi del piano politico. Riguarda anche i finanziamenti? «Molti sono andati per il circuito multisale. Se volevamo ottenerli ci mettevamo una seconda sala. Le monosale andrebbero riconosciute come lo sono i teatri, questo per la loro funzione culturale, un luogo a sé. In altre parole, ti metto in condizione di fare quello che pensi e progetti». Il luogo, le periferie. Como centro, vetrina, consumo. «Se non hai un luogo dove applichi le idee? Le persone desiderano incontrarsi. Como, è generalmente vissuta come balletto, tranne che la parte più popolosa abita, vive, in periferia».
Il cinema del lunedì e giovedì, quello all’aperto, ‘35 mm sotto il cielo’, restano? «Sono capisaldi. Stiamo ragionando sul lunedì perché è cambiato il pubblico; dobbiamo rivitalizzarlo. La programmazione vuole tenere conto di esigenze diverse, ci sono produzioni bellissime nel campo della commedia. Giochiamo su due piani. Adesso, stiamo proponendo tre film per gli studenti del Giovio sul tema della diversità e lo facciamo con film godibili. Ci sono tanti livelli di comunicazione». Per il 2023 in cantiere teatro, musica che non si ferma a un genere spaziando dal quartetto d’archi su musiche di Ennio Morricone a concerti di tendenza.
Vincenzo D’Antuono, parlando del confine tra Camerlata e Rebbio, riprende il concetto di frontiera e della capacità del ‘Gloria’ di non essere stato ghettizzato, mantenendo un profilo di sinistra senza mai piantare una bandiera. «Le persone devono sentirsi accolte, sentirsi a casa», dice. Alla fine del nostro incontro, prima di prendere il bus passo vicino a dei negozi, panettiere, ottico, bar tabacchi, più avanti la piattaforma circolare che con luci al neon ospita le macchine in sosta. Opposte tenacemente alla fiction del centro, le periferie rappresentano l’essere città tenendo una distanza critica, molteplicità dei volti in un solo volto. Nessuno è fuori scena se solcando i margini del pensiero intravede un luogo dove essere, abitare, lavorando per nuove forme di relazione e ospitalità. Le ragioni poetiche di Via del campo, restano, si prolungano nel giorno che viene domani, dopo. ‘Dai diamanti non nasce niente’, basta ascoltare per capire.