laR+ Castellinaria

Il ‘Dante’ di Pupi Avati, sommo sì, ma anche uomo

Si apre oggi il 35esimo Festival del cinema giovane: il regista non ci sarà, ma lascia la scena al ‘più ineffabile dei poeti’, in prima internazionale

Il film, in anteprima internazionale, è ispirato al suo romanzo, ‘L’alta fantasia’
(Keystone)
19 novembre 2022
|

«Sto meglio, ho ripreso a girare il film, lentamente tutto si è risistemato», ci dice al telefono. È noto, il 35esimo Castellinaria aprirà senza Pupi Avati, lo scompenso cardiaco dello scorso 2 novembre ha avuto la meglio sul Festival del cinema giovane. Ci sarà per lui, come previsto, la prima internazionale del suo ‘Dante’, proiettato nella nuova sede di Castellinaria, il Mercato coperto di Giubiasco, alle 20.45.

Il ‘Dante’ di Avati inizia la notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, al capezzale del "più ineffabile dei poeti", morto in esilio. Più in là, nel 1350, Giovanni Boccaccio (Sergio Castellitto) viaggia da Firenze a Ravenna per consegnare a Suor Beatrice (Valeria d’Obici), monaca nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi, dieci fiorini "come risarcimento delle ingiuste pene che la città di Firenze ha inflitto al di lei genitore". È attraverso Boccaccio, al quale si devono la critica e la filologia dantesca e, indirettamente, la Divina Commedia, che Avati racconta il Dante uomo, inedito. Nel film, e così nel romanzo ‘L’alta fantasia’ al quale la pellicola s’ispira, Boccaccio accetta l’incarico per consentirsi un’indagine sulla vicenda umana e sulle ingiustizie subite dal sommo poeta, negli ultimi vent’anni di vita da condannato al rogo e alla decapitazione, incontrando chi gli offrì supporto e chi, al contrario, glielo negò. Nel ricco cast spicca il Dante giovane, un intenso Alessandro Sperduti.

Pupi Avati. L’idea per il suo ‘Dante’ risale al 2003: cosa è accaduto in questi vent’anni?

Sono stati vent’anni comunque meravigliosi, anche se vissuti nell’attesa di poter fare questo film, con una certa frustrazione derivante dal disamore ampiamente diffuso nei confronti di Dante Alighieri, che ho potuto verificare di persona. Disamore non solo da parte di committenti istituzionali come la Rai, che si era impegnata nel 2002 per poi farci attendere sino al 2021. Il mio film è un momento di avvicinamento e umanizzazione di cui il personaggio necessitava, per colmare quella distanza siderale che soprattutto la scuola e il mondo accademico hanno creato, un muro di protezione, un piedistallo sul quale lo hanno elevato, rendendolo troppo distante per suscitare interesse.

Vi è però una considerazione che mi sento di fare oggi, alla luce di quanto sta accadendo nel rapporto tra il film e il mondo della scuola: siamo molto riconoscenti, dal Ministero della pubblica istruzione italiana a scendere, per ciò sta accadendo al film, perché al di là della programmazione cinematografica, molto soddisfacente, ci gratifica la programmazione per le scuole. Il mondo della scuola, quello dei docenti, ha avvertito il film come uno strumento didattico, di trasporto, di complemento all’insegnamento, quest’ultimo di loro esclusiva competenza.


Keystone
A destra, Sergio Castellitto (Giovanni Boccaccio)

Come mai nessuno si è mai occupato di raccontare la vita del Dante uomo? E perché si è dovuto attendere Pupi Avati?

Difficile rispondere. Mi pare vi sia stata una sorta di appropriazione da parte del mondo accademico che ha fatto di Dante Alighieri una cosa propria, elevata, esclusiva, convincendoci della nostra inadeguatezza, producendo questa distanza tra noi e l’essere umano. È stato a lungo un Dante imposto, più che condiviso. In me, questa ricerca di ‘risarcimento’ nasce quando mi sono trovato a dovermi acculturare, dopo aver cominciato a immaginare di poter e voler fare il cinema, confrontato ai miei colleghi e i miti romani: parliamo degli anni 60, di un cinema fatto da persone di grande spessore culturale nei confronti delle quali ho avvertito tutta la mia inadeguatezza.

Ero già trentenne e avevo capito di aver sprecato la gran parte degli anni della mia giovinezza senza capire che l’acculturarmi doveva essere una priorità, dal momento che intendevo utilizzare uno strumento come il cinematografo. Da allora, mi sono avvicinato da totale autodidatta, senza alcun supporto scolastico, nella più totale sfrontatezza, leggendo i classici senza nessuno che mi aiutasse. È stato un approccio straordinario che mi ha portato sino a Dante.

La ricchezza della sua biblioteca dantesca è nota: da quale opera ha cominciato?

Sono arrivato a Dante attraverso la Vita Nova, quel diario che egli redige all’indomani della morte di Beatrice, un prosimetro in cui racconta il suo rapporto con questa donna, sino alla morte di lei. Era così dettagliato, convincente, emozionante, così pienamente coincidente col mio modo d’innamorarmi di ragazzo, che ho cominciato a immaginare che Dante non fosse quel personaggio irraggiungibile, ineffabile che ci avevano prospettato nella scuola italiana; anch’egli era stato un ragazzo come tanti, con le sensibilità, le timidezze, le vulnerabilità, il senso d’inadeguatezza di tutti i ragazzi del mondo, prima di manifestare la sua dismisura poetica, l’onniscienza, che fanno di lui un essere del tutto speciale. Il punto di partenza, quindi, era condivisibile e mi ci riconoscevo, quello di un ragazzo come lo sono stato io. Mi sembrava allora che nella sterminata bibliografia dantesca del mio essere bibliofilo non esistesse un testo in grado di dirmi quale essere umano fosse Dante Alighieri.

Ho provveduto io scrivendo il romanzo ‘L’alta fantasia’ e questo film. Naturalmente non l’ho fatto in solitaria, ma avvantaggiandomi della consulenza di una decina di dantisti, e ancor prima di Francesco Mazzoni ed Ezio Raimondi, sommi dantisti venuti a mancare, ai quali chiesi di dirmi se, secondo loro, raccontare Dante attraverso Boccaccio potesse essere idea apprezzabile. Manifestarono subito il loro entusiasmo. Ma al di là dei miei consulenti, che hanno partecipato al progetto e dunque sono di parte, mi colpisce la reazione del mondo accademico: mi stanno prospettando una laurea magistrale in Italianistica alla Sapienza di Roma. Evidentemente, in questo progetto hanno individuato qualcosa che possa affiancarsi al lavoro dei dantisti, che al poeta hanno dedicato l’intera propria vita.


Keystone
Il cast

Colpisce, nelle potenzialità narrative di una tale storia – e colpisce positivamente – la durata relativamente breve (un’ora e quaranta minuti) del suo ‘Dante’: non ha mai sentito la tentazione di dilatarlo in una serie, se non una saga?

No, mai. Mi sono voluto tenere molto lontano dalla fiction, ho fatto di tutto per non umiliare Dante Alighieri attraverso una sbrodolatura televisiva, ho cercato di cogliere attraverso dei tableu vivant l’essenziale della vicenda umana. Il resto, la parte di approfondimento culturale che riguarda soprattutto la sua opera, spetta ad altri, io non sono un docente. No, mai nessuna tentazione di farne una serie, d’altra parte la Divina Commedia è opera totalmente risolta, per quanto si sappia che molti registi, da Fellini a Zeffirelli, avevano immaginato di poterla tradurre in un film, cosa che fortunatamente non hanno fatto.

C’è un intento che pare quasi pittorico nel ritrarre il viaggio del Boccaccio: c’è una precisa fonte d’ispirazione?

Grazie ad altri progetti, uno su tutti ‘Magnificat’, che feci negli anni 90, sono riuscito a raccontare l’Alto Medioevo, un periodo dell’essere umano che gli storici italiani avevano totalmente trascurato, visto che dobbiamo la conoscenza di quelli che in Italia venivano definiti ‘secoli bui’ ai soli storici francesi. Con quel film sono riuscito a vincere i tre premi di medievistica non cinematografica ma accademica, più significativi ancora. Io e il Medioevo abbiamo un rapporto solido e consolidato, mi fa piacere che l’immagine sia oggetto del suo apprezzamento, per quella ci siamo ispirati solo ed esclusivamente agli affreschi coevi.

Anche le location sono tutte coeve?

Di ricostruito c’è pochissimo, gran parte sono in Umbria. C’è una buona fetta del Paese che ha ancora nelle sue aree di più difficile passaggio, in quelle più impervie, tanti edifici, chiostri, monasteri, luoghi meravigliosi, rimasti esattamente come nel Medioevo e che nessuno visita.

Non sarà a Bellinzona questa sera: c’è un messaggio, un suggerimento che vuole dare ai giovani di Castellinaria da queste pagine?

Sì, volentieri. Riguarda la bellezza dell’acculturarsi, dello studiare. Io ho vissuto un rapporto complicatissimo con la scuola; solo frequentarla era una punizione anziché un piacere, e così l’apprendimento. Non so come sia la scuola di oggi, perché con essa, alla mia età, non ho più nessun tipo di rapporto, ma riuscire a scoprire la bellezza dell’arricchirsi culturalmente significa cogliere un’opportunità che la vita ti dà e che soltanto una minima parte degli esseri umani coglie, per poi condividerla. In questo senso, sono importanti gli insegnanti, vi è tanto bisogno di quelli che sanno trasmettere la passione, l’amore, la gioia, e la riconoscenza che essi stessi debbono all’aver scoperto la bellezza attraverso lo studio.


Il vestito indossato da Winona Ryder nel film ‘L’età dell’innocenza’ (1993) di Martin Scorsese

Oggi e domani

L’Orso d’Oro e il cucciolo ticinese

Prima di Pupi Avati, sarà l’Orso d’Oro dell’ultima Berlinale ad aprire oggi pomeriggio alle 17 la 35esima edizione di Castellinaria. ‘Alcarràs’ (Spagna/ Italia 2022), pellicola proposta in collaborazione con il Film Festival Diritti Umani Lugano. Quella della regista Carla Simón è un’epopea familiare in cui tradizione e innovazione fanno scintille quando, in un paesino della Catalogna, un frutteto secolare deve cedere il posto a dei pannelli solari.

Di domenica, Castellinaria apre alle 11 con la novità ‘Apericorto’, selezione di cortometraggi per tutti, con aperitivo offerto. Alle 15, il momento-famiglie con il film d’animazione ‘Princesse Dragon’ (Francia, 2021) di Jean-Jacques Denis e Anthony Roux, storia di una ragazzina allevata dai draghi. Alle 18.15, ‘Il grande dittatore’ (Stati Uniti, 1940), capolavoro di Charlie Chaplin; in serata, la prima svizzera di ‘Hill of Vision’ (Italia/ Stati Uniti, 2022) di Roberto Faenza, film in concorso nella sezione Kids che racconta la difficile infanzia di Mario Capecchi, premio Nobel per la medicina nel 2007. Nel cast, anche un giovane attore ticinese, Ruben Buccella, presente alla proiezione.

Tornando a oggi. Alla Sala Arsenale di Castelgrande a Bellinzona – per rimanervi sino all’8 gennaio 2023 – apre la mostra ‘Vestire il cinema’, una selezione di abiti realizzati dalla Sartoria Tirelli di Roma, nome italiano d’eccellenza nell’ambito dei costumi per il grande e il piccolo schermo, fra i quali quello indossato da Winona Ryder nel film ‘L’età dell’innocenza’ (1993) di Martin Scorsese. A fianco della mostra (stessa sede) si svolgono gli atelier tenuti dalle costumiste Barbara Splendiani Unternärher e Michelle Wüscher, così come quelli di stop motion tenuti da Alessia Tamagni. Gli atelier si rivolgono alle scuole che si possono prenotare scrivendo a segretariato@castellinaria.ch o telefonando allo 091 825 3511 (tutte le informazioni, e il programma completo, su www.castellinaria.ch).