La modifica di legge approvata dal Gran Consiglio nella seduta di martedì ha scatenato a stretto giro di posta la reazione dei sindacati
«Combatteremo fino alla fine per poter abrogare queste modifiche di legge che attaccano il tempo di lavoro e il tempo di vita degli impiegati nel settore del commercio al dettaglio già gravemente precarizzato e indebolito. Per questo lanciamo il referendum. E nonostante i dissidi del passato lo facciamo congiuntamente perché di fronte a una questione così grave abbiamo trovato immediatamente un’intesa». Proprio non ci stanno isindacati Unia e Ocst con la decisione presa dal Gran Consiglio martedì di estendere gli orari di apertura dei negozi. E così hanno deciso di avviare una raccolta firme per portare il popolo ticinese alle urne, come già ventilato alla fine della votazione con cui il parlamento ha deciso con 52 sì a 31 no di cambiare la Legge sull’apertura dei negozi (Lan) per concedere "maggiori margini di manovra e più libertà d’iniziativa per quanto riguarda il commercio al dettaglio", aderendo alla richiesta di un ampliamento di tempi e spazi d’apertura dei negozi contenuta nell’iniziativa parlamentare ‘Lavorare significa poter lavorare’ presentata da Alessandro Speziali per il gruppo Plr.
«Abbiamo un mandato specifico attribuitoci dai lavoratori del settore per dare loro voce, ma anche risalto a quell’invisibilità che come abbiamo visto nel dibattito di martedì è enorme», ha detto in conferenza stampa la responsabile del settore terziario di Unia Chiara Landi. «Sono state accolte solo le richieste delle associazioni padronali di categoria voltando la faccia alle preoccupazioni del personale impiegato nel commercio al dettaglio», ha poi sostenuto, facendo riferimento ai 8’500 lavoratori del ramo di cui il 70% donne.
Le modifiche contestate sono l’aumento da tre a quattro le domeniche all’anno durante le quali i lavoratori possono essere occupati nei negozi senza richiedere alcuna autorizzazione, la concessione per l’apertura delle attività fino alle 19 anche nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica (escluso il Primo maggio) e nelle domeniche che precedono il Natale, e l’aumento delle superfici da 200 a 400 metri quadri per quanto riguarda i negozi che hanno diritto alle deroghe di legge previste per le località turistiche la domenica.
«A piccoli passi, cercando di non destare troppo l’attenzione, si sta andando verso una liberalizzazione generalizzata», ha deprecato Landi, ricordando che già dopo le modifiche della Legge sui negozi entrate in vigore a gennaio 2020 «si sono create dinamiche molto impattanti sul personale. Sono ad esempio stati aggiunti 5 giorni di apertura nei festivi non parificati alle domeniche. C’è stata una liberalizzazione di 7 giorni su 7 fino alle 22.30 nelle località turistiche che ormai coprono gran parte del cantone. Mentre non si è vista la tanto declamata creazione di nuovi posti di lavoro». Anzi, secondo la sindacalista «si è consolidato ancora di più l’impiego su chiamata o a turni, col frazionamento delle giornate lavorative. Contratti precari che questa nuova modifica non farebbe che aumentare». Secondo Landi inoltre con l’aumento della metratura «ci rimetterebbero ancora i piccoli commerci in concorrenza con la grande distribuzione che ha tante filiali al di sotto dei 400 metri quadrati».
Particolarmente irritante per i sindacati è poi il fatto che «in questi giorni stiamo assistendo a un tentativo di minimizzare queste preoccupazioni dei lavoratori e delegittimare chi si fa carico di questi interessi e si batte per difendere i loro diritti – ha illustrato Landi –. In un cantone dove sorgono finte organizzazioni sindacali create per eludere la legge e dove ci sono aziende che pagano i dipendenti con salari al minuto, la politica rimane generalmente silente e tiepida, mentre si scaglia contro i sindacati che hanno il compito di tutelare chi permette all’economia di funzionare».
Paolo Locatelli, responsabile del settore della vendita e vicesegretario cantonale Ocst, ha da canto suo affermato che «il referendum è l’unica decisione che abbiamo trovato possibile per rintuzzare il modo di fare di certi politici che affrontano con meri scopi elettorali i problemi legati al mondo del lavoro». E tornando anche lui sulla modifica di legge introdotta nel gennaio 2020, ha spiegato: «In quel momento il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta aveva detto che prima di cambiarla nuovamente se ne sarebbe dovuto verificare l’impatto. Ma poco dopo è arrivata la pandemia che ha sfalsato qualsiasi analisi obiettiva. Nonostante ciò ecco che poco dopo un rappresentante del suo stesso partito lancia questa iniziativa». A dar fastidio anche a Locatelli è «la narrazione» che si creeranno 25 posti di lavoro e il minimizzare la portata dei cambiamenti: «Ad esempio la domenica in più era stata al centro delle precedenti e lunghissime contrattazioni. Eravamo riusciti a salvaguardarla dando in cambio i cinque giorni festivi in più. Per questo è estremamente scorretto il giochetto ora messo in atto»».
Le 7mila firme necessarie alla riuscita del referendum dovranno essere presentate entro il 20 dicembre. «Probabilmente creeremo un comitato referendario a cui aderiranno altri attori», ha comunicato Locateli, dicendosi fiducioso della riuscita: «Perché in Ticino la gente è stufa di vedere sempre più settori professionali dove la parola flessibilità diventa il totem per sfruttare i lavoratori».