Ticino

‘Una fetta alla volta tolgono il tempo libero ai lavoratori’

Unia e Ocst lanciano la campagna in vista del voto del 18 giugno sulla modifica della legge sulle aperture dei negozi. ‘È una liberalizzazione a tappe’

Tre le modifiche della Legge sugli orari di apertura dei negozi contestate
(Ti-Press)
20 aprile 2023
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«Siamo davanti al secondo atto di un’opera di apertura e liberalizzazione del commercio. Con la ‘tattica del salame’ una parte della politica e del mondo economico vogliono imporci un modello di società dove si lavora 7 su 7, 365 giorni l’anno». Con questa premessa – e lo slogan “la domenica non si vende" – è stata lanciata questa mattina da un “comitato trasversale” la campagna contro le modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi. «Sono modifiche che non si rivolgono ai piccoli commercianti, che spesso non hanno la possibilità di aprire più di quello che fanno già ora, ma alle grandi catene di distribuzione», ha spiegato Chiara Landi, responsabile del settore terziario di Unia. La modifica, partita da un'iniziativa parlamentare del presidente Plr Alessandro Speziali, è stata approvata dal Gran Consiglio lo scorso mese di ottobre. Tre le modifiche sostanziali contro le quali Unia, Ocst e una serie di associazioni hanno lanciato il referendum (7’168 le firme raccolte): aumentare da tre a quattro le domeniche all’anno durante le quali i lavoratori possono essere occupati nei negozi senza richiedere alcuna autorizzazione, di concedere l’apertura delle attività fino alle 19 anche nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica (escluso il Primo maggio) e nelle domeniche che precedono il Natale, e di aumentare le superfici da 200 a 400 metri quadri per quanto riguarda i negozi che hanno diritto alle deroghe di legge previste per le località turistiche la domenica. La popolazione sarà chiamata alle urne il 18 giugno.

‘Non cambierebbe molto. I soldi a disposizione dei ticinesi sono sempre gli stessi’

«Secondo atto». Un concetto ripetuto più volte durante l’incontro con i media alla Casa del Popolo di Bellinzona. «Nel 2020, in piena pandemia, sono entrate in vigore le liberalizzazioni introdotte nel 2015. Ora si vuole andare oltre, e lo si fa senza aver consultato le parti sociali e senza conoscere i risultati che la prima liberalizzazione ha prodotto», ha detto Benedetta Rigotti di Ocst. «Studi svolti in Italia dimostrano che liberalizzando il commercio nel fine settimana non aumenta il fatturato, semplicemente lo si concentra nei giorni di sabato e la domenica». Proprio su questo punto i due sindacati hanno voluto insistere: «Il problema non sono gli orari di apertura dei negozi, ma i salari troppo bassi dei ticinesi. Anche con negozi più aperti il budget a disposizione delle famiglie è sempre lo stesso». Rigotti ha poi aggiunto: «Le più colpite da queste ulteriori aperture sarebbero le donne e le mamme. Per loro un’ora in più di lavoro o una domenica lontano dai figli non è a ‘impatto zero’».

‘Sarebbero molti i negozi che potrebbero aprire in maniera generalizzata’

Delle tre modifiche votate dal Gran Consiglio, quella ritenuta più «pericolosa» è l’estensione da 200 a 400 metri quadrati di superficie dei negozi che hanno diritto alle deroghe di legge previste per le località turistiche la domenica. «Non bisogna farsi ingannare, è il punto meno chiaro ma che porterebbe ai cambiamenti più significativi per lavoratori e lavoratrici», ha avvertito Landi. «Se passasse questo punto sarebbero moltissimi i commerci che potrebbero quindi tenere aperto in maniera generalizzata: 7 giorni su 7 per più di 16 ore al giorno. Anche perché il concetto di ‘zona turistica’ (tra i requisiti per avere la deroga, ndr) è decisamente ampio in Ticino e riguarda 80 comuni su 106». E le conseguenze, sempre secondo i sindacati, sarebbero prevedibili: «Dev’essere chiaro – ha continuato la responsabile del settore terziario di Unia – che non si andranno a creare nuovi posti di lavoro con queste liberalizzazioni. Ad aumentare saranno invece gli impieghi su chiamata e il precariato».

‘A questo punto le famiglie fanno prima a traslocare nei centri commerciali’

A sostegno del referendum ci sono anche quelle forze politiche che si sono opposte all’iniziativa durante il dibattito parlamentare. «Eravamo contrari in aula e lo saremo anche durante questa campagna di avvicinamento al voto», ha affermato il deputato dei Verdi Marco Noi. «Siamo contrari a questa logica del consumo che riguarda sia l’ambiente che il lavoro e i lavoratori». Sulla stessa lunghezza d'onda il socialista Igor Cima, «siamo contrari a questa misura che genera precariato». Per Gianfranco Cavalli, del Partito operaio popolare, «si cerca di rubare ai lavoratori il tempo, a questo punto le famiglie faranno prima a traslocare nei centri commerciali».