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La battaglia di Piero (per il diritto di vivere qui)

Un giovane italiano che si è formato in Ticino si è visto revocare il permesso B. Non ha i mezzi per mantenersi. Ma lui non si arrende

A volte può diventare un miraggio
(Ti-Press)
19 ottobre 2022
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Trovare un posto nel mondo. Piero (il vero nome è noto alla redazione) non cerca altro. Anzi, è da sempre la sua ragione di vita come «individuo». Per due volte, però, lui, cittadino italiano di nascita, è stato rifiutato dalla Svizzera, un po’ il suo secondo Paese da quando all’età di tre anni, a metà anni Novanta, calpesta per la prima volta questo suolo. La mamma trova lavoro in una struttura sanitaria; la nonna ha qui le sue origini. Il Ticino diventa così la sua terra, dove crescere, frequentare la scuola dell’obbligo e aspirare a imparare un mestiere: da ‘grande’ vuole fare l’installatore elettricista. Obiettivo che sta ancora inseguendo, pur essendo ormai un giovane adulto.

Nel mezzo ha incrociato, infatti, tutta una serie di vicissitudini, che lo hanno portato a lasciare la Confederazione e a rientrare in Italia per gravi ragioni di famiglia; e poi a ritornare, di nuovo. Sino alla decisione che gli cambia la vita, nell’estate del 2020. Il suo permesso B di dimora non vale più: deve andarsene. Ed è qui che comincia la sua battaglia: la battaglia di Piero. Che oggi non è ancora finita. In effetti, per l’autorità cantonale il giovane non può restare. La conferma è giunta meno di un mese fa: il Consiglio di Stato (CdS) ha riaffermato quanto già pronunciato dalla Sezione della popolazione. Ma lui non ci sta e ha tutta l’intenzione di bussare al portone del Tribunale cantonale amministrativo (Tram).

‘Per me è un’ingiustizia’

Il confronto con lo Stato del Canton Ticino, infatti, è ancora in atto, dopo due anni. E ai suoi occhi sembra quasi una prova di resistenza. Unici alleati il suo datore di lavoro, che gli ha offerto una seconda possibilità per condurre a termine il suo percorso formativo, e i suoi docenti della Spai, il Centro professionale tecnico di Mendrisio. Quegli stessi insegnanti – in prima linea il Servizio dei docenti mediatori – che in questo periodo non lo hanno lasciato solo, assicurandogli un fattivo sostegno e affiancandolo nella sua lotta. In effetti, digerire la decisione dell’Ufficio della migrazione cantonale, leggere nero su bianco di essere sprovvisto del permesso di restare, vedersi intimata una data (tempo due mesi all’epoca) entro la quale lasciare il Paese, non è stato semplice. «Ricevere quel documento mi ha spiazzato e messo in grave difficoltà – racconta –. Ma soprattutto l’ho vissuto come una ingiustizia», confessa ancora adesso Piero. La reazione in quel momento è stata quasi automatica: contestare il giudizio e fare Appello al Consiglio di Stato. Un ricorso che, lì per lì, gli ha concesso l’effetto sospensivo.

‘Voglio bastare a me stesso’

E sospesa, adesso, è anche l’esistenza del futuro installatore elettricista. Certo solo qualche anno fa non si immaginava che sarebbe andata a finire in questo modo. Il giovane non omette nulla. Nemmeno il fatto che, dopo essere rientrato in Ticino – una prima volta nel 2015, poi nel 2017, in tasca il permesso B –, è rimasto senza lavoro nonostante i suoi sforzi e i vari mestieri. Una condizione per la quale, tra il 2018 e il 2019, gli viene riconosciuta la disoccupazione. Un diritto che si esaurisce, però, nell’agosto del 2019, spingendolo verso il limbo dell’assistenza. «Durante i miei anni ‘svizzeri’ ho sempre cercato di provvedere a me stesso – tiene a far sapere –. Non fa parte di me dipendere dagli altri: voglio bastare a me stesso». Un impegno, il suo, a scuola come sul lavoro, che gli è sempre stato riconosciuto da chi ha incrociato il suo cammino. Piero, del resto, lo ha scritto a chiare lettere anche nel suo ricorso al governo: "Non sono uno sfaticato e approfittatore, non voglio pesare sulla società. Il sistema sociale mi ha sorretto e lo sta facendo tuttora e di questo sono tanto grato, ma avrei preferito cavarmela da solo".

‘Con una mano dà, con l’altra toglie’

Lo testimoniano, d’altro canto, la sua richiesta di poter prendere parte – come ha fatto – a dei programmi occupazionali e la sua volontà di riprendere il suo tirocinio, ormai a termine. Un’esperienza, quest’ultima, avviata subito dopo il lockdown (durate i mesi della pandemia) e, sottolinea, con "il pieno appoggio dell’Ufficio di assistenza". Ecco perché il comportamento dello Stato in questi anni per Piero, che rivendica l’essere riuscito a crearsi una sua esistenza in Ticino, è risultato straniante. Come lui stesso scrive nel suo Appello, "da un lato l’ente pubblico, per mano dei servizi sociali, mi permette, invoglia e sostiene a svolgere una qualifica professionale volta a conseguire un certificato federale di capacità, dall’altro, sempre l’ente pubblico, attraverso l’Ufficio di migrazione, decide la revoca del permesso B e il conseguente commiato dalla Svizzera". Di fatto, annota ancora, "nella mia ottica l’ente pubblico con una mano dà e con l’altra toglie. Forse – motiva – la mia visione può risultare riduttiva, soggettiva, distorta e sbagliata, ma mi sento disorientato".

Questione di norme

Un disorientamento sul quale, qualche settimana fa, è arrivata poi la doccia fredda della decisione del CdS, che ha respinto il suo ricorso e ha fatta capire che non ha più i requisiti per vedersi rinnovare il permesso di dimora – scaduto, nel frattempo, a metà giugno –: nulla vieta, quindi, il suo rientro in Italia. Nelle dieci pagine del ‘verdetto’ cantonale, si mettono in fila una lunga serie di articoli di legge e norme, evocando dalla Legge federale sugli stranieri e la loro integrazione alla Costituzione, dagli Accordi fra Svizzera e Italia (a cominciare dall’Accordo sulla libera circolazione delle persone) ai precedenti sanciti dalla Corte suprema. Nessuno sconto: non si manca neanche di rammentare a quanto ammonta sin qui il suo debito con lo Stato. Il che porta a concludere che "la sua integrazione non ha nulla di eccezionale". Per Piero non sembrano, in altre parole, esserci margini per un ripensamento da parte delle autorità. Perché, rimarca il governo, è "conforme all’interesse generale della Svizzera condurre una politica restrittiva in materia di soggiorno di stranieri".

Niente mezzi, niente statuto di lavoratore

A remare contro il futuro del giovane sono, insomma, dei requisiti chiave per le regole che lo Stato si è dato. Come gli viene, in buona sostanza, rimproverato, da tempo non ha i mezzi finanziari sufficienti per sostentarsi, senza ricorrere agli aiuti sociali. Avere un contratto di tirocinio non basta. Non è sufficiente nemmeno per conquistarsi lo statuto di lavoratore, che ha perso. Come dire che le condizioni che reggono il diritto di staccare un permesso di dimora sono cadute. E che al contempo non si intravedono problemi insormontabili, chiarisce il CdS, per immaginare un suo riadattamento alla vita al di là della frontiera. In fondo, si suggerisce nelle conclusioni, il giovane "potrebbe sempre trasferirsi nella fascia di confine italiana, ovvero a pochi chilometri da dove vive attualmente, e richiedere un permesso G, per continuare il suo apprendistato".

Il punto è un altro, però; è che Piero vorrebbe vedersi riconosciuto il diritto di essere un cittadino qui dove ha costruito buona parte della sua esistenza.