Dopo sei partite su diciotto, solo sei punti per il Lugano, uno in meno dell’anno scorso. Alla base delle sconfitte, troppi svarioni individuali
I fasti dello scorso 15 maggio, quando dal Wankdorf il Lugano aveva riportato in Ticino la Coppa Svizzera, nonostante sia trascorsa appena un’estate sembrano già evaporare nell’orizzonte di un inizio di stagione assai più complicato del previsto. Sei partite di Super League con due vittorie e quattro sconfitte, alle quali vanno aggiunti i due impegni in Conference League, entrambi persi contro il Beer Sheva. Come se non bastasse, nelle quattro partite disputate a Cornaredo (tre in campionato, più una in Europa), i bianconeri non sono riusciti a racimolare nemmeno un punticino. Insomma, il piatto piange, non vi sono scuse che reggano. La testa della classifica dista già otto punti e, per quanto la vittoria del titolo non abbia mai rappresentato un obiettivo realistico, alla luce dei risultati ottenuti lo scorso anno chiunque si aspetterebbe una squadra impegnata nella lotta per le prime posizioni, non certo in quella per evitare lo spareggio.
Tuttavia, a ben guardare, il quadro non è poi così fosco come i numeri potrebbero lasciare intendere. Nella vita di una stagione, sei partite rappresentano a malapena l’infanzia, per cui il tempo per crescere e invecchiare bene non manca. D’altra parte, non è che un anno fa le cose fossero iniziate molto meglio. Nelle prime sei partite, i bianconeri avevano incamerato un punto in più rispetto a oggi, in pratica il pareggio alla sesta giornata in quella che era stata la prima panchina (per quanto ancora a interim) di Mattia Croci-Torti. Le cinque uscite iniziali, sotto la guida di Abel Braga, avevano portato a due vittorie e tre sconfitte, dopodiché la nuova proprietà aveva deciso di cambiare rotta, esonerare il tecnico brasiliano e affidarsi al "Crus". E anche a livello di differenza reti non è che ci fosse tutta sta differenza: otto realizzate e dieci incassate un anno fa (-2) contro le dodici all’attivo e le undici al passivo (+1) in questo inizio di stagione. I numeri, insomma, dicono che è decisamente troppo presto per fasciarsi la testa e iniziare a strimpellare campanelli d’allarme. A maggior ragione in una stagione che, tutto sommato, garantisce la possibilità di costruire partendo da lontano, senza lo stress della retrocessione diretta e con un posto da spareggiante (oltretutto contro la terza di Challenge League) che sembra già garantito al Winterthur, anche perché è plausibile che prima o poi lo Zurigo riprenda quota.
Tempo per ritrovare una velocità di crociera più consona alle aspettative ce n’è in abbondanza. Tuttavia, Mattia Croci-Torti dovrà trovare il modo di metter mano a quegli aspetti negativi alla base dei mancati risultati di questa estate. Molto si è detto e scritto su una rosa che ha subito sensibili cambiamenti rispetto allo scorso maggio. Le partenze di Lavanchy, Lovric, Custodio, Rüegg, oltre al ritiro di Maric, al momento non sono state assorbite. Ai nuovi arrivi va concesso il giusto tempo di acclimatazione, ma Mai non vale Maric, Arigoni non rende come Lavanchy, Doumbia e Mahou non riescono a essere determinanti come Lovric e Custodio. Per lo meno fino a ora, il tempo si incaricherà di dare un giudizio definitivo. La trafila di infortuni e il rosso a Daprelà già alla prima giornata, hanno contribuito a mettere a nudo una panchina troppo limitata. Il mercato è in chiusura, per cui di tempo per rimediare ne rimane pochissimo, ma è probabile che la dirigenza voglia tenersi qualche margine di manovra in vista della sessione invernale, in modo da correggere in maniera puntuale le eventuali carenze emerse nel corso delle prime diciotto partite. L’arrivo di Renato Steffen, ufficializzato ieri in giornata, per Croci-Torti rappresenta un innesto importante, in grado anche di garantire quel pizzico (e forse più) di cattiveria del quale questa squadra sembra essere carente.
Al di là di una rosa che al momento appare sensibilmente più debole rispetto a un anno fa, per i punti lasciati sul cammino il Lugano può solo mangiarsi le mani. Perché nonostante il gioco non sia spumeggiante e la manovra fatichi a svilupparsi (in particolare quando in campo non c’è Mattia Bottani), i bianconeri avrebbero potuto ottenere ben altri risultati se solo non si fossero tirati la zappa sui piedi con una costanza addirittura imbarazzante. Delle undici reti subite, ben nove sono frutto di errori individuali (o in coabitazione), per individuare i quali non serve l’occhio esperto e professionale di un allenatore, ma basta quello superficiale di un comune osservatore. Dall’autorete di Daprelà all’uscita a vuoto di Saipi contro il Sion, fino alla palla persa da Belhadj, al mancato contrasto di area di Sabbatini e allo sciagurato passaggio a ritroso di Mahou contro il San Gallo, la stagione del Lugano è sin qui lastricata di clamorosi strafalcioni costati gol e punti. Una tendenza alla quale occorre porre rimedio al più presto, per ritrovare quella solidità nel gioco difensivo che l’arrivo in panchina di Croci-Torti aveva portato, come dimostrano le appena 9 reti incassate tra la settima e la diciassettesima giornata della passata stagione (due terzi della fase estate-inverno, facendo astrazione dallo 0-5 contro l’Yb nell’ultima prima delle vacanze). Si tratta in primo luogo di una questione di tranquillità: occorre ritrovare quella sicurezza andata persa con i primi risultati negativi e con la necessità di integrare i nuovi innesti. Inoltre, i finali di partita proposti contro Sion, Lucerna e San Gallo, dimostrano come il Lugano non possa prescindere dall’affrontare gli avversari a ritmo elevato, giocando dall’inizio alla fine come se si trattasse di raddrizzare il risultato nei minuti di recupero. Certo, più facile a dirsi che a farsi, a maggior ragione con le temperature torride di questa estate: ma un obiettivo verso il quale tendere, perché sembra che in questo momento il Lugano riesca a dare il meglio soltanto quando si ritrova con le spalle al muro. Il che, tutto sommato, la dice lunga sull’orgoglio di un gruppo alla ricerca di quello spirito e di quella coesione alla base un anno fa di una stagione indimenticabile.
Si pensava che la vittoria, rocambolesca e fortunosa, contro il Basilea avrebbe potuto rappresentare l’atteso déclic. Così non è stato, ma i bianconeri devono ripartire dal secondo tempo offerto contro il San Gallo, epurato dall’errore all’origine del rigore dell’1-3. Lo spirito deve essere quello, al netto delle incertezze difensive e offensive costate per lo meno il pareggio contro i biancoverdi. Sabbatini e compagni sono attesi da due trasferte, contro Zurigo e Young Boys. E se appare inutile ricordare quanto difficile sia andare a far risultato al Wankdorf, dove l’ultima vittoria (1-2 con Alioski e Sadiku) risale al 16 ottobre 2016 (in seguito otto sconfitte e due pareggi), non guasta ricordare come lo Zurigo, nonostante l’attuale ultimo posto in classifica, rimanga pur sempre campione nazionale in carica. Due squadre in condizioni tecniche, fisiche e soprattutto mentali diametralmente opposte, dal confronto con le quali il Lugano deve trovare le chiavi per spalancare completamente le porte, sin qui soltanto socchiuse, della sua stagione.