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Questa lunga storia d’amore (Matteo Pelli un anno dopo)

Con la Rsi è love story, ‘ma se mi fossi chiamato Bernasconi avrei creato meno discussioni’. Bello e brutto, novità e conferme dal diretur dei programmi

Responsabile del Dipartimento programmi e immagine della Rsi dal primo agosto 2021 (con pennarelli)
(Alessio Pizzicannella)
26 agosto 2022
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Ci muoviamo verso il rinnovatissimo e digitalissimo Studio 1 attraversando Guantanamo, un angolo-ristoro interno di passaggio che in passato doveva essere meno accogliente di quanto sia ora. L’impressione è che, negli studi di Comano, Matteo Pelli saprebbe dirti se c’è una presa di corrente che non funziona, una porta che cigola o un filtro dell’aria condizionata che andrebbe cambiato. Chi, in fondo, è più di casa di uno che alla Rsi ha registrato mille e più puntate di ‘Attenti a quei due’, format che torna dopo dieci anni. In quegli stessi spazi, il biondo Luca Mora sta registrando la prima puntata del suo esordio: «Quello che ha appena detto è vero», ci dice Pelli, ora responsabile del Dipartimento programmi e immagine della Rsi. «Da piccolo veniva a ogni puntata, ci guardava da un angolo dello studio e diceva che nella vita avrebbe voluto presentare ‘Attenti a quei due’».

Anche lo studio dello Sport è rinnovato, parte dell’intero corpo di novità in arrivo anche e soprattutto nel palinsesto della Rsi, novità che si possono leggere (intuire, interpretare) dagli appunti sulla lavagna nello studio del diretur dei programmi, una lavagna non lucida né luminosa, nessuno schermo da millemilioni di pollici, solo carta e pennarelli a formare l’equivalente del wall of sound della Motown, un muro qui silenzioso ma parimenti colorato. Tra robot, modernariato per audiofili, fumetti e altra numerosa arte varia, tema dell’incontro è ‘Matteo Pelli un anno dopo’. «Era il primo d’agosto. Ho cominciato con un festivo… ».

Modugno cantava "è già passato un anno ed è un inferno": un anno dopo, Matteo Pelli canterebbe lo stesso verso?

È stato un anno sicuramente impegnativo, complicato per alcune cose, ma bello, vissuto a duecento all’ora, con alcune cose belle e alcune meno, e l’inevitabile adattamento del tornare dal privato al pubblico. Un anno con tanto da fare, fondamentalmente figo.

Lo slogan che accompagnò il tuo arrivo a Radio 3i fu ‘Ci vediamo alla radio’. Oggi alla Rsi pare diventato ‘Ci sentiamo alla Tv’, nel senso che il Pelli è sempre dietro le quinte e non corre alcun rischio di sovraesposizione. È il ruolo che chiama il basso profilo?

È la linea che ho scelto dal primo giorno. La mia idea è quella di essere una sorta di allenatore, e non un giocatore, che in campo mette la squadra migliore possibile. Se per giocare in questa squadra è necessario che giochi anche io, allora il lavoro è buono solo a metà, perché l’allenatore-giocatore di solito è un mangiapalloni. Nel mio lavoro precedente la mia presenza era molto importante perché la struttura era più piccola, perché si era creato un morning show finalizzato anche a portare pubblico, e ha funzionato molto bene. Qui invece la struttura permette di giocare nelle retrovie e, con la complicità di una direzione molto affiatata, di cercare, seppur in tempi più lunghi rispetto ai miei ritmi classici, di consolidare le cose forti ma anche di creare novità. E da dietro le quinte, non più davanti.

Partiamo da ‘alcune cose belle’?

Sono molto soddisfatto del lavoro fatto sulle radio e dell’aver portato la radio in tv. Penso al ‘Villaggio di Retetre’ con Casolini, Balmelli e Guglielmoni, che avrà ulteriori due serate, stavolta su La1. Penso al cambiamento di Rete Uno, e ancor di più all’idea di cambiamento, che in questa azienda è difficile da portare avanti senza che esista uno "stavamo facendo male". Con i tempi veloci odierni serve essere pronti a cambiare in corsa. In ambiti televisivi credo sia stato interessante tornare tra il pubblico con i live. ‘Siamo fuori’, per esempio, è un lavoro che ha raggiunto velocemente e capillarmente tutta la Svizzera italiana, che ha fatto parlare la gente. Positivo si è rivelato l’adattamento a fisarmonica del tg: abbiamo vissuto una guerra e siamo andati in diretta subito, contro una lentezza per la quale siamo stati più volte redarguiti, dai canonici trenta minuti il tg è durato fino all’ora, e il gioco delle 20.40 è andato su La2 senza drammi. La velocità tra dipartimenti è entrata nella logica del nuovo cambiamento, ma il cambiamento reale si vedrà da questa stagione.

Prima della nuova stagione: ‘alcune cose brutte’?

Non ho alcun problema a dire che ‘Lo show più piccolo del mondo’, malgrado ottimi numeri, è stato un flop. Con i protagonisti ci siamo guardati negli occhi e delle cinquanta puntate previste ne sono state fatte venticinque. Non è un dramma, questo è un lavoro in cui possiamo provare, metterci in discussione, ammettere di avere sbagliato e guardare avanti, e migliorare. L’errore ci è servito: da lì si è sviluppato il ‘Villaggio’.

Quanto è difficile fare buona televisione? Guardo la Rsi e mi rallegro di tanta varietà d’offerta, di tanta serietà, nessuno che si azzuffa, nessuno che dice le parolacce. Poi mi dico che – ben per lei, ben per noi – la Rsi non si deve ‘sporcare le mani’, perché al trash ci pensano i canali non svizzeri…

La cultura del trash da noi non esiste, e in una televisione di servizio pubblico non deve trovare spazio. La cultura del talent quella sì, ci potrebbe stare, ma il talent fatto bene ha dei costi che la nostra azienda, in questo momento, non si può sobbarcare. Io credo che un talent fatto bene possa avere buoni risultati anche in questo cantone, stiamo attenti però a non dire che è trash tutto ciò che è intrattenimento, perché sarebbe un’affermazione grave. La parola chiave, e vale anche in ambiti non televisivi o radiofonici, è l’educazione verso chi ti guarda e ti ascolta.

Sempre forti del fatto che il ‘poco educato’ viene da fuori…

‘Temptation Island’ sulle Isole di Brissago, posso garantire che la Rsi non l’avrebbe mai realizzato, benché quel programma faccia il 35% di share in Ticino, e dunque un pubblico ci sarebbe. Diverso è un programma come ‘Emigratis’, che non potremmo fare e che è supertrash ma coraggioso, ben scritto, estremo, politically uncorrect, un programma in cui quelle due persone (il duo comico foggiano Pio e Amedeo, ndr) si mettono in gioco a un livello talmente alto che non si può dire loro nulla; semmai, qualora non graditi, non li si guarda. Ma ci tengo a dire che, anche nella televisione che sogno io, due che si lasciano in mezzo al Verbano davanti a un falò di confronto non ci saranno mai.

Cosa ci sarà, invece, nella nuova Rsi per cui, attingendo dal gergo dell’intrattenimento puro, varrà la pena di non toccare il telecomando?

Lo abbiamo visto in anteprima e siamo tutti rimasti colpiti: si chiama ‘La storia infinita’, è un programma divulgativo di Jonas Marti, quattro puntate che prendono spunto dal suo libro (‘Lugano la bella sconosciuta’, Fontana Edizioni, ndr) per ripercorrere la storia del nostro Paese, sorrette da una grafica molto particolare e da uno studio iper-tecnologico. Andrà in onda il lunedì sera, il 3, 10, 17 e 24 di ottobre, in una fascia in cui da vent’anni la televisione svizzera trasmette film.

E poi?

Sono felice per il ritorno di ‘Attenti a quei due’, e del fatto che avremo una trasmissione di hockey, per potenziare la discussione sullo sport più seguito e amato del nostro Paese in un momento di grandi critiche relative ai diritti televisivi. Sono contento per le nuove interviste di Damiano Realini, il suo programma sarà ‘Lo specchio’ e non più ‘Il gioco del mondo’; sono felice per la conduzione femminile di ‘Zerovero’, sono contento di poter dire che all’interno del palinsesto, tradizione e novità vanno a braccetto per smontare il luogo comune che "l’è sempre la stessa roba". Stiamo preparando ‘In cammino sui ghiacciai’, che lo scorso anno fu ‘Il cammino sulle creste’, programma con Romolo Nottaris dagli ascolti straordinari. Nel mese di ottobre avremo una serata speciale intitolata ‘In cammino sull’Himalaya’, in cui riporteremo Nottaris e compagna, lo chef Martin Dalsass e Mauro Pini ai piedi di un ‘ottomila’ conquistato circa quarant’anni fa. Cerchiamo quindi di mantenere un palinsesto urbano quando dev’essere tale, ma con un occhio alla montagna e alla natura che da noi vanno fortissimo, perché abbiamo la miglior scenografia di cui si possa disporre.

Un anno dopo non ci si può esimere dal ricordare il fiume di critiche che accompagnò il tuo arrivo...

Le ho sempre messe in conto. Porto sempre con me una frase che mi disse Sergio Ermotti: "Se non sei in grado di gestire questo, non è il posto per te". È vero, ma è anche vero che alcune cose hanno fatto un po’ male.

Quali?

La più strana riguarda il vostro giornale, che pubblicò una pagina anonima molto scorretta. Chi lavora con me può dire che sono onesto in quello che faccio, e che mi piace ricevere critiche a patto che arrivino da qualcuno che ti dia la possibilità di rispondere perché si firma, o perché è un buon giornalista. Ma cosa si può rispondere a chi ti critica perché porti un determinato cognome? Col cognome ci nasci. Visto che ci sono stati mio nonno e poi mio padre, allora si preferirebbe che io me ne stessi in una casa, possibilmente con piscina, ad aspettare di arrivare alla mia veneranda età per andare in pensione?

Stai dicendo che se non fosse stata la Rsi a proporti un incarico di questo tipo il problema si sarebbe posto ugualmente?

Dico che quando ho deciso di passare alla Rsi smettendo di fare il conduttore in una situazione di comfort, per una piccola radio che partiva da 5 punti percentuali, giocandomela in prima persona, lavorando il triplo, la gente diceva "wow, si è messo in gioco!"; poi ho preso Teleticino, l’ho fatta crescere grazie anche a un gruppo straordinario, e andava tutto bene. Quando ho accettato la sfida alla Rsi, quelle stesse persone che mi lodavano hanno storto il naso, come se il cambio di casacca, per tornare dove io per altro sono nato, fosse un problema. Lì mi sono reso conto che sotto il cappello di quest’azienda non c’è solo la possibilità di fare un lavoro almeno onesto, ma anche giochi politici, la critica fine a sé stessa, applicati a un grande ente che, proprio perché grande, è amato tanto quanto fa discutere. E per quanto faccia discutere, ognuno di noi alla Rsi ha un amico, un parente, qualcuno che, pur alla lontana, ha collaborato o collabora. Alla Rsi sono nato come conduttore quando avevo 19 anni, i capelli dritti in testa e intervistavo persone che non sapevo chi fossero. La mia è una storia d’amore, ma penso che se mi fossi chiamato Bernasconi avrei creato meno discussioni.

La scia di malcontento, anche interno, anche anonimo, del quale questo giornale è stato destinatario e si è fatto tramite pare sopita: è perché sulla Rsi è calata una censura russa o è che alla fine si è accettato Matteo Pelli?

La presa di posizione iniziale nei miei confronti avrebbe riguardato chiunque fosse arrivato a ricoprire il posto che io ricopro. Si aggiunga la rivoluzione generale, la scelta molto chiara arrivata dalla Ssr Srg sulla direzione da prendere. Credo che a un certo punto si sia lasciato lavorare le persone, che si valutano su quanto fanno, sul tempo trascorso in azienda, su quanto cuore mettono per andare oltre l’ostacolo, e questo vale molto più del preconcetto che io sia qui a pensare solo a far crescere gli ascolti e non alla qualità. È chiaro che i numeri li guardo, perché sono uno strumento, ma credo che il servizio pubblico sia più importante di un 30% di share.

Chiudo da dove il malcontento è partito, e cioè da – parafrasando Francesco Rosi – ‘le mani su Rete Due’: con la nuova programmazione cosa deve aspettarsi lo zoccolo duro di Rete Due?

Rete Due avrà un nuovo palinsesto che partirà il 29 di agosto, curato da Vanni Bianconi e Sandra Sain. Penso che sarà sorprendente. È vero, il nucleo di ascoltatori che difende Rete Due lo fa a spada tratta e con cognizione di causa, in quanto fiore all’occhiello di questa azienda. La radio, in generale, per quanto data a volte per scontata, mantiene la magia originaria: che tu sia in uno studio di cento metri quadri, in un loft newyorkese oppure chiuso nel sottoscala di un appartamento di Ravecchia, dipende sempre da quanto bravo sei.


Alessio Pizzicannella
Matteo Pelli