Rete Uno ha toccato il fondo? Sì. Basta ascoltarla per convincersene. Regnano delusione e sconcerto? Da quello che si legge sulle pagine dei giornali e si sente dire in giro a desta e a sinistra, sì. Ma è davvero preoccupante la situazione? No. Per niente. Vi sorprenderà, suonerà strano, ma è così. L’aver toccato il fondo fa parte di un preciso piano di salvataggio e di miglioria della Rete Uno. Il direttore operativo Rsi Mario Timbal e il direttore artistico Rsi Matteo Pelli sanno perfettamente ciò che fanno. Ce l’hanno spiegato bene. Occorre solo avere fiducia e un po’ di pazienza.
Per capire la situazione, dobbiamo immaginarci la Rete Uno come un sub stanco e disorientato, senza più le pinne e a corto d’ossigeno, in acque profonde e attorniato da pescicani. Ecco, questo sub da film dell’orrore era la Rete Uno. Urgeva soccorrerla da tempo. Mica un’impresa da poco. Ma Mario Timbal e Matteo Pelli hanno reagito in tempi record: si sono levati il blazerino e il jeans di marca, indossato un costume da bagno e voilà! Aitanti bagnini, si sono tuffati in acqua e hanno nuotato fino al nostro povero sub.
Prima delicata fase del salvataggio: una volta reperita la vittima, trascinarla a fondo. Ma come?! Sì, state tranquilli. Si tratta di una mossa controintuitiva che i baywatchers della California, i migliori bagnini al mondo, chiamano GASP (Grand Assistance Point), ovvero il raggiungimento di un punto solido da dove ripartire, solitamente uno scoglio o il fondo. In questo caso, Timbal e Pelli hanno scelto il secondo. Il fondo melmoso del lago, l’abisso più abisso che c’è. Come dicevo: Gasp!
Ma i nostri prodi sanno quello che fanno. È il protocollo. Anche se fa specie, certo. Fa specie che una creatura maestuosa per tradizione, e indipendente e autorevole per definizione come la Rete Uno sia oggi in ostaggio dei messaggini di un qualche centinaio di ascoltatori (perché la somma di alcuni “io” non dà come risultato “noi”, perché le vie per rendere il pubblico davvero partecipe e coinvolto sono ben altre). Fa specie e infastidisce la sfilza di bollettini sul traffico, per lo più inutili (perché un conto è dare la notizia di un contromano, un altro è reiterare ad nauseam che ci sono code nei soliti posti e sempre agli stessi orari). E non da ultimo, mal si sopporta il cicaleccio che sovrasta gran parte della giornata (e dire che io adoro i programmi leggeri ma, come scriveva Paul Valéry, bisogna essere leggeri come l’uccello che vola e non come la piuma).
Insomma, uno spettacolo radiofonico spiacevole e per certi versi inaspettato. Bisogna stringere i denti (e a tratti tapparsi le orecchie). Tenere duro ancora un po’, avere fiducia. L’aver toccato il fondo, come vi dicevo, è solo una fase: la prima, snervante e per certi versi spaventosa fase del piano di salvataggio della Rete Uno.
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Prima un punto solido, poi si riparte
La nostra amata Rete Uno era da anni come un sub stanco e senza orientamento, in pericolo morte. Facendogli toccare il fondo, gli si è permesso di avere un punto di riferimento spaziale chiaro. È il protocollo. L’idea di base è che, non appena avrà ritrovato le forze, il nostro sub potrà darsi una bella spinta verso l’alto, non solo per trarsi in salvo ma anche, un domani, per riuscire a nuotare in tutta sicurezza o addirittura tornare a veleggiare con maestuosità, così come dovrebbe fare una rete ammiraglia, la rete principale della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana, la più popolare ma anche la più necessaria in un paese bello, democratico e multiculturale come la Svizzera. La radio che tutte e tutti noi grande pubblico vorremmo e che meritiamo.
Niente paura, dunque. È tutto sotto controllo. Questa situazione non è destinata a durare, anche perché, non dimentichiamocelo, ce l’hanno promesso. Sì, il direttore operativo Rsi Mario Timbal e il direttore artistico Rsi Matteo Pelli ci hanno promesso di voler rafforzare e arricchire il palinsesto e trasformare la cultura e la società in un patrimonio comune (non più solo appannaggio della Rete Due). Ci hanno promesso di fare della diversità (di temi, toni e sguardi) un baluardo di tutta l’offerta Rsi. Basta ricordare la serata pubblica Corsi del 1° ottobre con Mario Timbal e l’emissione “Millevoci” del 10 novembre con Matteo Pelli. In queste e altre occasioni ci è stato spiegato tutto: come verranno recuperati gli ascolti in caduta libera da vent’anni e soprattutto cosa ci verrà proposto. E per farci un’idea si può andare in Francia…
Mario Timbal e Matteo Pelli hanno affermato di apprezzare molto e di farsi ispirare dal canale radiofonico generalista pubblico France Inter. Adesso come adesso la Rete Uno assomiglia di più a una vecchia radio privata italiana. Ma è solo questione di tempo. In una cosa si sta già muovendo come la consorella transalpina: punta sulla viva voce, il cosiddetto live. Non è un’idea originale e attualmente, al di fuori delle fasce informative, è ancora un chiacchiericcio pasticciato da musica e notiziuole trovate qua e là. Ma investire nella diretta in viva voce è un passo fondamentale: è ciò che rende la radio imbattibile per tempestività ed emozionante come nessun altro mezzo di comunicazione. Senza le animatrici e gli animatori presenti qui e ora una radio palpitante rischia di trasformarsi in radio zombie, come è accaduto ai pomeriggi del weekend della Rete DUE dove passano solo programmi registrati, spesso in replica. Belli ma finti, perché finta è la diretta che propongono.
Dunque, dai, ci siamo. La cosa più importante c’è. Ma da sola, non basta.
Il direttore operativo Rsi Mario Timbal e il direttore artistico Rsi Matteo Pelli conoscono e apprezzano France Inter. O meglio, così dicono loro. Ebbene, cosa fa di speciale questo canale radiofonico generalista pubblico? Una cosa molto semplice e preziosa: offre programmi. Alcuni quotidiani, altri settimanali. Quasi tutti della durata di un’ora (mai tre ore di fila come l’attuale Millevoci). Prevale il parlato, arricchito da scarso ma azzeccatissimo repertorio musicale. Al microfono personalità competenti e piacevoli, mai professorali, con temi di rilevanza pubblica (un programma dedicato alla salute, uno alla storia, uno la letteratura, uno l’infanzia, uno la scienza, eccetera), in alcuni casi anche molto specifici ma trattati sempre in maniera inclusiva e appassionata. C’è anche spazio per i quiz, la satira, la fiction, i documentari, la cultura pop e certo, anche per il pubblico (ma quando si aprono le linee telefoniche è per sentire voci di persone che contribuiscono davvero, con le loro esperienze e riflessioni, al confronto di idee o al dibattito in corso). Tutto in rigorosa diretta e quasi sempre con gli ospiti in studio, anche la mattina molto presto.
Programmi che tra l’altro, per la loro qualità e durata limitata, si possono ascoltare ottimamente anche in differita, a distanza di giorni se non settimane. È il bello della radio on demand, il bello di non puntare tutto su un’attualità fatta di notizie effimere, gossip provenienti da internet, musica riempitiva. Le trasmissioni conquistano così più cicli di vita!
Adesso, però, il mio invito non è di andare ad ascoltare France Inter, ma di rimanere sintonizzati sulla nostra Rete UNO, perché… perché anche da noi tutto questo succederà. Sì, dovrà succedere. Ce l’hanno promesso. Ora è tutto pronto per la seconda fase del salvataggio: la ripartenza, la risalita. La viva voce, le emissioni in diretta: fin qui ci siamo. Lo strumento è quello giusto, ora manca la ciccia, i programmi (qualcuno c’è già, soprattutto nel weekend. La cultura popolare. La natura e gli animali. O in settimana Modem. Ma non basta). Arriveranno, ce l’hanno promesso.
Ad esempio, la famiglia. Matteo Pelli ha affermato (e sono certa che a molti si è scaldato l’animo nell’ascoltarlo e si sono riaccesi ricordi pieni di affetto) che il cuore pulsante della Rete Uno risiede nella famiglia. Dai bambini ai nonni, dal nucleo tradizionale alla straripante diversità che oggi la parola “famiglia” può significare. Ecco: noi ora attendiamo con impazienza spazi e toni quotidiani dedicati alle famiglie residenti in Svizzera, quelle centinaia di migliaia di economie domestiche che pagano la tassa di ricezione e parlano italiano.
Attualmente mancano, ma a migliorare l’offerta della Rete Uno dovranno pur arrivare dei programmi dedicati alla letteratura, al cinema, alle musiche (ricordate il blues di Norman Hewitt, gli anni ’60 di Giorgio Fieschi, il country di Alcide Bernasconi, la salsa del Flaco, la chanson di Jenny Alessi, e così via?). Oppure l’inchiesta giornalistica: dei corrispettivi radiofonici di Falò e di Patti Chiari. È arrivata l’ora, metà del pianeta l’ha già capito: la radio è un mezzo perfetto per condurre inchieste delicate che richiedono discrezione e agilità. Oppure i documentari e i reportages, per viaggiare con l’immaginazione e sentire storie del nostro (o dell’altro) mondo... Arriveranno. O a proposito di mondi altri: la prosa, la fiction. Mica solo quella dialettale. Letture ad alta voce. Adattamenti di classici o opere originali. Li aspettiamo. Come del resto attendiamo il ritorno di regolari corrispondenze culturali negli Rg, collegamenti che ci raccontino la vita culturale e artistica del Paese (tutto il Paese, non solo la Repubblica e Cantone Ticino). Ce l’hanno promesso. Programmi che parlino della nostra società, dei costumi, della vita associativa, del lavoro, degli affetti e di tutto ciò che non è tangibile con mano ma che ci rende comunità e ci fa sentire umani: sogni, paure, desideri, valori, memoria, amore.
Ce la stanno mettendo tutta tra Comano e Besso. Si è toccato il fondo ma ce la faranno. Il piano è chiaro. Un salvataggio urgente e delle migliorìe che permetteranno alla Rete Uno di essere più presente e viva che mai. In dialogo col Paese, sapendogli parlare e sapendolo ascoltare, senza per forza scimmiottare l’arena dei social o aprire i telefoni dalla mattina alla sera per raccogliere l’opinione raffazzonata in pochi secondi della “gente”. A una cosa però bisogna fare attenzione: noi dobbiamo portare pazienza ma il tempo non è illimitato, di ossigeno al sub ne rimane poco. Non può rimanere sul fondo per troppo tempo…
Ti-Press
Vive la bonne radio!
Forse dovrei spendere due parole anche sull’eteropatriarcato dominante in Rsi. Ovvero, ci sono quasi solo maschi nei posti chiave dell’azienda. Le recenti nomine sono sotto gli occhi di tutte e tutti: Timbal (direttore operativo), Pelli (direttore artistico), Buccella (sviluppo e innovazione) e ora Bianconi (cultura). Tutti, immagino, ottimi professionisti, e sì, tutti maschi tra i 40 e i 50 anni. Non conosco il loro orientamento sessuale e sinceramente non mi interessa, ma so che hanno figli e tre su quattro portano in dote cognomi che contano (branche dell’eteropatriarcato in sauce tessinoise antropologicamente interessante ma non nuova: il figliol prodigo in azienda). Bisognerebbe indignarsi? Ma no, forse è solo una comprensibilissima questione di “comfort zone”. Anche io –un po’ per pigrizia, un po’ per paura del confronto e della diversità— davanti a due candidati/e bravi/e, sarei indotta a scegliere quello che più mi assomiglia. Normale, no? Il comfort della mascolinità, dell’anagrafe, della meglio gioventù locarnese… Però non è possibile che questo vecchio e incrostato trend eteropatriarcale si rifletta anche sulla scelta delle personalità al microfono negli orari di punta della Rete Uno: Fusetti/Savoia, Antonini/Bolzani/Colotti, Casati/Belloni/Rauseo. Non può essere. Questa scelta deve per forza far parte del piano di salvataggio escogitato da Timbal e Pelli. Far toccare il fondo alla Rete Uno anche in questo senso. Fidiamoci. Le donne alla riscossa del microfono –come i troppi programmi che ora mancano— arriveranno. Magari già dopo il periodo natalizio. Portiamo pazienza. Non stiamo zitte. E soprattutto: vive la bonne radio!
* pseudonimo