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Se a Mosca si festeggia

Il numero due di Putin Dmitry Medvedev festeggia la caduta di Johnson e Draghi. Intanto l’Occidente scende a compromessi imbarazzanti

Medvedev (Keystone)
18 luglio 2022
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Festeggia Dmitrij Medvedev – sodale di Putin, già capo dello Stato in sua sottomessa vece, e oggi numero due del Consiglio di sicurezza a Mosca –, twittando le foto di Johnson e Draghi, "fuori due, e aspettiamo il prossimo": inteso come il terzo leader occidentale costretto alle dimissioni in seguito all’opposizione alla guerra del Cremlino per la riconquista dell’Ucraina. Non può certo capire, uno dei massimi esponenti dell’autocrazia russa, che da questa parte della nuova "cortina di ferro", nelle democrazie "obsolete e decadenti" (come ripete il suo padrone) le cose si muovono diversamente rispetto alle dittature che tutto possono nella repressione di ogni dissenso. In quell’Occidente democraticamente fragile e spesso incompiuto dove comunque gli esponenti del potere russo, Medvedev compreso, mandavano i propri figli a studiare e a divertirsi, le proprie amanti a partorire nelle maternità più attrezzate, i propri oligarchi a moltiplicare le proprie vertiginose fortune grazie al ventennale patto d’acciaio con il grande capo, "arricchitevi quanto volete, basta non disturbare il manovratore".
Poco importa, poi, se gli sviluppi politici inglesi e italiani hanno a che fare solo marginalmente con la politica estera, se la Gran Bretagna continuerà a essere il Paese europeo più attivo nel sostegno militare a Kiev, e in Italia un possibile ritorno elettorale della destra porterebbe a Palazzo Chigi una Meloni che ha finora sostenuto senza flessioni la strategia della Nato e l’aiuto all’autodifesa ucraina.
Inutile comunque negarlo, in questo momento le sorti della tragedia europea sembrano favorire i calcoli del sanguinario azzardo russo. Le sanzioni non bastano, galoppa l’inflazione, e la carenza di materie prime energetiche sarà di lunga durata. Così, un Occidente sempre più preoccupato del proprio approvvigionamento in gas e petrolio, pronto alla (momentanea?) sospensione di svogliati piani di transizione energetica, alla costante ricerca di un credibile mediatore gradito a Putin, deve vendersi un bel po’ d’anima e di coerenza politica, cosa a cui è del resto abbastanza allenato quando si tratta dei propri interessi. Biden si precipita a Riad per un’indecorosa rappacificazione con il principe bin Salman che aveva accusato esplicitamente di essere il responsabile dell’orripilante assassinio del giornalista Kashoggi (come se questo fosse l’unico delitto contro i diritti umani e la legalità internazionale del regno dei Sauditi); Draghi alla corte del turco Erdogan, che il premier in bilico aveva esplicitamente definito ‘dittatore’, lo stesso che vuole la testa di oppositori e leader curdi (che pure hanno combattuto per noi, e vinto, contro l’Isis) in cambio dell’entrata di Finlandia e Svezia nell’Alleanza Atlantica; l’americano Blinken in colloquio cinque ore con il collega cinese Wang Yi per questuare l’impossibile rottura della partnership strategica Pechino-Mosca; poi produttori arabi e africani, non proprio illuminati esempi di stabilità politica, a cui si chiede di sostituire le forniture russe.
In questo umiliante suq diplomatico-economico, una cosa andrebbe subito fatta: dire in chiaro alle opinioni pubbliche occidentali quali sacrifici le attendono, e varare misure fiscali che reperiscano i fondi necessari alla sicurezza sociale là dove quei soldi ci sono, per esempio nell’ambito dei megaprofitti dell’improduttiva speculazione finanziaria. O lasciare gli ucraini al loro destino?