Ticino

Oltre 50 i boschi della droga tra Como e Varese da bonificare

Come prima mossa, la realizzazione di una pista ciclo-pedonale: ‘Se affollati, quei luoghi perdono la primaria attrattiva per gli spacciatori’

(Ti-Press)
11 luglio 2022
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È la geografia dello spaccio di droga all’aperto: sono oltre cinquanta i boschi della droga mappati nelle province pedemontane (Como e Varese), metà dei quali a ridosso della frontiera con il Ticino, una realtà dovuta in parte alla calata di tossicodipendenti del cantone. Boschi che le autorità amministrative (regionali e locali) e le forze dell’ordine intendono bonificare. Si tratta di quanto deciso nel corso di una riunione che si è tenuta nei giorni scorsi a Milano, presieduta dal prefetto del capoluogo lombardo Renato Saccone, alla quale hanno partecipato i vertici di Regione Lombardia e delle Province di Como e Varese, sia a livello prefettizio che delle forze dell’ordine.

La bonifica dei boschi della droga del Comasco e del Varesotto passa dalla ripetizione di un modello: quello che ha consentito di spazzare via il famigerato bosco della droga di Rogoredo, alla periferia di Milano, dove le ragazzine si prostituivano per 20 euro, soldi usati per pagare la dose. E dove spesso i tossicodipendenti trovavano la morte stroncati dall’eroina. Ecco quindi che mutuando il ‘modello Rogoredo’ si è deciso di sviluppare nelle province di confine un’ampia azione di contrasto, portata avanti dalle forze dell’ordine, già iniziata e coordinate dai prefetti Andrea Polichetti (Como) e Salvatore Rosario Pasquariello, assai attivi nell’ascolto dei sindaci e dell’ideazione di soluzioni pratiche. Poi, come prima mossa, la realizzazione di una pista ciclo-pedonale nel Parco della Pineta tra Appiano Gentile e Tradate, un’ampia area naturale che si estende su un territorio di oltre 48 chilometri quadrati: verdi confini di Como e Varese che toccano 15 comuni, molti dei quali a ridosso della ‘ramina’. Un parco occupato dalle bande della Cupola marocchina.

Un progetto per contrastare gruppi armati

Alla prevedibile obiezione su come possa un progetto all’apparenza soft contrastare gruppi armati (di revolver, fucili e kalashnikov, come confermano i risultati delle operazioni di carabinieri e polizia che si sono succedute negli ultimi anni, con numerosi arresti e sequestri di armi e droga) in lotta per accaparrarsi gli ingenti introiti dello spaccio (nelle cronache locali si parla di omicidi, ferimenti e torture), i promotori della bonifica del Parco della Pineta rispondono ricordando l’efficacia di un fondamento: se ripresi dalla collettività, se vissuti, se affollati, quei boschi perdono la primaria attrattiva per i pusher, cioè il fatto di essere aree isolate, facili da monopolizzare. Ovviamente la sicurezza è da assicurare attraverso la presenza di forze dell’ordine.

Nessuno, di certo, si nasconde le difficoltà che, considerata l’ampiezza del fenomeno, presenta l’azione di bonifica dei boschi della droga del Comasco e del Varesotto. Un fenomeno via via cresciuto negli ultimi cinque anni, come conferma il radicamento delle bande e della loro attività, ma anche la lettura dei risultati delle operazioni della polizia e dei carabinieri: complessivamente sono stati sequestrati 330 chili di hashish e 170 di cocaina, un centinaio gli arresti, oltre cinquanta le armi sequestrate.

Un’articolazione già vista a Rogoredo

Le inchieste coordinate dalle Magistrature lariana e varesotta hanno permesso di accertare il ruolo dei pusher che in massima parte sono irregolari magrebini e la presenza di un’articolazione già vista a Rogoredo: un capoarea la cui ‘giurisdizione’ copre più boschi, un luogotenente addetto al controllo della singola area che dimora all’interno delle zone in tende oppure in grotte, quindi le sentinelle e una figura chiamata dei ‘sottomessi’. Si tratta di italiani, divenuti schiavi dei marocchini perché tossicodipendenti cronici, appena usciti di prigione senza alcun orizzonte. Fra i pusher arrestati, alcuni si vedevano già a Rogoredo, ma gli investigatori hanno accertato che continua a essere pratica abituale chiamare gli spacciatori direttamente dal Marocco, impiegarli una, due, al massimo tre settimane, pagarli e rispedirli indietro.

La bonifica dei boschi della droga passa anche da maggiori verifiche anagrafiche delle polizie locali alla ricerca degli insediamenti dei pusher in abitazioni dismesse, specie nelle vecchie corti abbandonate dei piccoli paesi in costante spopolamento. Insomma, quanto basta per comprendere che la rimozione dello spaccio di droga a cielo aperto non è di facile soluzione. Ma la portata del problema con i molti risvolti sociali impone il massimo impegno.