Le parole di Biden verso Putin portato a livello mondiale la retorica populista del nemico e il linguaggio ormai scadente della politica odierna
Dalle mie parti, di chi fa uscite inopportune si dice che "l’ha scafazzata", ciò che indica lo schiacciare qualcosa frantumandola, come le uova. E che le improvvide uscite di Biden su Putin stiano scafazzando le uova nel paniere a chi spera in una rapida soluzione diplomatica della crisi ucraina è indubbio. Tanto più che il Cremlino non si è fatto pregare e ha colto il pretesto definendo "allarmanti" le frasi con cui il presidente Usa definisce l’omologo russo "un criminale di guerra" e "macellaio" che "non deve restare al potere". La frittata, insomma, sembra fatta.
A ben vedere, però, un leader di una grande potenza mondiale che si esprime senza filtri nei confronti di un pari grado, come un qualsiasi utente sui social, è nulla più che il culmine di un graduale processo di cedimento del linguaggio politico al mito populista dell’"uomo della gente", schietto e genuino anche nel parlare, contrapposto al "politichese" oscuro dei membri della "casta". Il problema, però, è che se il Paolino da Pregassona chiama Putin "assassino" sui social, al massimo si attira gli strali dei filoputiniani e l’accusa di essere filoatlantista, se lo fa il presidente degli Usa in pubblico va in crisi l’intero processo di pace. La volgarizzazione del linguaggio politico è ormai affermata: da una parte, dalle forbite note stampa si è passati a spregiudicati post sui social, adeguandosi, in sostanza, al linguaggio dell’utente medio per ingraziarselo. Dall’altra, anche nei discorsi pubblici, sono ormai sdoganate volgarità e trivialità anche da parte di alte cariche: si va dalla storica battuta di Berlusconi all’Europarlamento sul ruolo da kapò per l’eurodeputato tedesco Schulz, al presidente filippino Duterte che chiama pubblicamente "gay figlio di p..." l’ambasciatore Usa, alle molte uscite omofobe del brasiliano Bolsonaro. Discorsi che, in tempi in cui "governo ladro" era un’espressione da bar e non la sintesi del programma di un movimento politico, mai si sarebbero sentiti, se non in un contesto di una propaganda di guerra più o meno dichiarata.
Ed è qui il secondo, ma non meno grave aspetto della vicenda: se da un lato Putin che chiama "banda di drogati" il governo ucraino è parte, appunto, della propaganda di guerra, dall’altra gli insulti di Biden seguono il copione consolidato per cui non ci sono più avversari con cui confrontarsi rispettandoli, ma nemici da distruggere. Tale cambio di paradigma a livello internazionale è l’evoluzione di ciò che accade da tempo a livello locale e nazionale: parlare di "asfaltare" o "distruggere" l’avversario è una modalità ormai pienamente parte della comunicazione politica, che gli stessi politici utilizzano e tollerano, se non incoraggiano: ultimo esempio, il candidato alle presidenziali francesi Zemmour che lascia la folla gridare "Macron assassino".
Le avventate affermazioni di Biden portano tale retorica del nemico a livello mondiale: si torna, insomma, all’"Impero del Male", in una versione un po’ da Bar Sport. Viene da citare l’ex presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti, che parlando della cattiva educazione dei politici rispetto ai suoi tempi, commentò: "Anche noi mangiavamo, ma almeno sapevamo stare a tavola".