Castellinaria

‘Un palco per la vita’, la libertà passa da Shakespeare

Stasera all’Espocentro, storie di Seid, Miguel e Ludovico, storie di teatro e di crescita, d’inclusione e rinascita. Parla l’ideatore, Davide Martinoni

Lunedì 15 novembre alle 18.30 all’Espocentro. Nella locandina: Seid Ali (sx), Ludovico Francini (dx), Miguel Cienfuegos (sotto) - locandina Daniel Klöckner
15 novembre 2021
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Non è sempre scontato che nel cassetto di ogni giornalista ci sia un romanzo. A volte c’è anche un film. Forse nel cassetto di Davide Martinoni ci sono entrambi, ma primo a uscirvi è stato il film. È un documentario che s’intitola ‘Un palco per la vita’ e viene proiettato questa sera alle 18.30 all’Espocentro per il giorno 3 di Castellinaria, una volta concluso ‘La speranza vive intera’ di Stefano Ferrari (alle 18.15). Martinoni, firma de laRegione, è qualcosa di più del “Produttore esercutivo” di cui si legge nei credits della locandina, ma «va bene così», dice lui. «Bisogna sempre credere nelle cose che si vogliono fare. Io, che non ho alcuna esperienza in questo campo, mi ci sono buttato un po’ alla cieca, ci sono voluti tre anni, non facili soprattutto dal profilo finanziario perché trovare fondi per una produzione è stata cosa durissima, ma alla fine abbiamo allestito quello che io reputo sia un prodotto degno, e siamo stati selezionati per Castellinaria». Questo per dire che «anche chi parte con una stampella, com’è accaduto nel mio caso, e trova le persone giuste, può riuscire a presentare un film a un festival». Le parole di Martinoni sono il film nel film, e le persone giuste sono più d’una.

Affidato alle riprese di Lorenzo Pomari e Paolo Vandoni, prodotto dalla ticinese Shy Dragon Productions, ‘Un palco per la vita’ porta come sottotitolo ‘Storie di teatro e di crescita’. Martinoni ne aveva raccontato nel settembre di un anno fa, quando l’opera stava vedendo la fine. In quell’occasione ci parlò delle tre storie parallele che sono l’asse portante del film: quella di Seid Ali, eritreo sopravvissuto al viaggio della speranza che lo ha portato, superando il Sahara e la Libia, in Sicilia e poi in Svizzera; quella di Miguel Cienfuegos, direttore artistico del Teatro Paravento di Locarno, fuggito al regime del Cile di Pinochet aggrappandosi al braccio teso del clown Dimitri; quella di Ludovico Franscini, giovane ticinese confrontato per la prima volta con il mondo degli adulti. Tre storie parallele che hanno nel teatro tre comuni occasioni, riuscite, d’integrazione.

In corso d’opera

A ‘Un palco per la vita’, al teatro come opportunità, si arriva però da strade diverse. Spiega Martinoni: «Il progetto era nato dalla volontà di dimostrare che tutti sono in grado di mettere in scena Shakespeare», guizzo nato nella testa dell’ideatore vedendo all’opera lo Stivalaccio Teatro sulle assi del Paravento nell’estate del 2018. «Portavano in scena il Romeo e Giulietta in una maniera strampalata e divertente, e mi sono detto che tutti, in qualche modo, al di là dello stile, della professionalità e dell’età, possono realizzare un proprio Shakespeare».

Troppo presi, quelli dello Stivalaccio, per partecipare all’idea; Martinoni si rivolge a compagnie che possano incarnare le qualità di cui sopra: «Ho contattato il Gruppo adolescenti dell’Associazione Scintille di Katia Troise, che ha accettato, allestendo il Sogno di una notte di mezza estate; poi ho preso contatto con Prisca Mornaghini e Antonello Cecchinato della Bottega del Teatro chiedendo se in uno dei loro gruppi teatrali fossero presenti stranieri desiderosi d’integrarsi in Svizzera». E così è stato, e la Bottega del Teatro sceglie una versione particolare del Macbeth; «Per ultimo, avrei voluto una compagnia di professionisti». Ed ecco Cienfuegos, che scrive appositamente per il film una conferenza-spettacolo sul ruolo del buffone nell’opera del grande drammaturgo. «Poi, Paolo Vandoni, che ha iniziato a collaborare con me alle riprese, mi ha fatto notare che a quel punto non ci trovavamo più di fronte a una rivisitazione di Shakespeare in diverse salse, ma che eravamo già abbondantemente nel campo dell’integrazione». E in nome del cambio in corso d’opera che è anche proprio del genere documentario, «il paradigma è cambiato».

Squadra allargata

Da settembre 2020 a oggi, a cambiare è stato anche il documentario stesso. «Abbiamo provato una decina di montaggi, affinando quello finale che ha convinto un po’ tutti. Questo dimostra che se c’è il giusto gruppo di lavoro si possono raggiungere risultati insperati». E qui Martinoni si prende il microfono: «Paolo Vandoni alle riprese, con cui ho iniziato a lavorare, al quale si è unito il provvidenziale Lorenzo Pomari, che si è assunto parte preponderante del lavoro di ripresa; voglio citare Etienne Del Biaggio, uscito dal Cisa con la miglior media, molto più giovane di noi, integratosi subito, cui dobbiamo uno straordinario lavoro di montaggio, portato a termine con maturità e sensibilità. E voglio citare Fabio Martino – il Mago dei Vad Vuc, ndr. – che per le musiche ha fatto un lavoro incredibile». L’ideatore cita anche Daniela Ambrosoli e Mila Merker, e la luganese Central Productions, il cui supporto economico diretto o indiretto ha portato a un prodotto professionale con a capo un uomo non di cinema, se si guarda alla professione, ma che cinema è: «Non ho mai smesso di fare il giornalista, ho solo lavorato a tempo perso, nei ritagli di tempo, di sabato e di domenica, prendendo vacanza, seguendo tutto passo dopo passo; laddove non potevano gli altri per vari motivi, alle riprese io c’ero sempre, e a tutte le fasi precedenti e successive».

Martinoni è orgoglioso della squadra, una squadra allargata: «I ragazzi del Cisa ci hanno dato una mano sopperendo, come esercizio scolastico, all’eventuale impossibilità dei nostri operatori e facendo un ottimo lavoro. E così la Coop, una delle istituzioni coinvolte, presso la quale lavora Seid, e che ci ha dato libero accesso agli spazi lavorativi. Seid è uno degli esempi più virtuosi d’integrazione, un ragazzo giunto qui da noi a pezzi dal suo viaggio e ricostruitosi grazie a una determinazione pazzesca. Lo stesso vale per la Croce Rossa, che ci aperto le porte del Centro per i richiedenti l’asilo minorenni non accompagnati di Castione, con il coinvolgimento di Federico Bettini, al tempo uno dei responsabili di questi programmi d’integrazione».

‘Un palco per la vita’, sta scritto nei titoli di coda, è dedicato a Erminio Ferrari, di Martinoni amico e collega, andatosene a ottobre di un anno fa: «È un omaggio doveroso a una persona che di emozioni se ne intendeva». E l’incrocio di emozioni costruito dal diversamente regista Martinoni insieme a Pomari e Vandoni, lungo un’ora di proiezione in cui s’annodano stralci d’Africa, sudamerica e storia locale, ‘l’Ermi’ non l’avrebbero lasciato indifferente.