Gianni Infantino impegnato urbi et orbi nella campagna di promozione del progetto di riforma della Coppa del mondo. Ma l’Europa del pallone non ci sente
Due schieramenti che si apprestano a fronteggiarsi in campo aperto, a muso duro, con toni sempre più accesi, in attesa di un corpo a corpo furioso dall’esito ancora incerto. Da una parte la Fifa guidata da Gianni Infantino, nei panni a lui congeniali assai del politico più che del presidente e dirigente di una federazione internazionale.
Dall’altra, l’ariete è simboleggiato dall’Uefa capeggiata da Aleksander Ceferin, alla testa della confederazione più ricca e di successo, dalla confederazione sudamericana e dall’associazione dei club europei. Una prima linea robusta, bene armata e decisa a farsi valere, appoggiata inoltre alle spalle da legioni corpose ben equipaggiate rappresentate dal Cio, il Comitato olimpico internazionale intervenuto a tutela del proprio orticello e di tutti gli sport che non siano il calcio, che non a caso allo spirito e alla tradizione a cinque cerchi non ha mai attinto né intende farlo in futuro. In quanto di spazio per le proprie cose e i propri affari ne ha già tanto.
Ecco quindi svelato l’oggetto del contendere della lotta di cui sopra: il progetto di Coppa del mondo ogni due anni caldeggiato e abbondantemente promosso dalla Fifa bussando alle porte dei capi di Stato oltre che delle associazioni competenti in materia di pallone. Una riforma che Infantino pretende di sdoganare urbi et orbi spacciandola come un’opportunità da cogliere per dare al calcio «una dimensione veramente globale».
«Il dovere della Fifa - così si esprime in giro per il mondo per giustificare la sua brama di “grandeur” mascherata con buoni propositi quali la solidarietà, lo sviluppo e il coinvolgimento di tutti, grandi e piccoli al tavolo sul quale c’è una torta da spartirsi - è fare in modo che globale lo diventi per davvero».
Inevitabile, con questi presupposti, che entrino in gioco concetti quali l’avidità che molto bene si coniugano con gli intrecci politici legati a una questione che muove palate di miliardi e scomoda, giocoforza, le istituzioni ai massimi livelli, che si parli di governi o di federazioni fa lo stesso. In alto, si deve mirare, e in alto mira Infantino. Il quale in Israele ha sciorinato la retorica dei giorni più (in)felici parlando del calcio come «mezzo per unire le persone» al cospetto del primo ministro israeliano Naftali Bennett, al quale ha svelato in tutta la sua lungimiranza un’idea che apparentemente sembrerebbe folle e utopica, ovvero vedere lo Stato ebraico ospitare la Coppa del mondo 2030 con alcuni dei suoi Stati vicini guidati dagli Emirati Arabi Uniti.
«Penso che la co-organizzazione sia il futuro e quindi perché non sognarlo e pensarci, sia a livello senior, junior, maschile o femminile? La Coppa del mondo ha questa magia unica di riunire e unire le persone», ha detto Infantino, ricordando «lo storico accordo aggiunto tra la federcalcio israeliana e quella degli Emirati Arabi Uniti», simbolo di quella unione di intenti – e di risorse, ci permettiamo di aggiungere – della quale la Fifa si fregia di essere ambasciatrice. Fifa che si autocelebra scrivendo che «vuole mettere il calcio al servizio della società, per fare davvero la differenza dando il suo contributo, ove possibile, alla pace e alla stabilità nella regione». Evvai. L’Onu la smetta di preoccuparsi e di spendersi, alla pace del mondo pensa la Fifa.
Il cui leader maximo non sta lesinando gli sforzi, né risparmia sui voli. In un recente viaggio a Caracas, in Venezuela, si è ripromesso di assicurarsi che «il calcio sia veramente globale. Affinché sia così, dobbiamo analizzare come migliorare il calcio delle Nazionali, e non c’è competizione che si avvicini alla Coppa del mondo». «Il presidente della Fifa – ha poi aggiunto rincarando la dose, sia mai che non si sia capito che il calcio è di tutti (purché ci sia qualcuno disposto a pagarne il prezzo salato) – è il presidente di 111 Paesi e ciascuno di loro ha il diritto di sognare. Ma il sogno deve avere una possibilità di avverarsi perché, se devi sognare per l’eternità, finirai per fare qualcos’altro».
Un po’ di sana filosofia, suvvia, utile a spostare per un attimo il dibattito dal livello assai poco poetico nel quale da anni è ormai scivolato in un contesto che non acchiappa più nessuno, se non i vertici di alcune tra le principali aziende mondiali pronte a salire sul carro dell’evento planetario per ricavarne un ritorno pubblicitario ed enormi ricavi; o le istituzioni dei Paesi interessati a mostrarsi ospiti all’altezza, stuzzicati dall’idea di un bel ritorno di immagine da sfruttare a fini che non sono esattamente nobili, per usare un eufemismo.
Insiste, Infantino. Martedì lo ha fatto discutendo via Zoom con alcuni dei presidenti delle federazioni europee, ai quali ha esposto i suoi piani, pur sapendo dell’avversione ai suoi propositi da parte dell’Uefa, apertamente contraria, ostile e pure risentita per non essere stata chiamata in causa da un progetto al centro del quale l’istanza continentale pretende di essere sempre, non fosse che per il ruolo e il peso che hanno le federazioni a essa affiliate, il tesoro del calcio capace di trascinare verso di sé gli introiti delle sponsorizzazioni più importanti e ricche.
L’organizzazione più regolare di una Coppa del mondo, associata all’aumento dal 2026 del numero di partecipanti da 32 a 48, stando a Infantino «darebbe più opportunità a nazioni calcistiche minori».
«La possibilità di riformare il calendario con un Mondiale ogni due anni l’abbiamo analizzata da un punto di vista calcistico ed è possibile. Ci sono molti vantaggi, perché diamo più possibilità a più Paesi di partecipare. Quando è stato deciso che i Mondiali si sarebbero svolti ogni quattro anni, circa cento anni fa, la Fifa contava 40 nazioni. È tempo di analizzare la questione», ha detto, ribadendo che una decisione verrà presa a fine anno. «Il prestigio di una competizione non dipende dalla sua frequenza. Altrimenti organizzeremmo un Mondiale ogni 40 anni. Il prestigio dipende dalla qualità della competizione». Già, la qualità: come garantirla, se la festa, da esclusiva diventa aperta a tutti? La qualificazione dovrebbe presupporre dei meriti tecnico-sportivi, altrimenti basta pagare il biglietto all’ingresso e la Fifa apre. A scapito della qualità di cui sopra, però, non a suo beneficio. Difficile vederla, questa contraddizione? Massa non fa rima con qualità, semmai lo fa con cassa. Appunto.
L’Associazione svizzera di calcio appoggia l’Uefa, ma ha preso tempo, in attesa di valutare tutti gli argomenti che le massime istanze del calcio sono disposte a mettere sul tavolo. Pare che più di una dozzina di federazioni nazionali (tra le quali le nordiche Danimarca, Far Oer, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) stiano prendendo in seria considerazione di uscire dalla Fifa. Ceferin – dopo la grana Superlega il numero uno dell’Uefa si trova per le mani un dossier anche più scottante – parla apertamente di possibile boicottaggio delle manifestazioni Fifa, provvedimento che si tradurrebbe in un Mondiale senza Nazionali europee (e forse senza sudamericane, visto che nemmeno lì sono molto propensi alla frequenza biennale). Meno finestre internazionali durante la stagione e meno impegni per le Nazionali, come paventato dalla Fifa, alleggerirebbero forse il calendario, ma penalizzerebbero in maniera insostenibile le principali federazioni europee, legate a ricchi contratti di sponsorizzazioni pluriennali studiati proprio sulla base delle cinque finestre all’anno riservate alle partite internazionali. Una vetrina irrinunciabile il cui ritorno economico mai potrebbe in alcun modo essere compensato dai ricavi di un Mondiale più frequente, per quanto munifico questo possa essere. Una torta ricca, quella del vecchio continente, sulla quale con la “riforma” metterebbe le mani la Fifa, impoverendo l’Uefa e ricavandone comunque meno di quanto faccia adesso l’istituzione europea, poco propensa a rivedere accordi già presi e rinunciare a contratti sfarzosi in nome della (presunta) solidarietà messa ad arte al centro del progetto affidato alla commissione facente capo ad Arsène Wenger.
Per non dire, poi, degli impegni che l’Uefa ha assunto verso le singole federazioni, alle quali si è impegnata a distribuire i proventi dei prossimi eventi. Il cui calendario verrebbe ribaltato dal progetto della Fifa che si vorrebbe fare scattare nel 2026, forzando i tempi di un’operazione sospetta anche dal punto di vista della tempistica.
Infantino però rincara la dose. Il fronte arabo-israeliano non lo aveva mai aperto nessuno. La “genialata” era sfuggita anche a Sepp Blatter, passato alla storia come megalomane, il cui ruolo è stato ridimensionato dal suo successore che sembra addirittura un passo avanti, da questo punto di vista. Blatter sconfinò in Africa, con la scusa del Mondiale per tutti e della solidarietà. Dimentico del fatto che il Sudafrica che ospitò l’edizione del 2010 è quanto di meno africano ci sia nel continente al quale “regalò” finalmente una Coppa del mondo con annessi “bla bla” sugli incentivi allo sviluppo del calcio e sul ritorno in termini di infrastrutture per il Paese ospitante che di passi avanti poi non ne ha più fatti, ovviamente. Nel rugby sì, però. A ciascuno il suo, non funziona così?
Che volete che siano la tradizione o la cultura pedatoria? Concetto astratto, per Infantino e sodali. Superato. Quindi, repentina virata anche sul fronte arabo, aperto già dalla controversa assegnazione al Qatar della prossima edizione. Sospettare che la Fifa in passato si sia sbilanciata a favore dell’una o dell’altra Confederazione – dietro lauto finanziamento o “pagherò” – e che debba gradatamente saldare il debito non è un crimine. Del resto, la politica c’entra eccome. Un’operazione finanziaria della portata di una Coppa del mondo nel terzo millennio presuppone che la politica scenda per forza in campo, altrimenti nisba. Ne consegue che le visite ufficiali di Infantino ai capi di Stato hanno una logica. L’operazione complicata è fare credere alle Nazionali, ma soprattutto alla gente, che il calcio ci guadagna. Il calcio, non la Fifa.
Il progetto di un Mondiale ogni due anni e il punto sulla riforma del calendario internazionale dal 2026 in poi sono stati gli argomenti principali trattati dal Consiglio della Fifa, che si è riunito ieri. Fra gli altri argomenti in agenda, il Mondiale per club per il quale il Giappone si è ritirato. Potrebbe disputarsi nel gennaio 2022 in sede da definirsi, si parla del Qatar. Il lancio della discussione sulla Coppa del mondo a ritmo biennale ha invece frenato il progetto di far passare a 24 il numero di partecipanti al Mondiale per club, che avrebbe dovuto svolgersi in Cina ma non è mai stato lanciato a causa della pandemia. Una tematica simile, le ripercussioni del Covid-19 sul mondo del calcio e il suo calendario internazionale, è altresì stata trattata dal Consiglio.
Più concreta l’iniziativa congiunta, a riprova dell’alleanza contro la Fifa, promossa da Uefa e dalla federazione sudamericana Conmebol che si sono fatte promotrici di una Coppa Intercontinentale per Nazionali (denominata “la Finalissima”) che prevede la sfida tra i campioni dei due continenti (in giugno la prima edizione con un’affascinante Italia-Argentina).
Allo studio anche una Nations League intercontinentale ogni quattro anni con otto finaliste (quattro europee e quattro sudamericani) inserite in un torneo che per la qualità delle contendenti si avvicinerà molto alla fase finale di una Coppa del mondo classica.