Luganese

‘Mi sono fatto ingolosire’, a processo per diverse truffe

Due cittadini italiani sono accusati di avere presentato contabilità gonfiate per ottenere più crediti covid. Uno dei due rischia fino a 3 anni di carcere.

I fatti si sono svolti in diverse località (Archivio Ti-Press)
16 agosto 2021
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Ci sono ancora una volta i crediti Covid alla base di una serie di presunte truffe che hanno portato oggi due cittadini italiani a processo alle Assise criminali di Lugano. Un 46enne e un 53enne sono infatti accusati di aver presentato una serie di cifre d'affari fittizie per ottenere, attraverso alcune società attive nel commercio di materie prime, un finanziamento rapido da parte dello Stato. «Si tratta di un atteggiamento grave, che mette in pericolo la fiducia tra autorità e cittadino. Questo inoltre in un momento difficile come quello legato alla pandemia», ha commentato il procuratore pubblico Daniele Galliano durante l'arringa finale. Per il 46enne, già con precedenti in Italia per bancarotta fraudolenta, è stata chiesta una pena di 3 anni, di cui sette mesi da espiare (72 giorni sono già stati scontati), e l'espulsione per un periodo di 7 anni dalla Svizzera. All'uomo viene inoltre imputato di essersi reso protagonista, individualmente, di amministrazione fedele aggravata e falsità in documenti ottenendo finanziamenti pubblici per circa 2 milioni di franchi. Un affare comunque andato male, con un danno totale di oltre 1 milione di franchi al patrimonio della società. Per il 53enne è invece stata chiesta una pena sospesa di 8 mesi e il divieto di entrare sul suolo elvetico per i prossimi 5 anni. Per i presunti reati, svolti secondo l'accusa in correità, i due imputati si sono più volta scaricati la colpa a vicenda durante il dibattimento in aula. La corte presieduta da Amos Pagnamenta, con Monica Sartori-Lomardi e Luca Zorzi come giudici a latere, pronuncerà la sentenza domani pomeriggio. 

‘Io firmavo e basta’

«Non sapevo delle richieste di credito, riguardavano la sua società», ha detto il 46enne. «Ho fatto quello che mi hanno suggerito, io mi sono limitato a firmare», ha affermato poco dopo il 53enne. Il punto più dibattuto dell'atto d'accusa è stato quello che riguarda i presunti raggiri svolti in correità dai due. Le versioni dei due cittadini italiani sono infatti discordanti. Il primo, dopo aver acquistato una società per 7mila franchi, ha presentato alla Confederazione per gli aiuti covid un fatturato annuo di oltre 3 milioni di franchi. «Un vero affare, l'avrei acquistata pure io», ha commentato ironicamente il giudice. Il credito non è infatti stato concesso dalla banca, anche perché presentato oltre la data limite per ottenerlo. «È un'accusa inspiegabile. Il formulario è stato presentato in evidente ritardo per ottenere il denaro da parte di Berna, era un fatto noto a tutti e non si può quindi parlare di truffa. Si tratta semplicemente di una bugia scritta», ha invece contestato il suo avvocato Gabriele Banfi. Un punto sul quale il Pp non si è detto d'accordo. «Era molto difficile, è vero, ma non impossibile. C'è un tentativo di truffa. Durante l'inchiesta l'imputato si è inoltre contraddetto più volte, dimostrandosi scarsamente collaborativo». Banfi ha chiesto per il suo assistito il proscioglimento da tutti i capi d'accusa: «il mio cliente non conosce il diritto elvetico e si è quindi fidato dei professionisti che lo hanno consigliato male». 

‘Ho fatto degli errori’

Il 53enne, difeso dall'avvocato Fiammetta Marcellini, ha invece ammesso in parte la sua colpa per quanto riguarda i capi d'imputazione che lo riguardano singolarmente. Patteggiando così con l'accusa. «Mi sono fatto ingolosire, è vero. Ho presentato per esempio una fatturazione più alta, pari a 5 milioni di franchi, al fine di ottenere immediatamente aiuti maggiori». Soldi poi utilizzati per altri scopi. A finire sotto i riflettori della corte è stata anche la mancanza di un registro contabile per quanto riguarda la società gestita dall'uomo. «Sicuramente questo mi ha portato a commettere degli errori di calcolo. Un agire sprovveduto del quale mi pento». Entrambi i cittadini italiani, solo uno dei quali domiciliati in Ticino, hanno manifestato l'intenzione di tornare presto in Italia per proseguire la loro carriera lavorativa.