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Crisi demografica, la ricchezza contro la natalità

C'è una constatazione che esce dalle statistiche: più cresce il reddito pro capite, meno si fanno figli. Un problema 'culturale'

(Ti-Press)
29 maggio 2021
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A chi dice e scrive che non si fanno più figli, che c’è crisi demografica, che se non ci diamo una mossa anche il Ticino si svuoterà, vien voglia di richiamare uno studio recente della Banca d’Inghilterra. Un po’ ironicamente, ma soprattutto per rilevare le stravaganti interconnessioni tra vita, economia e politica. Quella Banca ha avuto la autocelebrativa iniziativa di mettere a confronto tassi di interesse e nascite nel regno di Elisabetta. Ed è approdata a una gioiosa constatazione: dopo i due anni in cui i tassi di interesse britannici sono scesi dal 5 allo 0,5 per cento, il tasso di natalità nei tre anni successivi è aumentato del 7,5 per cento. Quindicimila figli “supplementari”.

Dunque, le politiche monetarie non stimolano solo l’economia. Come lo si spiega? I tassi di interesse bassi o pressoché negativi hanno accresciuto il potere d’acquisto (minor costo dell’alloggio, minor costo del debito ipotecario, ecc.) e si è così innescato il convincimento che l’”onere” di un figlio era abbordabile. Un calcolo non senza rischio, fatto sulla breve-media scadenza. Ma sentenza bancaria precisa: ogni riduzione di un punto del tasso di interesse ufficiale si traduce in un aumento del due per cento del tasso di natalità.

Ecco la soluzione, si potrebbe dire! Smentita subito dalla realtà elvetica: sono più di cinque anni che le famiglie elvetiche vivono con i tassi di interesse negativi, e non è che i tassi di natalità o di fecondità siano aumentati. Anzi, la “secchezza”, come ha scritto Maurizio Agustoni su queste colonne, è rimasta. Si sono invece moltiplicati costruzioni e sfitti, contro ogni legge della domanda (demografica) e dell’offerta (immobiliare). Non sono neppure diminuite le pigioni. È stato contenuto l’apprezzamento del franco rispetto all’euro, è vero. Ma i risparmi, decurtati anche dalle commissioni bancarie, e i fondi delle casse pensioni, sono stati penalizzati. Quanto a dire, insomma, che l’economia ha delle ragioni che alle volte la ragione misconosce o degli effetti che la sinderesi non percepisce.

C’è una constatazione, che esce dalle statistiche. Non si sa per quale motivo si tende a non esplorarla, anche dai nostri demografi. È in contrasto con lo studio britannico. Ed è questa: la natalità è inversamente proporzionale all’aumento del prodotto interno lordo pro capite. Insomma, per farla breve, più cresce la ricchezza o il reddito pro capite, meno si fanno figli. Forse prevale un retaggio storico. Già il primo demografo, Malthus, diceva: “i poveri fanno troppi figli”.  È una convinzione socioeconomica rimasta, soprattutto tra i ricchi. Ed è così che la ricchezza o la condizione di benessere è finita in combutta con la natalità, che disturba o condiziona l’uso della propria ricchezza. Non ci sono politiche particolari e neppure religioni che riescono a mutare un gran che. Tanto da dover sempre trovare altrove i cosiddetti “dividendi demografici” (e finiremo per trovarli in Africa, come un tempo in Sardegna per la Monteforno). Il problema è dunque essenzialmente “culturale”. Non si scappa. Bisognerebbe avere il coraggio di ammetterlo, anche se poi è complicato partire da lì.

 

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