La consigliera nazionale Marie-France Roth Pasquier (Centro) giudica ‘positivo’ il bilancio della riforma ‘non perfetta’ del 2º pilastro. Intervista
‘Furto delle rendite’, ‘fregatura”: i sindacati non vanno per il sottile sulla riforma Lpp. Marie-France Roth Pasquier, cosa risponde?
Che sono molte di più le persone che ne trarrebbero beneficio da questa riforma, di quelle che verrebbero svantaggiate; e che la riforma favorisce tendenzialmente le donne rispetto agli uomini. Circa 360mila persone [le cifre sono quelle dello studio della società di consulenza Bss commissionato da Alliance F, ndr], la maggioranza delle quali donne [275mila, ndr], vedrebbero le loro rendite Lpp aumentare, a fronte di 169mila persone [di cui 67mila donne, ndr] che invece subirebbero una perdita. Inoltre, 70mila persone, anche qui soprattutto donne, saranno per la prima volta assicurate nel 2o pilastro. Parliamo in particolare di lavoratrici e lavoratori con salari modesti, che cumulano diversi impieghi. Per questo faccio fatica a capire come i sindacati possano essere contrari a una riforma che oltretutto interessa una piccola minoranza delle persone assicurate nel 2o pilastro [il 15% dei 4,6 milioni di assicurati: quelli affiliati a una cassa pensione che offre solo le prestazioni minime previste dalla legge o poco più, ndr].
I sindacati sostengono che il prezzo da pagare – in termini di contributi salariali, soldi che ogni mese vengono a mancare in busta paga – è troppo elevato, che il rapporto costi/benefici non quadra. Insomma: questa riforma è un pessimo affare.
Ogni riforma ha vincitori e perdenti. In questo caso, alla fine il bilancio è positivo. I sindacati mettono in evidenza solo gli esempi negativi, che riguardano quasi esclusivamente persone dai 45 anni in su con salari medio-alti. Ma questa riforma è stata concepita per migliorare la copertura assicurativa nel 2o pilastro di persone con salari modesti: le donne in particolare, molte delle quali oggi sono tagliate fuori dalla previdenza professionale. Ne beneficeranno anche le persone di più di 50 anni, che quando hanno perso il posto di lavoro fanno fatica a ritrovarne uno: la riduzione dell’aliquota degli accrediti di vecchiaia li renderà infatti meno cari per i datori di lavoro. Ciò permetterà tra l’altro – più in generale – di fare qualcosa contro la carenza di manodopera.
La riforma migliora in effetti la copertura assicurativa nel 2o pilastro delle persone che lavorano a tempo parziale e con redditi modesti. Ma la classe media? In Romandia il Centre patronal, che raccomanda di votare no, sostiene che è lei a farne le spese.
Il Centre patronal ha sviluppato un altro modello, a suo dire molto migliore. Sostiene che la Lpp meriti di meglio. Allo stesso tempo, critica il compromesso iniziale elaborato dalle parti sociali [il Consiglio federale l’aveva fatto proprio, ma poi il Parlamento lo ha messo da parte, ndr]. Perché non ha preso parte prima alle discussioni? Ora critica tutti gli elementi di questa riforma, ma non è conosciuto per difendere i lavoratori con salari modesti.
Le sue esperte dicono che la classe media è stata “completamente dimenticata”, che la riforma – a causa della rimodulazione delle aliquote degli accrediti di vecchiaia – provoca “un’amputazione” del risparmio degli assicurati con salari medi.
Questa riforma non è perfetta, lo ripeto. È il frutto di un compromesso trovato in Parlamento: e sappiamo sia com’è composto quest’ultimo [destra e centro hanno la maggioranza, ndr], sia cos’è un compromesso. Sì, sulla carta una parte delle lavoratrici e dei lavoratori della classe media ne esce svantaggiata nel complesso. Ma il numero delle persone che subiranno una riduzione della rendita [del 15% al massimo, stando agli esempi forniti con tutte le precauzioni del caso dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, ndr] è tutto sommato limitato. E va controbilanciato con quello delle persone (bassi redditi, tempi parziali, lavoratori ‘anziani’) che la maggioranza del Parlamento ha volutamente scelto di favorire. Insomma: una spintarella a chi ha più bisogno di avere una pensione decente. Un sì il 22 settembre sarebbe un segnale di solidarietà nei loro confronti.
Una spintarella che però queste persone dovranno pagare profumatamente: se uno deve pagare per anni o decenni decine e decine di franchi in più di contributi al mese per avere, quando sarà in pensione, una rendita magari di poco superiore a quella che avrebbe attualmente, non è un buon affare.
Bisogna pagarla, questa rendita: è chiaro. Ma non è soltanto la lavoratrice o il lavoratore a farlo: il datore di lavoro partecipa almeno in egual misura. L’avere di vecchiaia, inoltre, viene alimentato dal cosiddetto ‘terzo contribuente [i ricavi che le casse pensioni ottengono dai loro investimenti sui mercati finanziari, ndr]. Questa riforma permetterà a molte persone – donne soprattutto – di disporre finalmente di un avere di vecchiaia, o di migliorarlo: in questo senso è una barriera contro la precarietà nella quale oggi sono costrette a vivere non poche pensionate, che possono contare unicamente sull’Avs. Senza dimenticare che le donne nel 2o pilastro saranno assicurate anche contro l’invalidità e il decesso.
Nel 2022 alle donne era stato promesso un miglioramento delle rendite del 2° pilastro, quale contropartita politica per l’aumento dell’età di pensionamento da 64 a 65 anni. Questa riforma è una compensazione piuttosto modesta: la promessa è stata mantenuta?
La compensazione è parziale, ma c’è. In Parlamento facevo parte delle donne che si sono impegnate per ottenere un giusto contrappeso. Purtroppo la maggioranza ha preferito allontanarsi dal compromesso iniziale [basato su un’intesa fra sindacati e Unione svizzera degli imprenditori, ndr], ma siamo riusciti comunque a fare un passo. Se questa riforma – che favorisce tendenzialmente le donne rispetto agli uomini – verrà accolta, la situazione sarà migliore per molte lavoratrici e lavoratori e un po’ meno buona solo per alcuni di loro.
Da un lato, abbiamo dei supplementi di rendita che, in molti casi, non compensano la riduzione del tasso di conversione minimo; dall’altro, li riceveranno anche quasi 400mila persone che non risentiranno della riduzione del tasso di conversione. Il Parlamento – compreso il suo partito – ha chiaramente fatto un pessimo lavoro su questo importante aspetto della riforma. Cosa ne pensa?
Se alcuni dicono che i supplementi sono troppo generosi e altri invece che sono troppo bassi, per me significa che il Parlamento ha trovato un buon compromesso su questa complessa questione. Questi supplementi di rendita consentono alle persone prossime alla pensione di compensare la riduzione del tasso di conversione, e questo durante un massimo di 15 anni. Questa limitazione è prevista proprio per aiutare le persone che ne hanno bisogno. Il supplemento è limitato a un certo livello di avere di vecchiaia: la soglia [441mila franchi, oltre i quali non si ha diritto a riceverlo: ndr] è stata fissata in modo da arrivare a una compensazione per il 50% degli assicurati di età compresa tra i 50 e i 65 anni. Poiché circa un sesto della popolazione attiva è direttamente interessato dalla riduzione dell’aliquota di conversione, un numero maggiore di persone riceverà un supplemento. Questo è un atto di solidarietà nei confronti degli assicurati con rendite basse.
Per molti il 2° pilastro e questa riforma sono una sorta di scatola nera. L’impressione è che state facendo parecchia fatica a trasmettere il vostro messaggio. È davvero così?
Abbiamo poco tempo per spiegare un tema di una complessità estrema e convincere la popolazione – le donne soprattutto, ma anche i ‘giovani’ – a votare sì. Il primo pilastro è molto più semplice, è facile da comprendere. La previdenza professionale è alta orologeria: ci sono molti elementi, gli ingranaggi sono complicati. I non addetti ai lavori faticano a capire come funzioni. Tutto questo rende assai difficile il nostro compito. Ancor più se si pensa che per molte persone di 25, 30, o magari anche di 40 anni, la rendita Lpp è un tema lontano dalle loro preoccupazioni. Cerchiamo di evitare la battaglia delle cifre e degli esempi, terreno sul quale vogliono portarci i contrari, che comunque hanno già dovuto correggere il tiro rispetto all’inizio della campagna, quando andavano dicendo che tutti sarebbero usciti perdenti da questa riforma.
Quasi tutte le casse pensioni – comprese molte di quelle che garantiscono solo il minimo Lpp – si sono da tempo adattate alla realtà demografica e dei mercati finanziari. Cosa succederà di così grave se il popolo dirà no il 22 settembre?
I cambiamenti sociali sono una realtà, non li possiamo negare. Mentre le casse pensioni, nel regime obbligatorio, devono continuare a versare le rendite ai pensionati (perlomeno a coloro che non hanno optato per il ritiro del capitale) in base a un’aliquota di conversione ferma al 6,8%, troppo alta alla luce della speranza di vita che si allunga e del calo dei rendimenti sui mercati finanziari. Finora lo hanno potuto fare soltanto grazie a un finanziamento trasversale ‘solidale’, estraneo alla logica del 2o pilastro [dove ognuno risparmia per accumulare il proprio capitale di vecchiaia, ndr], attraverso il quale gli assicurati attivi finanziano le rendite dei pensionati. Se questa riforma verrà respinta, il mondo non crollerà. Ma saremo in una situazione delicata per molte casse pensioni, costrette a dover ancora compensare le perdite sui pensionati attingendo dal capitale degli assicurati attivi: un fenomeno che alla lunga indebolisce la previdenza professionale.