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Vincitori e perdenti della riforma del secondo pilastro

Il ‘pacchetto’ in votazione il 22 settembre contiene numerose misure. Quale impatto avranno, nel complesso, sui contributi salariali e le rendite?

Si vota il 22 settembre e la campagna promette scintille
(Keystone)
29 agosto 2024
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“Pessima per i lavoratori a bassi salari e per le donne”, dice l’Unione sindacale svizzera (Uss); “Aumenta le rendite delle persone che lavorano a tempo parziale e che ricevono redditi bassi (...). A beneficiarne saranno in particolare molte donne”, afferma il comitato che si batte per il sì. Già a questo punto è facile confondersi. E più ci si addentra nella materia (già affrontata nell’edizione del 21 agosto), più le cose si fanno complicate. La riforma della previdenza professionale (Lpp) in votazione il 22 settembre non è la 13esima Avs: capire quale impatto potrebbero avere, combinate, le diverse misure inserite nel ‘pacchetto’ sulle rendite Lpp e i contributi salariali, è impresa ardua. E, si sa, quando le cittadine e i cittadini faticano a raccapezzarsi, tendono a reagire in modo difensivo votando no.

Anche lo studio realizzato dalla società di consulenza Bss per conto di Alliance F (l’organizzazione femminile mantello) offre indicazioni sulle conseguenze ‘macro’ (in particolare sulle donne) della complessa revisione di legge, contro la quale sindacati e sinistra hanno lanciato con successo il referendum. Ma alla fine – per sapere se ci si perde o ci si guadagna – non resta che seguire il suggerimento dato dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider a ciascuno dei circa 4,6 milioni di lavoratori e lavoratrici assicurati al 2o pilastro: andate a guardare il vostro certificato Lpp, chiedete alla vostra cassa pensioni.

Chi è interessato e chi no

  • Quel che è certo è che non cambierà nulla per chi sarà già in pensione quando la riforma entrerà (semmai) in vigore, verosimilmente nel 2026 al più presto: le rendite Lpp dei pensionati, infatti, non subiranno variazioni.
  • Anche coloro che al momento del pensionamento rinunciano a una rendita, preferendo prelevare in toto o in parte il capitale (sono sempre più numerosi a farlo), sfuggiranno del tutto o parzialmente alla riduzione della rendita dovuta all’abbassamento dal 6,8 al 6% dell’aliquota di conversione (il tasso che, al momento del pensionamento, converte in rendita l’avere di vecchiaia accumulato durante la vita lavorativa).
  • La riforma non avrà in pratica ripercussioni per una grande maggioranza dei lavoratori, che beneficiano di prestazioni ben al di sopra del ‘minimo’ Lpp (regime sovraobbligatorio). Le loro casse pensioni hanno già risolto da sole, senza attendere il legislatore, il duplice problema dell’allungamento della speranza di vita e del calo dei rendimenti dei loro investimenti sui mercati finanziari (rendimenti comunque di nuovo in crescita da un paio d’anni a questa parte): sfruttano infatti la possibilità offerta dalla legge di applicare un tasso di conversione ‘misto’, inferiore (oggi è in media del 5,3%) a quello previsto dalla riforma (6%).
  • Direttamente interessati dalla riforma sono per contro le lavoratrici e i lavoratori (così come i loro datori di lavoro) affiliati a casse pensioni che offrono unicamente le prestazioni minime previste dalla legge, o le cui prestazioni superano di poco tale soglia. Stando all’Ufas, si tratta di un terzo al massimo degli assicurati (un 20% con una parte minima di ‘sovraobbligatorio’, più un 12% con piani pensionistici esclusivamente in regime obbligatorio), affiliati al 12-16% degli oltre 1’300 istituti di previdenza esistenti. La società di consulenza Bss indica un 15% di assicurati (527mila persone) “direttamente interessati” dalla riforma, in quanto coperti soltanto dal ‘minimo’ Lpp.

Chi ci guadagna e chi ci perde

  • Tra questi ultimi, chi ha un reddito basso o medio tende a contribuire maggiormente (gli accrediti di vecchiaia sulla parte di salario assicurato) e ad avere una rendita più elevata al momento del pensionamento: in questi casi, che riguardano per il 77% donne (275mila, a fronte di 84mila uomini), prevale il duplice effetto ‘dopante’ dell’abbassamento della soglia d’entrata nel 2° pilastro e dell’ampliamento della parte di salario assicurato alla Lpp in virtù della ridefinizione della deduzione di coordinamento.
  • Al contrario, stando alla società di consulenza Bss, chi ha un reddito elevato (e nonostante questo continui a essere assicurato secondo il minimo Lpp) tende ad avere una rendita inferiore: in questi casi, che riguardano in tutto 169mila persone – per il 60% uomini (102mila), per il 40% donne (67mila) – prevale l’effetto penalizzante della riduzione del tasso di conversione, malgrado le compensazioni previste. Secondo l’Uss, la riforma porterà “di fatto a una riduzione delle rendite Lpp già per salari a partire dai 4mila franchi”.

Gli esempi

Li ha pubblicati l’Ufas a inizio luglio. Ma vanno presi con le pinze. Si basano infatti su “ipotesi fortemente standardizzate” (ad esempio: gli assicurati hanno conseguito lo stesso reddito durante tutta la loro vita professionale; sono sempre stati assicurati in un piano di previdenza minima Lpp; l’Uss parla di “ipotesi del tutto irrealistiche” e di dati “che abbelliscono notevolmente la situazione e l’effetto sulle rendite”), che non tengono conto né delle singole carriere professionali né delle prestazioni specifiche dei singoli istituti di previdenza. Pertanto “non sono direttamente applicabili alla realtà degli assicurati”.

Detto questo, l’Ufas suddivide gli assicurati interessati dalla riforma (il 15-33% del totale, come detto) in tre categorie:


Infografica laRegione / Fonte: Ufas
Una riforma dalle ripercussioni assai differenziate

Più contributi e rendita più elevata o molto più elevata (in verde nella tabella)

Gli assicurati con reddito annuo fino a 60mila franchi e quelli con più impieghi che saranno sempre stati assicurati soltanto nel regime obbligatorio Lpp o in un piano con prestazioni di poco superiori. Dall’entrata in vigore della riforma fino al pensionamento, queste persone (e i loro datori di lavoro) verseranno complessivamente contributi salariali più elevati, ricevendo in compenso una rendita superiore.

Meno contributi e rendita più bassa (in giallo)

In particolare gli assicurati che all’entrata in vigore della riforma avranno tra i 40 e i 60 anni, rimarranno sempre assicurati solo nel regime obbligatorio Lpp o in un piano con prestazioni di poco superiori e per tutta la loro carriera professionale avranno conseguito un reddito annuo superiore a 80mila franchi. Dall’entrata in vigore della riforma fino al pensionamento pagherebbero complessivamente contributi più bassi rispetto a oggi (l’aumento del salario assicurato non basterebbe infatti a compensare la diminuzione dei contributi dovuta alla riduzione delle aliquote degli accrediti di vecchiaia dai 35 anni d’età in poi): ciò comporta una riduzione della loro rendita.

Più contributi e rendita più bassa (in rosso)

In particolare gli assicurati che all’entrata in vigore della riforma avranno al massimo 30 anni, rimarranno assicurati solo nel regime obbligatorio Lpp o in un piano con prestazioni di poco superiori e per tutta la loro carriera professionale avranno conseguito un reddito annuo di almeno 75mila franchi, come pure gli assicurati che in quel momento avranno tra i 35 e i 50 anni, rimarranno sempre assicurati soltanto nel regime obbligatorio Lpp o in un piano con prestazioni di poco superiori e per tutta la loro carriera professionale avranno conseguito un reddito annuo compreso tra 65mila e gli 80mila franchi. Per tutti loro, la riduzione della rendita dovuta all’abbassamento dell’aliquota di conversione inciderà maggiormente rispetto all’aumento della stessa in virtù delle misure compensative.

Senza dimenticare che...

  • Grazie all’abbassamento della soglia d’entrata e alla deduzione di coordinamento flessibile, circa 70mila persone (in buona parte donne) potrebbero essere assicurate per la prima volta nel 2o pilastro; altre 30mila con più impieghi a tempo parziale avrebbero ulteriori redditi assicurati.
  • Tra i potenziali beneficiari ‘indiretti’ vanno annoverati anche... i suoi perdenti diretti, ossia le lavoratrici e i lavoratori affiliati a casse pensioni che offrono soltanto le prestazioni obbligatorie o poco più. In virtù della riforma, infatti, verosimilmente in questi istituti il finanziamento trasversale dagli assicurati attivi ai pensionati (ora necessario per garantire le rendite attuali con un’aliquota di conversione troppo elevata) si ridurrebbe, a tutto vantaggio dei futuri beneficiari di rendita (la conseguente remunerazione supplementare dei loro averi di vecchiaia però non è considerata nei calcoli dell’Ufas).
  • Quasi 400mila persone (220mila donne nate tra il 1962 e il 1977 e 173mila uomini nati tra il 1962 e il 1976, se la riforma entrerà in vigore nel 2027) riceverebbero (a condizione che il loro avere di vecchiaia al momento del pensionamento non superi i 441mila franchi) i previsti supplementi di rendita destinati alla cosiddetta ‘generazione di transizione’, pur non essendo colpite – giacché assicurate in regime sovraobbligatorio – dall’abbassamento del tasso di conversione minimo. Tali supplementi – il cui costo (stimato in 11,3 miliardi di franchi su 15 anni) ricadrebbe principalmente sulle spalle dei lavoratori attivi con salari elevati – non basterebbero però in parecchi casi a evitare un calo delle rendite.
  • Una parte dei 359mila assicurati che, stando allo studio Bss, vedranno la propria rendita Lpp aumentare dovrà fare capo – una volta in pensione – alle prestazioni complementari (Pc): a seguito dell’incremento della rendita perderanno però il diritto alle Pc, ragione per cui in fin dei conti la loro rendita complessiva non aumenterà.
  • Diversamente dalle rendite Avs (e dalle rendite Lpp per superstiti e di invalidità), quelle di vecchiaia del 2° pilastro non vengono adeguate automaticamente al rincaro. In un contesto inflazionistico, dunque, perdono valore effettivo.