Dichiarata incapace di intendere e di volere anche in Appello la donna, allora 75enne, che nel 2019 pugnalò un bambino di 7 anni che non conosceva
La Corte d’appello di Basilea ha confermato l’internamento per la donna che nel marzo del 2019, allora 75enne, aveva ucciso con una pugnalata al collo un bambino di 7 anni, che rientrava da scuola e non conosceva. Anche nel processo d’appello, come nella sentenza di primo grado, la donna è stata dichiarata incapace di intendere e di volere.
I giudici hanno quindi respinto il ricorso dell’anziana signora, che si opponeva all’internamento. La Corte d’appello ha inoltre approvato le richieste di risarcimento per circa 12’500 franchi e di riparazione per torto morale di oltre 123’500 franchi presentate dai genitori del bambino. In prima istanza, il Tribunale penale di Basilea aveva invece respinto tali richieste. Contro tale decisione, la famiglia aveva presentato ricorso.
Nell’agosto 2020, i giudici avevano condannato per omicidio l’allora 76enne. Ma dal momento che l’anziana signora era stata considerata "incapace di intendere e di volere", la Corte aveva optato per l’internamento. Anche per la Corte d’appello tale condanna costituisce la misura migliore, poiché la donna potrebbe commettere altri crimini violenti nella sua "follia".
Il verdetto odierno può essere ancora impugnato. La donna sarà mantenuta in carcere fino a quando la sentenza non sarà definitiva.
Il fatto di sangue risale al 21 marzo 2019 e aveva fatto molto scalpore: verso le 12.45, a poche centinaia di metri di distanza dalla sua scuola sul St. Galler-Ring, nel quartiere Gotthelf, il bambino stava rincasando ed era solo sul marciapiede quando è stato accoltellato e gravemente ferito alla gola.
La sua insegnate, che stava a sua volta rientrando in bicicletta dopo le lezioni, lo aveva trovato a terra e aveva immediatamente avvertito i soccorsi. Il bambino era stato sottoposto a un intervento chirurgico d’emergenza, ma non era sopravvissuto. Poco dopo i fatti l’anziana si era presentata in procura e aveva confessato il delitto. L’allora 75enne non conosceva né il bambino né la sua famiglia, originaria del Kosovo.
Secondo l’atto d’accusa, la donna soffre di un disturbo delirante in forma grave e cronica, in particolare di una forma di paranoia querulante che la fa sentire continuamente vittima di soprusi e ingiustizie.
In base a tre perizie, il disturbo si è sviluppato progressivamente a partire dal 1977. Per oltre 42 anni la donna ha scritto lettere sempre più numerose e virulente a diverse autorità. La situazione si è aggravata nel 1992, con lo sfratto coatto dall’appartamento di Allschwil (BL) dove viveva con il suo compagno, morto nel 1999, e con la conseguente serie di controversie di diritto civile che l’hanno vista coinvolta.
A due riprese, nel 2003 e nel 2005, la donna era stata sottoposta a cure psichiatriche nell’ambito di una misura di privazione della libertà a scopo di assistenza. Nei suoi confronti erano stati inoltre aperti diversi procedimenti per violenza e minaccia contro autorità e funzionari.
Stando all’atto d’accusa, la donna aveva iniziato a pianificare il suo gesto tre giorni prima di quel 21 marzo, girovagando nel quartiere di Gotthelf "come una tigre", secondo le dichiarazioni fatte agli inquirenti. Aveva anche preparato le bozze di alcuni messaggini SMS spediti a diverse persone dopo il delitto.