Il dato è stato pubblicato oggi dalla Segreteria di Stato dell'economia (Seco). Il settore alberghiero e della ristorazione fra i più colpiti (-20,8%)
L'economia svizzera è stata fortemente toccata dal coronavirus nel 2020, ma meno di quanto inizialmente temuto e in misura certamente meno grave di quanto successo in altri Paesi: il prodotto interno lordo (Pil) è sceso del -2,9% rispetto all'anno prima.
Il dato - si tratta della prima stima - è stato pubblicato oggi dalla Segreteria di Stato dell'economia (Seco), che sottolinea come la flessione sia superiore a quella dei tempi della crisi finanziaria del 2009 (-2,1%). Il settore dei servizi è stato particolarmente colpito dalla crisi e i consumi privati hanno subito un calo di portata storica. Al contrario, la contrazione dell'industria manifatturiera e delle esportazioni è stata meno sensibile rispetto a quella registrata durante la crisi scatenata dalla finanza oltre un decennio fa.
Può essere interessante confrontare il dato del -2,9% con le stime presentate dagli esperti negli ultimi 12 mesi. Quelli della stessa Seco si sono mostrati i meno fortunati nel prevedere il futuro: in aprile puntavano su un -6,7% e in giugno sul -6,2%, dati molto più negativi di quelli presentati dagli specialisti di altre banche e istituzioni (solo l'istituto Créa di Losanna e l'organizzazione internazionale Ocse vedevano più nero).
Uno sguardo oltre i confini nazionali permette inoltre di inserire la situazione elvetica nel quadro globale. Nell'Eurozona il Pil è sceso del -6,8%, con l'Italia a -8,9%, la Francia a -8,2% e la Germania a -4,9%. Il Regno Unito mostra un -9,9%, gli Stati Uniti -3,5% (calo peggiore dal 1946). La Cina si è invece rivelata in contro tendenza, segnando un +2,3%. Tutti i dati sono stime dei vari enti locali ufficiali, pubblicate però in tempi diversi negli scorsi giorni o settimane.
Sebbene inferiore a quella subita dai principali stati europei, la flessione elvetica del Pil non è comunque di poco conto, se letta in una prospettiva storica: costituisce infatti l'arretramento più marcato dal 1975. Allora l'economia, sulla scia della crisi petrolifera che mise in ginocchio il settore secondario, si contrasse del 6,7%, la diminuzione più elevata del Dopoguerra. Il numero degli occupati scese del 10%, ma il tasso dei senza lavoro rimase contenuto, sotto l'1%: questo perché, non essendo obbligatoria l'assicurazione disoccupazione, centinaia di migliaia di lavoratori stranieri lasciarono la Svizzera. Per fare un confronto con oggi, la disoccupazione media del 2020 si è attestata al 3,1%: in dicembre era al 3,5%, ma fra i lavoratori stranieri era quasi del doppio, al 6,4%, con alcuni Paesi di provenienza anche a doppia cifra.
Tornando ai dati sul Pil elvetico e spezzettando l'anno in quattro parti si nota un rallentamento della ripresa nel quarto trimestre: il Pil è salito del +0,3% rispetto ai tre mesi precedenti, a fronte di una progressione del +7,6% registrata nella terza parte del 2020. Arretramenti importanti sono stati registrati nei settori dei servizi direttamente colpiti dall'inasprimento delle misure di contenimento della pandemia, vale a dire nell'industria alberghiera e della ristorazione (-20,8%), nonché nel comparto dell'arte, dell'intrattenimento e delle attività ricreative (-7,7%). Anche nel segmento dei trasporti e delle comunicazioni (-0,5%), nonché in quello sociosanitario (-0,7%) la creazione di valore ha fatto segnare un andamento negativo: si tratta di cali che i funzionari della Seco giudicano significativi, ma molto meno marcati rispetto a quelli della primavera 2020.
Pure i consumi privati (-1,5%) sono diminuiti meno del primo trimestre dello scorso anno, quando ha avuto inizio la crisi del coronavirus. Di riflesso il commercio ha raggiunto un risultato trimestrale positivo (+1,5%) e anche i servizi finanziari(+0,7%) e quelli alle imprese (+0,4%) hanno registrato una crescita. Progressioni sono state rilevate anche nell'edilizia (+0,4%) e nel settore dei consumi dello Stato (+2,3%).
A differenza del primo semestre 2020 nel periodo ottobre-dicembre le catene di approvvigionamento internazionali non si sono praticamente mai interrotte: l'industria manifatturiera è così tornata a crescere (+1,4%), sostenuta dalla forte domanda in alcune importanti economie asiatiche.