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Bandecchi, Djokovic, il mega stadio. ‘L'Us Open è impressionante’

Da New York, dove ha giocato le qualificazioni del terzo Slam di fila, la ticinese torna ‘un po' delusa ma consapevole. Posso fare meglio, devo crederci di più’

Susan Bandecchi con Novak Djokovic all'Us Open
(Instagram)
31 agosto 2021
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«Avrei preferito essere ancora a New York». Risponde al 'come stai?' con una risata, a stemperare quel po’ di delusione per come è andata la sua prima volta all’Us Open. Per Susan Bandecchi, eliminata al secondo turno delle qualificazioni, la partecipazione al quarto Slam della stagione è stata la terza filata a un ‘major’. «È stato senza dubbio un sogno che si è avverato. Se a inizio anno qualcuno mi avesse detto che sarei entrata nelle qualificazioni di tre Slam, non ci avrei mai creduto. Era uno degli obiettivi, ma non so se ne fossi convinta davvero fino in fondo». Arrivata a un solo passo dal tabellone principale al Roland Garros, è però da Wimbledon e Us Open che la 23enne ticinese è uscita maggiormente delusa. «So che avrei potuto fare di più. D'altro canto, rendermi conto di avere margine, mi dà consapevolezza del fatto che posso progredire. Spero che ciò mi dia ulteriore carica».

Com'è stato il tuo primo impatto con Flushing Meadows?

Molto positivo e di grande effetto: è un centro grandissimo e stupendo. A differenza di Wimbledon (le cui qualificazioni si giocano in un altro circolo) e del Roland Garros (dove non è consentito a tutti di entrare sul Philippe Chatrier), all’Us Open è possibile accedere al campo centrale. Poter vedere dall’interno questo mega stadio e respirarne l’atmosfera, per quanto senza pubblico, è stato molto emozionante. Quando ci ho messo piede la prima volta, mi sono detta “accidenti, mi piacerebbe un giorno poter giocare qui!’” Ho pure avuto occasione di guardare allenarsi molti big, tra i quali Novak Djokovic, Daniil Medvedev, Denis Shapovalov, Stefanos Tsitsipas, Alexander Zverev, Andrej Rublev. È stato impressionante.

A New York sei andata con delle aspettative?

No. Ovviamente una volta che si arriva a giocarsi la qualificazione, l’obiettivo è di andare il più avanti possibile e dunque di accedere al tabellone principale. Purtroppo non ho espresso il mio miglior tennis. Soprattutto nella prima partita ho giocato male, anche perché l’avversaria mi faceva giocare male.

In che senso?

Tatjana Maria ha un gioco che a me non piace. Io amo, come si dice in gergo, un tennis pulito; mentre lei ha eseguito unicamente colpi slice, sia di rovescio che di diritto. Non mi era mai capitato. Io fatico un po’ a gestire una palla ‘sporca’ e lei non me ne mandava mai una uguale: a volte arrivava più molle, a volte bassa tesa, a volte metteva un diritto normale e poi di nuovo slice. Non avevo dunque punti di riferimento, non avevo ritmo ed era difficile attaccare. Nel primo set ero frustrata e mi sono innervosita, poi mi sono calmata e nel terzo set sono riuscita a essere più lucida e ad alzare un po’ il livello, ciò che è stato pagante. Alla fine ero contenta di avere vinto la partita, ma non lo ero della partita in sé. Mentre contro Astra Sharma ho giocato meglio, ma ahimè non ho saputo farlo nei momenti importanti, che a questo livello sono quelli che contano maggiormente. Di ciò ero assai rattristata, mi aspettavo di più da me stessa. Per tornare alle aspettative: forse inizialmente non erano alte; ma poi quando sei lì, auspichi di dare tutto ciò di cui sei capace.

Cosa è successo nei momenti chiave del match?

Non è semplice da spiegare, perché non mi succede spesso. Nei punti che in apparenza pesano meno, come può essere un 15 pari, ero sciolta e tranquilla e dunque efficace. Mentre nei frangenti più ‘caldi’ pensavo troppo e mi irrigidivo un po’; di conseguenza incidevo meno e sbagliavo maggiormente. Tutti i punti importanti del match li ho affrontati in questo modo, non riuscendo a spingere. Si tratta di episodi che si contano sulle dita di una mano, ma sono quelli che ti fanno perdere una partita. Più che paura di sbagliare, direi che è stata paura di vincere. Mi spiace, perché l'incontro era veramente alla pari, tanto che alla fine l’australiana ha vinto 78 punti e io 77.

Come ti sei trovata sulla terza superficie diversa in altrettanti Slam?

A me piace giocare sul cemento. Mi avevano detto che non mi sarei trovata a meraviglia, in quanto il fondo dell’Us Open è lento. In realtà, i campi di New York sono una via di mezzo e mi sono piaciuti. È stato peccato aver dovuto giocare le qualificazioni a porte chiuse: il pubblico, infatti, non era ammesso; mentre con l’avvio del tabellone principale le tribune possono essere occupate al cento per cento.

Cosa ti porti via dai tuoi esordi nel tennis che conta?

In generale: che c’è ancora tanto da lavorare. A livello di tennis sicuramente; ma soprattutto a livello mentale, per poter riuscire ad affrontare meglio proprio il tipo di partite giocate a New York ed evitare di ritrovarmi con la paura di giocare. Perché contro Sharma il mio è stato un problema solo mentale. Devo inoltre imparare a stare a questo livello, capire che è il mio posto. A volte non ci credo davvero e ciò mi gioca brutti scherzi. Quindi devo darmi da fare per riuscire a disputare sempre più questo tipo di partite. Solo giocando, si impara a vincerle. A conti fatti il bilancio negli Slam non è così negativo: ho comunque vinto tre partite. Ora devo continuare a impegnarmi, per migliorare ancora passo dopo passo. 

Ora a cosa guardi? Hai già obiettivi definiti?

Settimana prossima sarò impegnata in un Itf 60'000 a Montreux. Per un po' rimarrò in Europa, con l'intento di disputare il maggior numero di match. Per questo penso che opterò per tornei Itf. Nei tornei Wta il livello è così alto, che si rischia di giocare un po' di meno. L'obiettivo è assicurarmi una buona classifica, così da poter entrare nelle qualificazioni anche dell'Australian Open a gennaio.