Il governo del calcio mondiale continua a palesare la pessima abitudine di predicare bene e razzolare malissimo
Sabato sera c’era la boxe in Ticino, opportunità imperdibile per un suiveur di vecchia data come me, che a Locarno si è recato, oltre che per dovere, per pura passione. Avevo chiesto ai figli se, per l’occasione, volessero aggregarsi per la trasferta. ‘Come se avessi accettato’, ha declinato la ragazza diciottenne, riservandomi il sorriso condiscendente che di solito si destina allo scemo del villaggio. Sono ben poche le suggestioni che potrebbero indurla a rinunciare alla compagnia di amiche e moroso, e fra queste – mi fa notare – certo non figura la prospettiva di trascorrere una serata guardando giovani uomini intenti a gonfiarsi vicendevolmente la faccia. Si tratta, del resto, di un punto di vista piuttosto diffuso.
Suo fratello invece, vent’anni, ha deciso di tornare in Ticino da Losanna apposta per accompagnarmi al Fevi dove, grazie agli organizzatori, ha potuto seguire l’evento da una postazione davvero privilegiata, cioè il mio tavolo di lavoro, piazzato proprio ai piedi del ring, a contatto della corda più bassa. Non era la prima volta che vedeva il pugilato dal vivo, da qualche anno si sta infatti sempre più appassionando, affinando l’occhio e la capacità di valutare quanto vede sul quadrato.
Già da tempo, dunque, non si scandalizza più per il fatto che, nella boxe, nel 99% dei casi già si sa con largo anticipo chi vincerà l’incontro. Specie a certi livelli infatti – se non ci sono titoli in palio e se non emerge una superiorità più che netta – a imporsi sono sempre i pugili di casa. È una specie di legge non scritta di cui nessuno si lamenta, anche perché questo modus operandi in genere non toglie nulla alla bellezza della disciplina e allo spettacolo offerto al pubblico.
Dopo la riunione, rientrando a tarda notte in macchina verso il Mendrisiotto e commentando i combattimenti che ci eravamo goduti, il ragazzo mi ha chiesto se, nella prossima Sportellata, mi sarei occupato appunto di pugilato. In realtà – ho risposto – pensavo di scrivere sugli aspetti che non capisco del mondo del calcio. ‘Allora una colonna non ti basterà mai’, ha ribattuto il frutto dei miei lombi, a cui l’umorismo non è mai mancato, ‘dovrai farti dare almeno due pagine’.
Sta di fatto che il football, pur restando il gioco più bello del mondo, davvero presenta incongruenze che difficilmente riuscirò mai a comprendere e, soprattutto, a condividere. Ad esempio, mi chiedo come facciano i vertici mondiali del pallone – leggasi Fifa – a non provare neanche un minimo di vergogna quando, dopo averci per anni frantumato le gonadi col refrain dei ‘tornei sostenibili’, se ne escono con la conferma che il Mondiale del 2030 sarà giocato addirittura in sei Paesi diversi, sparsi sulla bellezza di tre continenti, con tutto ciò che ne consegue a livello di spostamenti aerei e relativo inquinamento.
E piuttosto curiosi sono pure i criteri attraverso cui sono state scelte le squadre che, la prossima estate, prenderanno parte al Mondiale per club negli Stati Uniti. Se per 31 di queste compagini a contare sono infatti stati i risultati colti negli ultimi anni a livello internazionale, all’Inter Miami per essere invitata al ballo è bastato aver conquistato una squallida coppetta nazionale. Il motivo? Si tratta della squadra in cui gioca sua maestà Lionel Messi, figura che la Fifa ritiene imprescindibile ai fini del successo della manifestazione: la sua assenza, semplicemente, sarebbe stata inimmaginabile.
Per non parlare dell’incoerenza che il governo del calcio dimostra sulla questione relativa alla cosiddetta inclusività, che Infantino e sodali modellano e declinano a proprio piacimento a seconda dell’interlocutore con cui hanno a che fare: è capitato infatti che in Europa imponesse di esibire sulle divise il celebre simbolo dell’arcobaleno – con severe sanzioni per chi si rifiutasse –, mentre all’ultima Coppa del mondo, giocata in Qatar, a ricevere minacce di multe e squalifiche sono stati coloro che l’arcobaleno avrebbero invece voluto mostrarlo. Altro che le piccole e innocenti combine tipiche del pugilato!