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Sinner, l’antidoping e i privilegi del tennis

Difficilmente l'italiano sarà squalificato, anche se la Wada dovesse impugnare la sentenza dell'agenzia antidoping del mondo del tennis

In sintesi:
  • L'innocenza del tennista italiano nel caso di doping che lo vede coinvolto pare fuori discussione, ma certo il suo staff ha agito con leggerezza
  • Questo caso torna a far riflettere sul fatto che nel tennis, a differenza che in altri ambiti sportivi, la lotta alle pratiche proibite è sempre parsa piuttosto blanda, se non addirittura avversata
23 agosto 2024
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Il caso sportivo più chiacchierato della settimana è ovviamente quello che vede coinvolto in un caso di doping addirittura il tennista numero 1 al mondo, vale dire l’italiano Jannik Sinner, risultato positivo a due controlli effettuati la scorsa primavera, ma scagionato dalle massime istanze della racchetta per via dell’involontarietà e dell’inconsapevolezza con cui l’azzurro ha assunto la sostanza proibita. La decisione dell’Itia – l’agenzia che vigila sull’integrità nel mondo del tennis – ha fatto gridare allo scandalo un po’ tutti, nel Belpaese e all’estero, perché in altri casi relativi all’uso del clostebol gli atleti coinvolti sono stati puniti con pesanti squalifiche, mentre l’altoatesino se l’è cavata a buon mercato, vedendosi togliere solo i punti e i premi accumulati in occasione dell’ultimo torneo di Indian Wells.

La sostanza incriminata si trova all’interno di pomate cicatrizzanti largamente diffuse – e ottenibili senza alcuna ricetta medica – soprattutto in Italia, Paese in cui fra il 2019 e il 2023 si sono registrati ben 38 casi di doping determinati proprio dallo steroide anabolizzante in questione, che chimicamente è quasi identico al testosterone. Vero è che la quantità infinitesimale di prodotto bandito riscontrata in Sinner farebbe davvero propendere per la sua innocenza. Per fare un paragone, la quantità di clostebol misurata nelle sue urine è ben 500 volte inferiore a quella rilevata nei campioni della fondista norvegese Therese Johaug – anche lei numero 1 della propria disciplina – che nel recente passato venne infatti squalificata per due anni.

Del resto, lei la pomata del contendere se la spalmò direttamente sulle labbra, mentre il tennista azzurro è entrato in contatto con essa soltanto per interposta persona, cioè il suo fisioterapista, che l’aveva usata su di sé prima di effettuare a Sinner un massaggio senza l’utilizzo di guanti. Il ragazzo, dunque, pare davvero incolpevole, ma la stesso non si può dire per i suoi collaboratori, data la leggerezza – al limite della dabbenaggine – con cui hanno fatto uso di un articolo, il Trofodermin, finito già molte volte al centro di casi di doping anche clamorosi e che, soprattutto, reca sulla confezione un simbolo rosso grande come un 5 franchi che indica inequivocabilmente che si tratta di un prodotto contenenti sostanze dopanti, e dunque precluso a chi opera nell’ambito dello sport.

Per quanto poco grave se pensiamo alle conseguenze pratiche immediate – difficilmente infatti Sinner verrà squalificato anche in caso di sentenza impugnata dalla Wada, l’agenzia antidoping mondiale – l’operare dilettantesco dello staff medico dell’atleta italiano avrà invece importanti ripercussioni sulla concentrazione del campione, specie alla vigilia dell’Open statunitense, ultima prova stagionale dello Slam, ma soprattutto a livello mediatico. L’immagine del ragazzo buono, sano e pulito su cui Jannik ha costruito parte del suo successo ne uscirà infatti senza dubbio un po’ ammaccata, e ciò in parole povere si tradurrà in probabili cali delle entrate finanziarie derivanti dai contratti di sponsorizzazione, che probabilmente per qualche tempo subiranno, come minimo, una stagnazione.

L’Affaire Sinner ha fra l’altro riportato alla ribalta l’assai controverso rapporto fra la lotta al doping e il mondo del tennis, ambiente che per decenni – mentre negli altri sport già si era cominciato a combattere gli imbroglioni – ha semplicemente ignorato il problema e le infinite sollecitazioni a darsi una mossa che giungevano un po’ da tutte le parti. Oggi il mondo della racchetta si è – controvoglia – dovuto piegare al volere generale, e dunque anche in questo milieu esclusivo per Dna vengono fatti i controlli, ma con molte differenze e plurime scappatoie rispetto a ciò che avviene altrove. Basti pensare che in tutte le altre discipline i test mirati al rilevamento dell’Epo vengono effettuati mezz’ora prima delle gare, quando cioè si hanno più probabilità di far centro, mentre nel tennis i giocatori hanno il diritto a posticipare il prelievo fino a due ore dopo la fine delle partite, quando – specie nel caso di micro assunzioni – le tracce del reato si sono ormai dissolte.