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Samuel Schmid, il bratwurst e le teste di cuoio

Sono davvero enormi le differenze fra la Svizzera e i suoi Paesi limitrofi, specie se ci sono di mezzo autorità e importanti esponenti politici

16 maggio 2024
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È stata una meteo infame a fare da cornice, ieri a Tenero, all’apertura del cantiere del nuovo centro natatorio. Le piogge – ininterrotte – hanno inzuppato tutti i presenti e trasformato lo sterrato in paludose sabbie mobili, costringendo le numerose autorità intervenute a calzare stivali di gomma o – quantomeno – a risvoltare di un bel po’ l’orlo inferiore dei pantaloni. Nessuno, ad ogni modo, l’ha messa giù troppo dura: si trattava, in fondo, soltanto di inconvenienti del mestiere.

E così consiglieri di stato, consiglieri nazionali, medagliati olimpici, consiglieri agli Stati e direttori di Uffici federali hanno sopportato e superato le avversità senza fare una piega. Nessuno si è presentato con portaborse a reggergli l’ombrello o guardie del corpo a tracciare un confine fra loro e la gente comune, come avviene invece in altri Paesi dove protocollo e misure di sicurezza sono assai più rigidi: a volte a ragione, in altri casi solo per far sfoggio di privilegi inutili e molto costosi.

Ricordo una volta a Wengen, quasi vent’anni fa, dove mi trovavo per coprire il weekend di Coppa del mondo di sci. Ero in colonna, nel ristorante più vicino al traguardo, per ricevere i tre bürli con bratwurst che avrebbero sfamato me e un paio di colleghi stranieri che, nel frattempo, mi attendevano al tavolo curandomi il posto. In piedi dietro di me, come un cittadino qualunque, c’era il consigliere federale Samuel Schmid, il quale non solo fece pazientemente la fila come tutti, ma addirittura – vedendomi con entrambe le mani occupate – quando fummo davanti al bidone della senape posto dopo la cassa, provvide senza che nemmeno glielo domandassi a pigiare tre volte sul dispenser per tingere di giallo i miei sandwich.

Quando mi sedetti e spiegai a Gianni Decleva – storica voce di Radio Rai – che il signore così gentile con me era nientemeno che il presidente della Confederazione, lui naturalmente pensò che lo stessi prendendo per i fondelli, perché una cosa simile, in Italia, non sarebbe mai potuta accadere. Ma perché allora – mi chiese quando ormai stavo per convincerlo della mia sincerità – nessuno va a stringergli la mano o a chiedergli di farsi una foto insieme? Perché siamo in Svizzera, fu l’unica risposta che mi riuscì di fornirgli.

Gianni, allora, definitivamente persuaso del fatto che non mi stessi burlando di lui, mi disse che – fossimo stati in Italia – il capo dello Stato e i suoi cinquanta gorilla per pranzare avrebbe avuto a disposizione in esclusiva l’intero ristorante per tutto il tempo necessario. A quel punto fui io a dubitare delle sue parole, che mi parevano davvero esagerate, e toccò a lui cercare di convincermi a prender per buono quanto raccontava.

Pochi mesi più tardi, però, ebbi modo di rendermi conto di persona che il collega non aveva parlato per iperboli. A inizio giugno mi trovavo infatti al Mugello per il Motomondiale quando, il pomeriggio del sabato, al termine della sessione di qualifiche ufficiali, un manipolo di militari in assetto di guerra fece irruzione in sala stampa, dove in compagnia di almeno duecento colleghi provenienti da tutto il mondo stavo freneticamente completando la mia giornata di lavoro.

Le teste di cuoio ci intimarono di evacuare immediatamente il locale. Trasalimmo ovviamente e, credendo si trattasse di un allarme bomba, abbandonammo sui banchi tutta la nostra roba e, traducendo ai colleghi stranieri, ubbidimmo e sfollammo. Nessun ordigno, ad ogni modo, stava per esplodere: semplicemente, la ministra dello sport Giovanna Melandri – appena scesa dall’elicottero – voleva incontrare e conoscere il pilota della Honda che portava il suo stesso cognome, e così aveva pensato bene, accompagnata da uno stuolo di body guard, lacchè e galoppini, di squattare per quasi un’ora l’intera sala stampa, dove centinaia di giornalisti giunti fin lì da ogni angolo del pianeta stavano cercando di svolgere onestamente il proprio mestiere. Si dice che tutto il mondo è paese, ma non sempre corrisponde a verità.