Sportellate

Ma quanto saranno scomode queste panchine?

Sono giorni difficili non solo per il selezionatore rossocrociato Murat Yakin, ma pure per diversi altri allenatori di squadre nazionali

23 novembre 2023
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Benché invocata un po’ da tutti e potenzialmente perfino giustificata, la sostituzione dell’allenatore della Nazionale rossocrociata di calcio appare oggi assai improbabile, oltre che controproducente.

Dare in questo momento il benservito a Yakin, il cui mandato si è automaticamente rinnovato col raggiungimento della qualificazione agli Europei, equivarrebbe infatti fornire ai giocatori un doppio alibi: per le sciagurate prestazioni degli ultimi mesi – che in caso di avvicendamento verrebbero inevitabilmente imputate al solo Murat – e per l’eventuale fallimento alla fase finale del torneo continentale, che verrebbe ascritto alla fedina penale del nuovo allenatore, del quale Xhaka e compagni direbbero facilmente che ha avuto troppo poco tempo per inculcare il suo credo tattico a giocatori abituati, fino a poco prima, ai metodi di chi l’aveva preceduto al timone.

Per sollevare dall’incarico un tecnico, fra l’altro, bisognerebbe averne per le mani un altro capace di dare le necessarie garanzie, e fra i nomi circolati in queste ore non mi è parso di vederne. A parte ovviamente Joachim Löw, sulla cui capacità di condurre una selezione nessuno ha dubbi: è rimasto infatti alla guida della Germania la bellezza di tre lustri, e sul suo biglietto da visita c’è scritto campione del mondo.

Il tedesco ha però anche un paio di difetti: è caro come il fuoco e a livello di bon ton lascia alquanto a desiderare, è infatti famoso per il vizio, a favore di telecamera, di infilarsi le mani sotto le ascelle e nei calzoni – davanti e dietro – per poi portarsele alle narici e avidamente fiutarle come il peggiore dei tossici. Per tacere delle sue scorpacciate di caccole del naso, di cui YouTube offre una significativa carrellata: a livello di etichetta, insomma, ingaggiarlo sarebbe un grave autogol.

L’unica via percorribile per un eventuale licenziamento di Yakin, secondo me, sarebbe la soluzione interna, leggasi Pier Tami, che prima di diventare direttore delle squadre nazionali faceva (bene) proprio l’allenatore. In quel caso, i giocatori si ritroverebbero nella situazione di quegli allievi che, dopo aver bullizzato un docente, sperano che il suo posto venga preso da un giovane supplente da vessare ancor più pesantemente, ma scoprono entrando in classe che alla cattedra si è seduto nientemeno che il preside, col quale sarebbe impossibile – oltre che assai rischioso – attuare il loro diabolico piano.

A risultare scomoda, ad ogni modo, non è soltanto la panchina elvetica. A dare le dimissioni da Ct nelle ultime ore è stato infatti Jaroslav Silhavy, selezionatore della Repubblica Ceca, anch’essa appena qualificatasi a Euro 2024: colpa dell’eccessiva pressione intorno al ruolo, e delle polemiche scoppiate dopo che tre dei suoi giocatori hanno trascorso la vigilia della gara decisiva a far bisboccia in discoteca. E a paventare l’abbandono del proprio incarico, proprio ieri, è stato pure Lionel Scaloni, campione del mondo con l’Argentina un anno fa: dice che sta seriamente riflettendo sulla cosa.

Ma alcune panchine si stanno rivelando una patata bollente non solo per chi è intenzionato a lasciarle, ma pure per chi è destinato a sedervisi. Come ad esempio Carlo Ancelotti, promesso sposo della Seleçao a partire dalla prossima estate. La sua missione sarà la riconquista di un titolo iridato che manca ormai da un ventennio, ma il problema più immediato per i brasiliani è oggi la qualificazione stessa al Mondiale, torneo a cui, unici nella storia, non sono mai mancati.

L’impresa, però, presenta qualche insidia: i pentacampioni, nelle eliminatorie, sono infatti reduci da tre sconfitte consecutive e in classifica occupano soltanto il sesto posto, l’ultimo utile per staccare il biglietto per la fase finale. Il percorso è ancora lungo, ci mancherebbe – si sono giocate solo 6 gare delle 18 in calendario – e il Brasile può naturalmente salvare la baracca, ma è pure risaputo che ogni record, perfino il più longevo, è destinato prima o poi a cadere.