Russia 2018

Quando a urlare è il campo

A parole sono tutti (o quasi) bravi. Chi le usa per provocare, come i media serbi, che sfruttando anche un post a sua volta sul provocatorio di Xherdan Shaqiri

23 giugno 2018
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A parole sono tutti (o quasi) bravi. Chi le usa per provocare, come i media serbi, che sfruttando anche un post a sua volta sul provocatorio di Xherdan Shaqiri, hanno presentato la partita tra la nostra e la loro nazionale come una sorta di derby per i molti giocatori di origine slava e in particolare kosovara (Behrami, Xhaka e appunto Shaqiri) della selezione rossocrociata. Chi invece le usa per smorzare i toni, come fatto dallo stesso ct serbo Krastajic. O ancora chi le utilizza per motivare e motivarsi, come Petkovic e i giocatori elvetici, che nei giorni precedenti il match si sono sempre mostrati fiduciosi e sicuri.

Poi, però, si scende in campo e le parole contano relativamente. Diventano un fattore solo se si riesce a prenderle e a trasformarle in motivazione, in grinta, in voglia di rivalsa. Se quello che c’è nel cuore (che sia tutto rossocrociato, con un’aquila disegnata sopra o con chissà quali altre sfumature, poco importa) si fonde con la voglia di sudare e di sacrificarsi per i propri compagni, di lottare, insieme, sotto un’unica bandiera per un solo obiettivo. Sì, dal fischio iniziale a quello finale, a parlare è (quasi) solo il campo. E ieri, il terreno da gioco dell’Arena Baltika di Kaliningrad ha sussurrato, ha detto e infine ha urlato Svizzera.

Un verdetto tanto bello quanto pesante, quello scaturito dal match con la Serbia, che ci ha regalato una nazionale ancora più convincente che contro il Brasile. Già, perché se nel match d’esordio con Neymar e compagni la selezione di Petkovic aveva raccolto un punto frutto sì di una prova ordinata, ma poco più, tanto che (anche alla luce delle difficoltà dei verdeoro con la Costa Rica) la sensazione di aver perso una grande opportunità è rimasta nell’aria per qualche giorno, ieri sera la Nati ha dato prova di grande maturità, intelligenza tattica e carattere. Difficile e ammirevole, in una partita tesa non solo per il peso specifico nella classifica del gruppo E, mantenere i nervi saldi anche dopo essere andati sotto 1-0 in appena cinque minuti di gioco e dopo aver rischiato di venir travolti dall’aggressività e dalla fisicità di un avversario, quello balcanico, che ha puntato forte sui muscoli (e la testa) di un Aleksandar Mitrovic più che sul talento di un Milinkovic-Savic letteralmente eclissato dall’ottimo lavoro nella cerniera di centrocampo di Behrami e Xhaka.

Quest’ultimo ha poi suonato la carica a inizio ripresa scaraventando in porta un pallone che oltre alla gioia dei tifosi elvetici ha fatto esplodere il turbinio di emozioni nascoste sotto la maglia rossocrociata, con le sue origini albanesi che hanno orgogliosamente preso il volo, come l’aquila che ne è l’emblema. Corretto? Sì, perché checché se ne dica, la Svizzera del pallone di oggi è anche (soprattutto) questa e sono quelle stesse emozioni, manifestate pure da Shaqiri dopo aver realizzato il gol partita (su splendido assist del ticinese Mario Gavranovic, entrato ottimamente in partita) e sfogate in un pianto a fine match, a far volare la Svizzera. Ventitré risultati utili nelle ultime ventiquattro partite parlano da soli e soprattutto in questo caso significano ottavi di finale a un passo, visto che basterà un punto con la già eliminata Costa Rica (zero nel caso la Serbia non dovesse battere il Brasile). Di giocatori con origini costaricane, non dovremmo averne, ma siamo sicuri che questa squadra ha testa, gambe e cuore per continuare a emozionarsi ed emozionarci.