L’Asf, per evitare qualsiasi polemica coi serbi, impedisce di parlare ai due protagonisti della sfida di quattro anni fa
Il verrou, famoso catenaccio svizzero dei primi anni del secondo dopoguerra, ha fatto il suo ritorno. Sia sul campo, dato che la nazionale ha il suo maggior pregio proprio nell’organizzazione difensiva, sia dietro le quinte, dove è stata imposta la massima prudenza in relazione alle dichiarazioni che saranno rilasciate negli ultimi giorni di avvicinamento al cruciale match di venerdì contro la Serbia. Di certo, prima della prossima partita, non si esprimeranno né Granit Xhaka né Xherdan Shaqiri, che nella sfida ai serbi di quattro anni fa a Kaliningrad furono sia i cannonieri sia gli autori del famoso gesto dell’aquila che scatenò polemiche a non finire. Il Dipartimento della comunicazione dell’Asf ha dunque deciso che a parlare, insieme al selezionatore Murat Yakin, sarà Djibril Sow (mercoledì), mentre giovedì – nella conferenza stampa pre-partita – toccherà a Yann Sommer. Inoltre è stato comunicato che Shaqiri e Xhaka non si recheranno nemmeno nella zona mista al termine della partita di venerdì sera. Poco importa se la Fifa prenderà nei confronti dell’Asf provvedimenti disciplinari (leggasi multe), visto che ciò è contrario ai regolamenti: i dirigenti si sono detti prontissimi a sborsare il dovuto.
«Vigliamo parlare soltanto di calcio», ripete da giorni Pier Tami, direttore delle squadre nazionali. E precisa che Asf e Federazione serba si sono incontrate la scorsa primavera per favorire la distensione alla vigilia di questa gara fondamentale. «Le implicazioni politiche che potrebbero insorgere attorno a questo incontro non ci interessano», ha proseguito il ticinese. «Per noi si tratta soltanto di sport». Pierluigi Tami e la Asf, del resto, non potrebbero esprimersi altrimenti: il rischio, in caso contrario, sarebbe quello di riattizzare un fuoco mai del tutto spento. Xhaka e Shaqiri, infatti, il 22 giugno 2018 non hanno soltanto regalato alla Svizzera un successo fondamentale per l’accesso agli ottavi di finale. I loro due splendidi gol, infatti, erano serviti pure a umiliare gli avversari ricordando ai serbi quali fossero le radici etniche dei due goleador. Mimando durante la celebrazione delle reti l’aquila albanese, evidenziavano la loro origine kosovara davanti agli occhi di chi non ha mai riconosciuto – e probabilmente mai lo farà – l’indipendenza di Pristina da Belgrado. Un passo falso che, oltretutto, mise anche in moto la macchina delle sanzioni della Fifa sia nei confronti dell’Asf sia contro alcuni giocatori (oltre a Xhaka e Shaqiri anche Lichsteiner si era unito a quelle celebrazioni molto chiacchierate).
Mesi dopo, Granit Xhaka ammise che quella serata di Kaliningrad del 2018 l’aveva davvero svuotato. «Quel match ci costò moltissime forze ed energie», aveva riconosciuto. Per lui come per Shaqiri, la Coppa del mondo 2018 si era chiusa in pratica dopo la sfida ai serbi. Vittime nei giorni seguenti di insulti ripetuti sui social, in effetti entrambi giocarono molto male sia la terza partita di poule contro il Costarica, terminata 2-2 a Nijni Novgorod, sia nell’incontro degli ottavi di finale giocato e perso 1-0 contro la Svezia a San Pietroburgo. «Ora ho 30 anni e sono diventato una persona più calma», afferma Xhaka. E certo questa saggezza giunta con l’età l’aiuterà ad approcciare nel migliore dei modi la gara contro i serbi di venerdì. Ma, altrettanto saggiamente, sa di certo che il silenzio stampa deciso dall’Asf nei confronti suoi e di Xherdan Shaqiri non li preserverà dalle provocazioni che subiranno dagli avversari. Una delle quali è già stata piazzata: la divulgazione della foto di una bandiera serba comprendente nei confini nazionali pure il Kosovo, in bella mostra nello spogliatoio occupato da Mitrovic e compagni. Un antipasto che, con ogni probabilità, annuncia il peggio.