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Niederreiter, la pasta del capitano. ‘Dura lasciare Josi’

El Niño parla di Nhl e Nazionale in un gruppo in cui (per ora) è il solo ad aver vinto gli storici argenti nel 2013 e nel 2018. ‘Porto fortuna? Non lo so’

Con la C stampata sul petto: ‘A me piace giocare in Nazionale. E mi diverto’
(Keystone)
12 maggio 2023
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È una specie di talismano, Nino Niederreiter. In questa Svizzera che freme in attesa di sapere che ne sarà di Nico Hischier, Jonas Siegenthaler, Akira Schmid e pure Kevin Fiala, la vera star è Nino Niederreiter, trentenne ala dei Winnipeg Jets che in questo gruppo è l’unico ad aver fatto parte delle spedizioni di Stoccolma 2013 e Copenaghen 2018, che fruttarono alla Nazionale due storiche medaglie d’argento. «Non so se sono io a portare fortuna» dice l’attaccante di Coira, che si appresta a disputare il suo settimo campionato del mondo con la maglia rossocrociata, con la C di capitano stampata sul petto. «Quando vesto questa maglia lo faccio sempre con passione – racconta El Niño –. E mi fa anche molto piacere conoscere nuovi giocatori, perché ogni anno è diverso, e l’anno prossimo questo gruppo avrà ancora un altro volto, e oltre che una cosa interessante a me piace molto».

E quelle due storiche medaglie in Scandinavia?

Sono due momenti che non dimenticherò mai. Sono ricordi indelebili, come la prima partecipazione ai mondiali, nel 2010, a Mannheim. Fu davvero un peccato perdere dai tedeschi, ma tutte le altre partite le ho vissute con grande piacere, e ho potuto imparare qualcosa. I Campionati del mondo sono davvero qualcosa di speciale, e con due medaglie al collo lo sono ancor di più.

Quando hai capito che avresti messo piede su un volo per Riga?

È chiaro che quando stai giocando i playoff nella National Hockey League vorresti andare avanti il più possibile, perché il tuo obiettivo è vincere la Coppa Stanley. Tuttavia, appena sei fuori dai giochi, il primo pensiero va sempre alla Nazionale. Perché giocare per la Svizzera è una bella cosa, ed è anche divertente.

Sono passate più di due settimane da quando sei stato eliminato dai playoff dai Vegas Golden Knights (4-1): prima di raggiungere la Nazionale avevi bisogno di qualche giorno di riposo?

È proprio così. Da quando sono stato trasferito dai Nashville a Winnipeg (a fine febbraio, ndr) tutto è andato così in fretta… Avevo bisogno di staccare, di svuotare un po’ la testa. Oltretutto mi è servito per elaborare la sconfitta, per ritrovare la gioia di giocare a hockey. E dopo aver avuto bisogno di un paio di giorni per smaltire il jet lag, sono davvero felice di poter essere qui a Riga con questa maglia addosso.

A proposito del ‘trade’ tra Predators e Jets: è stata dura da accettare?

Sì, è stata dura sul serio. È stato un peccato, perché da anni io e Josi siamo amici, e a Nashville abbiamo passato tanti bei momenti assieme: era davvero speciale essere in squadra con lui. L’amicizia che mi lega a Roman e il fatto che i Preds siano davvero forti ha reso molto difficile, per me, accettare di partire. Anche se, d’altra parte, gioco pur sempre ancora in Nhl.

Dopo aver lasciato la Carolina, ti sei pentito di aver accettato quel contratto nel Tennessee, durante l’estate del 2022?

No, per nulla! Grazie a Nashville, ad esempio, ho avuto la possibilità di giocare quella partita sul ghiaccio di Berna (il 3 ottobre scorso, ndr), ed era la prima volta che i miei nonni potevano assistere dal vivo a una mia partita con addosso una maglia della Nhl: se non avessi firmato per i Predators, non sarebbe mai successo. Io credo che se alcuni dei nostri top player non si fossero infortunati, secondo me le cose sarebbero andate diversamente. Perché, sulla carta, credo che Nashville era piazzato molto in alto. Poi è vero che un conto sono i pronostici, un’altro la realtà.

In un’intervista a proposito della tua permanenza a Nashville, avevi detto che la vita là è molto cara. A Winnipeg, invece?

Diciamo che non posso giudicare, perché non sono da molto tempo in Manitoba. Senza contare, poi, che gran parte del tempo siamo in trasferta, e quando invece sono a casa mia passo il tempo a riposare. Però posso dire che Winnipeg è una città di hockey, è davvero una grossa differenza rispetto a Nashville: c’è solo e soltanto l’hockey, e i tifosi lo vivono con grande passione.

Negli ultimi giorni sei stato in contatto con Josi?

Ci siamo tenuti in contatto, sì, anche perché volevo sapere come sta (dice, riferendosi alla commozione cerebrale che ha costretto il difensore bernese a saltare il Mondiale, ndr). So per certo che sarebbe venuto, perché lui voleva esserci, ma le sue condizioni non gliel’hanno permesso. Ma la salute viene prima di tutto, anche perché di cervello ne abbiamo uno solo, e dopo una commozione cerebrale è molto importante riprendersi bene.

Questa squadra, fin dove potrà spingersi a questo Mondiale?

Buona domanda. Senz’altro abbiamo delle possibilità, ma non dobbiamo guardare troppo in avanti. Domani si comincia, prendiamo le cose una alla volta: vogliamo andare il più lontano possibile, ma facciamo un passo dopo l’altro, poi si vedrà.