Dopo tre anni al di là dell’Atlantico, fra qualche mese il centro che ha imparato a giocare all’ala tornerà sui suoi passi.‘Ma l’obiettivo resta la Nhl’.
Bisogna saper dar prova di pazienza, a volte. Lo sa bene anche Lorenzo Canonica, a dispetto dei suoi appena diciannove anni d’età. Lui che l’altroieri sera, alle 22, aveva pubblicamente annunciato la decisione di tornare a vestire la maglia del Lugano dalla prossima stagione (e per due anni, almeno), pur se in verità la trattativa tra il centro ticinese che gioca nelle ‘minors’ canadesi e la società che l’ha visto crescere s’era concretizzata da qualche tempo. «Sì, la decisione era stata presa da un po’, e l’attesa dell’annuncio è stata lunga – dice, dal Québec, l’attaccante in forza ai Cataractes di Shawinigan –. Adesso sono concentrato su ciò che succede qui, ma non vedo l’ora che quel momento arrivi».
Viste le tue ambizioni, la domanda che tutti si fanno è: come mai questa scelta di tornare in Svizzera adesso, dopo soli tre anni in Canada? Pur se è chiaro che rientrando a Lugano, dove avevi debuttato in National League nel novembre 2019, a soli 16 anni, sai bene cosa ti aspetta.
Quando sono arrivato qui, indubbiamente puntavo ad arrivare in Nhl. Ma anche adesso che torno in Europa il mio orizzonte non cambia: gli obiettivi devono rimanere alti, e ritengo che per me tornare a Lugano sia l’occasione migliore per raggiungere quel traguardo che mi sono posto. Conosco molto bene Luca Gianinazzi, e credo che ricominciare a lavorare con lui in questo momento sia per me la cosa migliore.
Quand’è arrivata la svolta?
In verità sono sempre rimasto in contatto con il Lugano. Sia con Luca (Gianinazzi, ndr) sia con Hnat Domenichelli, che è venuto fin qui per incontrarmi. A quel punto ho fatto la mia scelta.
Questa è la tua terza stagione nella Qmjhl: per prestigioso che sia, resta pur sempre un campionato giovanile, mentre a un certo punto uno dovrebbe cominciare a pensare a cosa farà da grande...
Appunto. Negli ultimi due, tre anni ho avuto modo di parlare con diverse squadre della National Hockey League, ma la situazione non è mai davvero evoluta. Ora vedremo cosa il futuro riserverà.
C’è stato il ‘rookie camp’ con i Los Angeles Kings, nel luglio di due anni fa, e la prospettiva più logica era quella di venir scelto dalla franchigia californiana al Draft. Invece niente, almeno per ora: come hai vissuto quel momento?
Sono sincero, più che aspettarmi di essere draftato io ci speravo. Non è successo, pazienza: non mi sono abbattuto e ho continuato a lavorare. C’è ancora un anno di tempo in ottica Draft, ma se non dovesse arrivare una chiamata ci sarebbe poi sempre tempo in futuro, con i vari contratti, per arrivare a quell’opportunità. La porta non è ancora chiusa.
Del resto, gli esempi di occasioni tardive, anche nel nostro hockey, sono parecchi.
Infatti. Pensiamo soltanto a Pius Suter, che era tornato in Svizzera addirittura per cinque stagioni, prima di riuscire a fare il salto in Nhl.
Poi, per un ruolo come il tuo, quello di centro, in cui l’esperienza conta parecchio, la maturazione può essere anche più tardiva.
Questo è vero. Credo sia proprio grazie a una delle mie caratteristiche, cioè l’intelligenza di gioco, che il ruolo di centro mi si addica. Dico questo anche se quest’anno il primo quarto di stagione l’ho giocato all’ala, e il risultato è che così facendo mi sono abituato a occupare entrambe le posizioni. Ciò mi consentirà di mettermi a disposizione per ogni ruolo in cui ci sarà spazio: per intenderci, io naturalmente punterò a fare il centro, ma se avranno bisogno di un’ala, andrò volentieri.
Eliteprospects, bibbia svedese per chi mastica hockey, tra le varie cose dice di te che sei ‘un giocatore che scruta continuamente il ghiaccio e sembra sempre consapevole del suo posizionamento in pista, tanto in attacco, quanto in difesa’. Gran belle parole...
Molto belle (ride, ndr). Io credo che negli scorsi anni mi sono concentrato un po’ troppo sulla fase difensiva, ed è magari anche per questo che nella passata stagione offensivamente non è andata come avrei voluto. Adesso, invece, pur non dimenticando il lavoro in retrovia, che credo ormai di aver fatto mio, mi sto concentrando sugli aspetti offensivi.
Da questo punto di vista, giocare all’ala non può che averti giovato.
Senz’altro, perché in quel ruolo hai meno responsabilità difensive, quindi ti puoi dedicare maggiormente ad attaccare. Tuttavia, io in quel ruolo non mi sono snaturato, piuttosto direi di essermi adattato: non ho certo dimenticato la mia attitudine al lavoro difensivo.
Quindi non si è trattato di un tentativo di riconversione?
Ne avevo discusso con il coach Daniel Renaud e il general manager dei Cataractes, Martin Mondou: entrambi mi hanno fatto capire che per la mia crescita, pensando all’entrata nel mondo professionistico, sarebbe stato un bene provare anche all’ala. Infatti, nel lineup di centri ce ne sono soltanto quattro, mentre invece le ali sono il doppio...
Se il Lugano è venuto a cercarti fino in Québec, però, v’è da credere che non sarà per piazzarti all’ala... Avete già discusso di quale sarà il tuo ruolo?
No, non nei dettagli. In ogni caso, con Luca, che conosco ormai da quando ero in età Novizi, ho già potuto parlarne, e lui la pensa esattamente come me: cioè mi vede bene nel mio ruolo classico, ma ci sono alcune posizioni all’ala in cui potrei ritagliarmi il mio spazio.
Nell’attesa, un tuo spazio te lo sei ritagliato al centro del ‘Team of the week’, ovvero la squadra tipo della settimana – di quest’ultima settimana – della Québec major junior hockey league: simili ‘nomination’ aiutano più sul piano della visibilità oppure dell’orgoglio?
Direi che servono da stimolo (ride, ndr), eccome se servono. Ma già il solo fatto di sapere di giocare con, e contro, ragazzi tanto forti è per me motivo di fierezza. Ciò ti spinge non solo a dare sempre di più, ma pure a cercare di ritrovare quelle stesse sensazioni nelle prossime partite.
A proposito di ragazzi: tornando a Lugano, riesci a quantificare l’entità di quel salto, dalle cosiddette ‘minors’ alla National League?
Mi aspetto che ci sia una bella differenza sul piano fisico. Ma direi pure a livello di velocità. È vero che anche qui la velocità è molto alta, ma in Svizzera si gioca su piste più grandi, quindi gli spazi sono maggiori. Credo che saranno quelle le cose a cui mi dovrò adattare maggiormente.