Il direttore sportivo Paolo Duca sul nuovo straniero dell’Ambrì Piotta. ‘Quest’anno in Svezia è stato lui il giocatore più utilizzato’
Helsinki – Con le cuffie al collo, quelle della diretta tivù, e il telefono in mano. Per Paolo Duca, quarantenne direttore sportivo dell’Ambrì, il Mondiale in Finlandia non è certo una vacanza. Anche se l’ultimo colpo in casa biancoblù, il difensore finlandese del Färjestad Jesse Virtanen, non è stato perfezionato nelle ultime ore. «Con lui eravamo in contatto già a inizio stagione – spiega il ‘diesse’ biancoblù, riferendosi al terzo straniero sotto contratto, unitamente al portiere finlandese Juvonen e all’attaccante ceco Chlapik –. Non è stata una trattativa difficile. Noi gli abbiamo esposto la nostra situazione e lui ci ha parlato della sua, spiegandoci di voler fare un’esperienza in un campionato nuovo. Poi abbiamo finalizzato l’accordo prima dell’inizio dei playoff in Svezia».
Dove Virtanen ha avuto modo d’illustrarsi non soltanto per le sue qualità, ma anche per i suoi polmoni. «Sì, Jesse è un difensore completo, che ha già una certa esperienza ma che non è ancora troppo in là con gli anni e che può stare sul ghiaccio a lungo: tanto che quest’anno (con il Färjestad, ndr) è stato il giocatore più impiegato nella Swedish Hockey League. E spero che ad Ambrì oltre a stabilizzare la difesa possa darci manforte in tutte le situazioni di gioco».
Virtanen in Leventina ha firmato per una sola stagione senza opzioni: «No, è vero, nell’accordo non c’è un’opzione. Diciamo che quella era una soluzione che andava bene sia a noi, sia a lui».
L’annuncio dell’ingaggio del finlandese, tra l’altro, martedì è arrivato solo qualche ora dopo l’ufficializzazione della seconda partecipazione dell’Ambrì alla Spengler. «In verità (sorride, ndr) è il terzo invito consecutivo che riceviamo dagli organizzatori, e dopo due cancellazioni di fila speriamo che stavolta vada tutto per il verso giusto. È un torneo che a noi piace tanto: già alla prima partecipazione vi abbiamo preso parte con grande determinazione, con il desiderio di far vedere a tutto il mondo dell’hockey, che si ferma in quel momento, chi è l’Ambrì. È un evento eccezionale in cui regna un ambiente particolare, e aggiungo pure che quando si tratta con un giocatore, il fatto di essere tra le squadre che partecipano alla Spengler è un argomento di discussione: difficilmente decisivo, bisogna dirlo, ma può aiutare. Tanto da interessare tutti i giocatori con cui finora ho parlato».
Ciò che è chiaro, è che l’Ambrì a Davos non ci andrà soltanto per vivere la magia di un torneo comunque unico e irripetibile. «No, è chiaro, il sogno di vincerla c’è. Andiamo lì per giocarcela, fino in fondo. Specialmente in tornei così corti, se arrivi in ottima forma, con la giusta chimica e l’ambiente attorno alla squadra che s’era formato alla prima partecipazione, sicuramente tutto è possibile. Infatti, non dimentichiamoci che nel 2019 siamo usciti in semifinale all’overtime».
A proposito di sogni: quello di André Heim di arrivare fino al Mondiale s’è spento quasi all’ultimo... «Di certo non era utopia vederlo giocare qui in Finlandia. Perché ha avuto un’ottima stagione e i feedback che ha ricevuto dopo ciascuna settimana del raduno premondiale sono sempre stati molto buoni. È un ragazzo che ha vissuto una bella evoluzione, e non sono per nulla stupito che sia arrivato quasi fino in fondo. Manca ancora qualcosa, deve continuare a lavorare ancora su tutti gli aspetti del suo gioco, ma il potenziale per arrivare una volta anche lui a giocarsi un torneo di livello internazionale ce l’ha. E spero che sappia impiegare in maniera positiva la delusione per essere stato uno degli ultimi giocatori scartati per prepararsi ancor più duramente, così da riuscire a fare quel passo nella prossima stagione».