La sconfitta di Davos insegna: Luca Cereda chiede ai suoi uomini maggiore ‘fame’ davanti allo slot. Bianchi: ‘Poco efficaci lì domenica’
Sbagliando si impara. Non a caso si dice che non ci sia miglior lezione di un insuccesso; basta appunto capire la lezione e farne tesoro. Ed è proprio questo il proposito dell’Ambrì Piotta, che all’indomani della battuta d’arresto sul ghiaccio di Davos si è messo al lavoro per preparare la sfida col Bienne soffermandosi in particolare proprio su quelli che domenica pomeriggio nei Grigioni si erano rivelati i punti deboli dell’impianto biancoblù. E, più precisamente, l’efficacia davanti alle due porte. Talloni d’Achille che del resto Cereda aveva subito evidenziato nell’analisi a caldo del post-partita, e sui quali aveva ribadito la necessità di tornare a lavorare. Detto e fatto, con una seduta, quella del ‘day after’, quasi per intero su metà pista e con parecchio tempo consacrato ai due contro due e quattro contro quattro. «Abbiamo lavorato con intensità sulle cose che non sono funzionate a Davos per preparare nel migliore dei modi la partita col Bienne – sottolinea a fine seduta Elias Bianchi –. Penso ad esempio allo slot, dove a Davos il nostro gioco non è stato sufficientemente efficace. Beninteso, non penso che sia quella la ragione unica della sconfitta di domenica, ma sicuramente ha avuto il suo peso. Non a caso è da quella porzione di ghiaccio che i nostri avversari hanno trovato tre gol. Ed è sempre lì, sul fronte opposto, che noi non siamo invece riusciti a segnarne».
Non saranno arrivate da quelle porzioni di ghiaccio, ma a Davos, comunque, l’Ambrì di reti ne ha segnate tre, con Regin, Bürgler e Isacco Dotti: dopo due partite chiuse con lo zero alla voce gol segnati, finalmente l’Ambrì è tornato a colpire. «Sì, se vogliamo vederla in chiave positiva, segnare tre reti non è male. Poi, va da sé, ogni partita ha la sua storia: a Davos abbiamo segnato anche con un pizzico di fortuna, la stessa che, invece, in altre partite ci era mancata: se guardiamo alla mole di gioco proposto, pure in quelle partite avremmo dovuto raccogliere di più».
Dopo le vittorie contro Zurigo, Friborgo e Langnau sono arrivate le sconfitte contro Zugo, Ajoie, Rapperswil e Davos: quattro battute d’arresto diverse nella loro storia e nel loro sviluppo. «Contro lo Zugo, al di là di tutto, avevamo disputato una buona partita. Con l’Ajoie, invece, determinante è stato il primo tempo, in cui avevamo giocato male: sebbene non siamo riusciti a fare gol, nel secondo e nel terzo tempo ci eravamo ben comportati. E pure contro il Rapperswil avevamo disputato una partita sostanzialmente buona, pur non riuscendo a segnare. A Davos, invece, nel periodo centrale e in quello conclusivo non siamo stati capaci di mantenere quel livello di competitività che dovremmo avere». Quello che aveva appunto permesso ai biancoblù di arrivare alla prima pausa in vantaggio di due reti contro la formazione di Wohlwend. Prima di subirne il ritorno. Sul cosa sia cambiato dopo la prima pausa, il numero 20 dei biancoblù fornisce la sua chiave di lettura: «Il Davos è sicuramente cresciuto: al ritorno in pista è partito subito forte, e noi non siamo stati in grado di contrastare la forza dei giocatori gialloblù». Sul peso che le quattro sconfitte addizionate dai biancoblù possano avere dal profilo mentale, il 32enne attaccante dei leventinesi taglia corto: «Il morale? È buono».
Su come scendere in pista contro il Bienne, il 34enne attaccante biancoblù ha le idee chiare: «Più che a pensare a cosa non dobbiamo fare, dobbiamo concentrarci su cosa dobbiamo fare: essere molto più convinti e determinati nella porzione di ghiaccio compresa tra le due porte e i tre metri antistanti. E anche curare maggiormente la gestione del disco in uscita dal nostro settore difensivo e in zona neutrale. Tutte cose a cui bene o male dobbiamo prestare attenzione a ogni partita. Dobbiamo concentrarci sul nostro tipo di gioco, cercando di portarlo in pista con la giusta intensità; poi, va da sé, in partita sul ghiaccio c’è sempre un avversario con cui devi fare i conti».
Anche coach Luca Cereda torna sulla serie di sconfitte, soffermandosi sul tenore della prestazione dei suoi uomini: «Le sconfitte contro Zugo e Rapperswil sono figlie di episodi anche un po’ casuali; sono cose che fanno parte del gioco e dunque si possono accettare: la prestazione, al di là di tutto, era buona. A rigiocarle altre dieci volte, quelle partite, in sette-otto casi ne usciremmo con tutta probabilità vincenti noi. Quest’ultima invece no, non posso accettarla. L’abbiamo persa meritatamente, per gioco creato: domenica non eravamo lontani dal Davos che, però, ha dimostrato di aver più ‘fame’ di noi sotto le due porte, soprattutto da metà partita in poi. È una cosa che non possiamo accettare da noi stessi: quella di avere più ‘fame’ dell’avversario dev’essere una delle qualità che caratterizzano maggiormente la nostra squadra, non il contrario. Ragion per cui ci siamo rimboccati le maniche per lavorare su questo aspetto; e continueremo a farlo finché le cose non si invertiranno. Da quanto visto in allenamento, mi sembra che il messaggio sia passato, ma la prova del nove l’avremo solo al momento di andare in pista per sfidare il Bienne».
Un Bienne che dal profilo tattico i biancoblù – sempre privi dell’infortunato Dal Pian e dell’ammalato Hächler – potrebbero affrontare con diverse novità: «Oggi non abbiamo provato le linee, ma non escludo che qualche piccolo cambiamento ci possa essere. Ad ogni buon conto il cambiamento più grande non lo devo fare io, ma la squadra tutt’assieme».