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Le aree grigie del regolamento nelle quali molti sguazzano

Tra accuse e controaccuse sale la tensione a un mese dall'ultima gara del Mondiale. Ad Austin brilla la Ferrari, risale la Red Bull, stagna la McLaren

21 ottobre 2024
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C’era una volta l’ala anteriore flessibile della McLaren e della Mercedes. Sono illegali, tuonavano dalla Red Bull, e vanno messe al bando. Sembra un ricordo lontano, ma accadeva appena prima della scorsa estate. Da lì ci sono state altre presunte irregolarità, accuse incrociate e soffiate fatte ai controllori della Federazione Internazionale dell’Automobilismo, che da par loro vigilano poco. Oppure, se lo fanno, hanno paura di intervenire e falsare un campionato lunghissimo, ormai in dirittura d’arrivo. È dal Gran Premio del Belgio che la McLaren trae vantaggio da un altro trucchetto, stavolta all’ala posteriore, che resterebbe aperta a Drs chiuso, il dispositivo che dovrebbe scattare solo in alcuni tratti rettilinei della pista. Ancora la Red Bull accusa, protesta e sbuffa, perché la Fia non fa nulla. La Federazione ammette che non tutto ciò che fa la McLaren è regolare, ma nicchia sulle penalità in classifica, chiede per cortesia di non farlo più. Infine, arriva la corsa texana di Austin e sotto accusa ci finisce proprio la Red Bull, che avrebbe per un po’, fino a quando non è stata scoperta, cambiato l’altezza da terra delle monoposto tra le qualifiche ufficiali e la gara, quando si è in regime di parco chiuso e l’assetto delle macchine non può essere toccato.

Insomma, sembra di essere tornati agli anni Novanta, quando la McLaren montava di nascosto due pedali dei freni e la Ferrari proteggeva con il segreto industriale persino la miscela gassosa con cui gonfiava gli pneumatici. La verità è che la tensione continua a superarsi, a rovistare nel regolamento tecnico per trovare delle aree grigie, dove ciò che non è esplicitamente vietato diventa consentito, è nella natura stessa della Formula 1, di uno sport dove un misero decimo di secondo fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Figurarsi ora che, con le monoposto che hanno ormai raggiunto la maturità tecnica, nelle sessioni di qualifiche ufficiali ci si ritrova spesso con quattro o cinque piloti divisi da qualche centesimo.

Austin è il preludio nordamericano dell’ultima fase di questo lunghissimo Mondiale. A un mese dall’ultima gara, quasi tutte le scuderie hanno portato vasti aggiornamenti alle proprie monoposto. Il Circuit of the Americas non è un tracciato cittadino con svolte a gomito tutte uguali, ma una pista vera, con una pletora di curve e di saliscendi. Ci si aspettava che la Red Bull risalisse la china e così è stato. Max Verstappen ha vinto la sesta Sprint Race consecutiva e alla domenica si è accontentato del posto meno nobile sul podio. La sua monoposto ora è equilibrata, il retrotreno segue senza capricci l’impulso dato sullo sterzo dal pilota. È guidabile, anche se non è più l’auto più veloce in pista, e permette a Verstappen di ingaggiare una fiera battaglia con il suo unico oppositore stagionale, Lando Norris. Il quarto titolo è ormai in bacheca, a meno di sviluppi drammatici e di zeri in classifica nelle prossime gare.

Gli aggiornamenti dalla fabbrica non portano buoni consigli e miglioramenti al tempo sul giro a tutti. In Mercedes non riescono a trovare il bandolo della matassa di queste auto a effetto suolo e non è un segreto che l’attività di lobbying dei suoi dirigenti – l’altro modo di come si può influenzare una corsa fuori dalla pista – sia diventata particolarmente intensa per ottenere dalla Federazione un cambio, che renda il regolamento più favorevole alle Frecce d’argento. Ad Austin, il weekend di Lewis Hamilton è pressoché disastroso: fuori dai primi quindici in qualifica, intrappolato nella ghiaia dopo tre giri nel Gran Premio. Riesce a cavare qualcosa di meglio dal fine settimana il suo compagno George Russell, che si mostra davanti alle telecamere affranto e affaticato.

Sorpresa delle sorprese: per la prima volta quest’anno, non funzionano gli aggiornamenti in casa McLaren. Le loro monoposto sono ancora le più veloci in pista, ma alla scuderia papaya manca sempre qualcosa. È vero: il weekend è stato funestato dagli errori di guida dei due piloti, Norris e Oscar Piastri. Però con le temperature bollenti dell’asfalto texano, le McLaren non erano poi così gentili sulle coperture Pirelli. E sulla gara lunga è uno scotto che si finisce per pagare.

Chi è gentile sulle gomme e riceve grandi favori dalle alte temperature è la Ferrari. In Texas arriva una doppietta difficile da predire, anche solo pensando che la scuderia di Maranello è stata l’unica a presentarsi senza pezzi nuovi. Le correzioni aerodinamiche fatte a Monza continuano a dare i loro frutti. Dal Gran Premio d’Italia, la Ferrari si è messa sul passo dei migliori e, quando le condizioni della gara e della pista lo permettono, Charles Leclerc è lì, pronto a piazzare la zampata. Manca ancora qualcosa in qualifica, dove occorre mettere tanta energia sulle gomme in poco tempo, e bisognerà aspettare il 2025 per risolvere un problema legato alla meccanica della monoposto. Con la maggior parte delle scuderie impegnate sui progetti 2026, l’anno prossimo si correrà su piattaforme che somiglieranno molto a quelle attuali. E non è un cattivo viatico per la Ferrari in ottica Mondiale.

Il weekend delle Sauber è stato, nemmeno a dirlo, da dimenticare. Il nuovo Ceo Mattia Binotto, prima di arrivare ad Austin, ci ha messo il carico: il primo propulsore sviluppato da Audi per la Formula 1 non è ancora arrivato in pista, ma ha già deluso le aspettative degli ingegneri. Le monoposto sviluppate a Inwil non saranno competitive prima del 2030. Auguri. Le delusioni continuano sul fronte piloti: è quasi fatta per Gabriel Bortoleto, che prenderà l’anno prossimo il posto di Valtteri Bottas, per ragioni che forse hanno poco a che fare con la pista. Nel mentre, Franco Colapinto, che si era proposto alla Sauber, fa i numeri sulla Williams e viene appiedato. Anche questa è la Formula 1.

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