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Azzurro tenebra, cinquant’anni dopo

Spalletti, consapevole del fallimento totale, ha chiesto e ottenuto una seconda chance per provare a portare l’Italia al Mondiale. Ma siamo alle macerie

Più brutta la giacca, il gioco o i risultati?
(Keystone)

Azzurro tenebra. Secondo atto. Come in una performance estrema di teatro sperimentale, riprende, cinquant’anni e sei giorni dopo – stesso fallimento, stesso palco, la Germania – la tragedia sportiva che ispirò il celebre libro di Giovanni Arpino, precursore del binomio calcio-letteratura, poi sdoganato e legittimato con il nuovo millennio.

“Azzurro tenebra” era un racconto romanzato (“ma nemmeno troppo”, disse poi Dino Zoff) della disfatta Mondiale del 1974, dove l’Italia, tra le favorite della vigilia, venne eliminata al primo turno da Polonia e Argentina. Saranno le immagini in bianco e nero e le facce da operaio dei giocatori, sarà che c’era uno come Arpino a mettere insieme i cocci di quello schianto, restituendo il senso di tutto con le parole, ma c’era un’epica dietro a quel tonfo che oggi non c’è più.


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L’inutile gol di capello in Polonia-Italia 2-1, ai Mondiali del 1974

‘Usciti meritatamente’

L’Italia di Spalletti, uscita - per sua stessa ammissione “meritatamente” (e non si vede come un qualsiasi essere vagamente senziente possa pensarla diversamente) - per mano della Svizzera, non aveva idee, non aveva talento, non aveva gamba e, a dirla tutta, non aveva nemmeno voglia.

L’immagine di Scamacca, ciondolante per il campo come se stesse facendo un favore alla nazione, è il riassunto plastico di un fallimento persino più grande di quello del 1974, perché quello almeno era un Mondiale, per di più a 16 squadre: già arrivarci era un risultato.

In un Europeo a 24, con 16 qualificate alla fase a eliminazione diretta (l’Italia come sedicesima, quarta meglio terza sulle quattro che passavano il turno, con gol all’ultimo secondo) se te ne vai presto, prova almeno a laciare un buon ricordo. Invece gli azzurri sono stati quasi bullizzati dalla Svizzera, con il centrocampo rossocrociato che palleggiava, imbucava, aggrediva o rallentava decidendo sempre lui cosa fare e quando, come in quelle coppie dove uno decide se mare o montagna, pizza o sushi, e l’altro fa sì con la testa.


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L’Italia lascia il campo dopo la batosta

Spalletti queste cose le ha viste. Subito dopo la sconfitta si è presentato ai microfoni per dire essenzialmente due cose: che non ci pensava neanche ad andarsene e che la rosa a disposizione non era all’altezza del blasone dell’Italia. Lucido e a suo agio davanti ai giornalisti, molto più di quanto non lo sia stato nel fare le formazioni, Spalletti ha solo detto quel che abbiamo visto tutti, e cioè – per citare Gino Bartali, toscano come lui – “l’è stato tutto sbagliato”, anche se non si poteva più rifare. L’Europeo è andato e con lui anche un altro pezzo di granitiche certezze cementate in quasi un secolo di vittorie.

Percorso non semplice

Il ct, già domenica aveva fatto quadrato intorno a sé stesso, dicendo che era pronto a ripartire in vista di una qualificazione Mondiale che non sarà affatto semplice per l’Italia: una parte del perché l’abbiamo vista tutti sabato pomeriggio; l’altra si tende a sottovalutare, come gli azzurri sottovalutarono la Svezia nel playoff del Mondiale 2018, poi la Svizzera nel girone di qualificazione di Qatar 2022 e infine la Macedonia del Nord, che fece fare brutta figura anche a Donanrumma, uno dei due (assieme a Calafiori, sabato assente per squalifica) a uscire con la reputazione intonsa, anzi, perfino accresciuta, da quest’ultima eliminazione. Vero che ai Mondiali del 2026 ci saranno 48 squadre, ma all’Uefa sono stati assegnati solo tre posti in più rispetto all’ultima edizione. Erano 13, ora diventano 16, e per far capire all’Italia in che rischio si sta cacciando basta ricordare come è diventata la sedicesima del lotto, con un gol all’ultimo respiro.

Ieri, nel ritiro di Isrerlohn, Spalletti ha ribadito con maggior forza i concetti già espressi dopo la partita con la Svizzera, rinfrancato dalla chiacchierata con il presidente della Federcalcio Gravina che gli ha dato l’opportunità di continuare. Certo è che, salvando Spalletti, Gravina ha salvato anche sé stesso: e se Spalletti qualche alibi ce l’ha, Gravina no. C’è infatti solo una cosa peggiore dell’Italia in campo, quella delle poltrone che contano, affidate a questi Scrooge arrivati dal passato fin dalla faccia, interessati alle cose grette a cui vogliono arrivare per scorciatoie. Se mai c’è qualcuno che ha un’idea in meno dello Scamacca e del Barella di sabato, quello è Gravina. Dalla Lega Serie A alla Figc il conservatorismo e gli interessi di contrada la fanno da padrone, pretendere che sbuchi sempre una generazione di fenomeni come quella dei Buffon, Pirlo, Cannavaro e Totti a ricoprire con una patina d’oro la loro paccottiglia è puro pensiero magico. In realtà l’Italia, dopo il flop del Mundial 1986 e la giovane squadra ricostruita da Vicini nel 1988 (che comunque arrivò in semifinale in un Europeo, proprio in Germania) ha sempre avuto una squadra da podio fino al 2008: poi si è rotto qualcosa.


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Un Europeo da dimenticare

Una Nazionale in caduta libera

Chi oggi dice che è il punto più basso della Nazionale italiana forse dimentica il Mondiale 2010, in cui Lippi portò i reduci della Coppa del Mondo a schiantarsi contro Slovacchia, Paraguay e Nuova Zelanda (due punti in tre gare). Poi arrivò Prandelli a raddrizzare la barca, almeno per un po’, da lì una discesa in picchiata con quel rimbalzo inatteso che ha portato gli azzurri di Mancini, tre anni fa, ad alzare a Wembley una coppa oggi già sepolta da una serie di gare e atteggiamenti indecenti. L’impressione è che sarebbe bastato molto meno di questa bellissima Svizzera per spingere giù l’Italia.

Spalletti dice di meritare un secondo giro di giostra perché non ha avuto “20 partite come gli altri ct” subentrando a Mancini a qualificazioni iniziate. E lui, che è un costruttore di squadre, non un assemblatore, ha effettivamente bisogno di tempo. Chi oggi, in Italia, fa il Robespierre e spinge Allegri, Ancelotti o addirittura Mourinho, dimentica come i successi di certi allenatori li hanno fatti soprattutto i campioni. E l’Italia, al momento, non ne ha. Si vada avanti con Spalletti, anche perché indietro, più di così, difficilmente si potrà andare.


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Spalletti in conferenza stampa