Sempre più netto il dominio del britannico della Uae sul Tour de Suisse, che giovedì ha celebrato un tappone di montagna tutto ticinese
Meteo clemente e grande affluenza di pubblico hanno fatto da cornice al tappone tutto ticinese del Tour de Suisse (5a frazione), 148,6 km con partenza da Ambrì (starter Daniele Grassi dell’Hcap) e arrivo a Carì, con digressioni in Riviera, Bellinzonese e Blenio. A conquistare il successo è stata la maglia gialla Adam Yates (britannico della Uae), che ha preceduto tutti al termine di una tremenda salita – da Faido – paragonata a quella dell’Alpe d’Huez. Secondo posto, staccato di una decina di secondi, un altro uomo Uae, il portoghese Almeida, scudiero fantastico del suo capitano. Terzo posto per Egan Bernal (Ineos).
La lunghissima fuga di giornata, che ha visto protagonisti fra gli altri Rubio e Lutsenko, è terminata a 11 km dal traguardo, dopo i primissimi tornanti dell’ultima salita. A quel punto è iniziata un’altra corsa: il gruppo ha presto cominciato a sfilarsi, ovviamente con Yates nelle prime posizioni, ben supportato dai suoi compagni di squadra della Uae – specie Almeida –, capaci di accumulare un certo margine su tutti gli altri. A 1,5 km dal traguardo, Yates se n’è andato via di forza marcato solo da Mas, dato che anche Bernal è stato costretto a cedere. Alla fine anche Mas si è arreso, e Yates è andato a trionfare tutto solo, ponendo un’enorme ipoteca sulla conquista del Tour.
«Sono molto felice per come è andata oggi, una giornata ancor più difficile di quella di ieri. Proseguiamo nel nostro intento, cioè mantenere la maglia gialla fino al termine della corsa», Yates ha commentato subito dopo il suo successo leventinese.
Nella generale, Yates – in giallo da mercoledì dopo la tappa del San Gottardo – rafforza la leadership: il vincitore del Romandie 2023 comanda con 35" sul compagno Almeida e 1’11“ su Bernal. Mas è a 1’49” e Riccitello a 1’52”. Il migliore degli svizzeri è il grigionese Matteo Badilatti, 16° a 4’33”.
Nel parterre, in attesa della conclusione della frazione, abbiamo fatto due chiacchiere con Mauro Gianetti, vicecampione del mondo nel 1996, vincitore di corse monumento e oggi dirigente numero 1 della Uae, attualmente la più importante squadra del mondo. Gli chiediamo subito se fosse previsto che la maglia gialla di Yates giungesse già nella tappa di mercoledì, sul Gottardo. «Beh, noi siamo venuti al Giro della Svizzera per provare a vincerlo. Forse, nelle intenzioni, la tappa per piazzare la zampata e impossessarci della maglia sarebbe stata quella di oggi, che è davvero dura. Invece di attaccare, dunque, oggi dovremo correre in modo diverso, perché la maglia ce l’abbiamo già ed è da difendere. E lo faremo ogni giorno, fino alla fine. La nostra squadra è di buon livello, direi che siamo sulla buona strada». Vogliamo gettare un occhio già verso il Tour de France? In fondo non mancano molti giorni (29 giugno) all’inizio della Grande Boucle, che rientra ovviamente fra i vostri obiettivi dichiarati: tutti si aspettano, dopo il successo al Giro d’Italia, che Tadej Pogacar centri la doppietta... «Vedo che Adam Yates e Almeida stanno bene, così come i corridori che abbiamo mandato al Delfinato. Arriveremo al Tour con una squadra molto forte. Tadej sta bene, sta recuperando bene dalle fatiche del Giro d’Italia. Sarà un Tour de France tiratissimo, ci saranno molti atleti di alto livello, e il lavoro da fare sarà enorme. Crediamo molto nella doppietta, ci crediamo già dallo scorso inverno: per ora siamo a metà dell’opera. Sarà una strada tortuosa, ma come detto, ci crediamo».
Visti i risultati al termine della tappa, immaginiamo che Gianetti possa ritenersi soddisfatto, così come contento per lo svolgimento dell’impegnativa giornata è pure l’ex consigliere di Stato Gabriele Gendotti, punto di riferimento del comitato locale, che ha così commentato: «Giornata di festa per tutti, molti volontari si sono messi a disposizione, tutto è funzionato bene, salvo qualche piccolo disguido stamattina. Dopo la buona esperienza del 2016, il Tour ha voluto tornare volentieri qui da noi, dove sapeva di trovare un’organizzazione ormai collaudata. Per noi è una spesa, ma va vista come un investimento: le immagini della nostra località andranno davvero in tutto il mondo, e dunque non abbiamo dubbi che, sul lungo periodo, ci sarà certamente un ritorno».
Quando ho visto gli striscioni pubblicitari per la prima volta – l’altroieri in cima al Passo del San Gottardo – ho creduto di essere vittima di allucinazioni, forse figlie del mal di montagna. Ma, rivedendole ieri a quote meno estreme, ho dovuto convincermi che era tutto vero: uno degli sponsor del Tour de Suisse è un vino francese... senza alcol! Ripenso ad Antoine Blondin, fra i migliori romanzieri del secondo Novecento, che per una trentina d’anni (dal 1954 al 1982), nel mese di luglio, qualsiasi cosa stesse facendo, mollava tutto e si aggregava al Tour de France per raccontarlo, magistralmente, ai lettori dell’Equipe. E il pensiero va ovviamente anche a Mario Soldati, Giovanni Arpino, Gianni Brera e più di recente Gianni Mura, che facevano altrettanto per conto delle testate italiane. Tutta gente che, nel compiere il proprio lavoro, non mancava mai di nominare (e lodare, quando era il caso) le migliori bottiglie e i migliori vitigni delle terre che le corse attraversavano, divulgando in questo modo cultura ed educazione, nel senso più ampio. Inconsolabile per la dipartita di questi fuoriclasse della carta stampata, sono però felice che a loro non sia toccato in sorte di vedere i tracciati di gara pavesati con marchi di vini che tali non sono. Il mercato, per carità, è libero, ma questa è una cosa che in bocca lascia un sapore strano, proprio come succede – mi dicono – coi vini privi di alcol. Gli eccellenti organizzatori della tappa, in sede di presentazione, avevano definito Carì la Sankt Moritz ticinese: la battuta è così spassosa da garantire che costoro, per fortuna, invece di far capo a queste nuove bibite indecenti, continuano a servirsi presso le mescite gestite dal buon vecchio Bacco.