Dopo le aggressioni ai tifosi del Maccabi giovedì scorso ad Amsterdam, stasera in una Parigi militarizzata si gioca un match dalle mille implicazioni
Quasi esattamente un mese fa il Ct dell’Italia, Luciano Spalletti, ha detto una cosa potente di cui però si sono accorti in pochi. «Penso che ci siano molti israeliani che non vogliono la guerra e noi dobbiamo giocare su quelli. Bisogna convincere qualcuno in più che questa è una storia che deve finire».
Spalletti parlava al Tg1, quindi teoricamente al pubblico più vasto possibile in Italia, eppure quella frase è uscita dalla televisione senza far rumore. Il pubblico italiano, infatti, era preso a discutere del possibile patrocinio concesso dal comune di Udine alla partita di Nations League contro Israele, mentre quello israeliano – secondo un recente sondaggio condotto dall’Israel Democracy Institute effettivamente composto per oltre la metà da persone che non vogliono più la guerra – forse semplicemente non guarda il Tg1 (come biasimarlo).
In ogni caso, le parole di Spalletti sono cadute nel vuoto e un mese dopo, mentre l’invasione israeliana della Striscia di Gaza va avanti e i timori di una possibile escalation regionale sono diventati realtà, Israele torna in campo in Europa, in condizioni ancora più difficili.
In terra di Francia, che ospiterà la Nazionale israeliana allo Stade de France stasera, la situazione si era complicata ancora prima delle aggressioni subite giovedì scorso dagli ultras del Maccabi Tel Aviv ad Amsterdam. Mercoledì sera, mentre ad Amsterdam iniziavano le prime tensioni tra gli ultras del Maccabi e i tassisti locali, a Parigi, per la partita di Champions League contro l’Atletico Madrid, la curva del Psg iniziava a srotolare un’enorme coreografia che avrebbe fatto discutere molto.
La scritta ‘Free Palestine’ con la I a forma di territorio israeliano coperta da una kefiah, un bambino di spalle vestito con la bandiera libanese, la raffigurazione della moschea di Al-Aqsa nella parte occupata di Gerusalemme, e quello che sembra un guerrigliero con il volto coperto. Sotto, una scritta in francese piuttosto chiara: ‘Guerra in campo, ma pace nel mondo’. Il gruppo della curva del Psg che ha organizzato la coreografia, il Collectif Ultra Paris, durante la partita ha poi srotolato un altro striscione: ‘Davvero la vita di un bambino a Gaza vale meno di un’altra?’.
A Parigi ci si è subito iniziati a interrogare se il Psg potesse incorrere in una sanzione da parte della Uefa, che teoricamente vieta ogni simbologia politica sugli spalti durante le sue partite. Lo scorso anno il Celtic era stato multato per poco meno di ventimila euro perché i suoi tifosi avevano sventolato alcune bandiere palestinesi durante una partita di Champions League, ma qui eravamo di fronte a qualcosa di molto più grosso. Una coreografia che il presidente del consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia ha definito ‘scandalosa’ e ‘intollerabile’.
Inaspettatamente, però, la Uefa ha scelto di lavarsene le mani e ha deciso, attraverso le parole di un suo portavoce, che la coreografia «non può essere considerata provocatoria o offensiva». Le autorità francesi, intenzionate a fare dell’accaduto un esempio, non si sono però arrese. Il giorno dopo il ministero degli Interni di Parigi ha deciso di convocare il direttore generale del Psg, che già aveva fatto sapere di non essere stato informato della coreografia, e il presidente della Federazione francese di calcio, la quale però non poteva essere considerata responsabile per una partita di coppa continentale. Legalmente è sembrato da subito difficile poter fare qualcosa.
«Voglio ripetere il mio totale disaccordo con il comunicato della Uefa – ha dichiarato qualche giorno dopo il ministro degli Interni, Bruno Retailleau, di fronte alla sua impotenza –. È in totale contraddizione con i valori dello sport e dell’universalismo, che ci permettono ancora di unire le persone».
Nel frattempo, per la Francia il problema si era ingigantito come un’ombra al tramonto. Cosa fare con la partita di Nations League contro Israele dopo le aggressioni agli ultras del Maccabi ad Amsterdam? Ancora prima della coreografia del Psg, i movimenti francesi a sostegno della causa palestinese avevano chiesto l’annullamento della partita, in una sorta di boicottaggio preventivo di una Federazione su cui aleggia ancora oggi una possibile sospensione da parte della Fifa.
La Federazione palestinese accusa infatti l’esercito israeliano di aver ucciso durante l’invasione della striscia di Gaza decine di propri atleti, raso al suolo quasi tutti i suoi stadi, trasformando in un campo di prigionia uno dei pochi rimasti in piedi, oltre al fatto che da anni ormai le organizzazioni sportive israeliane schierano nei propri campionati squadre di territori palestinesi occupati illegalmente dai coloni. «Adottando un criterio rigidamente giuridico», ha scritto lo storico dello sport Nicola Sbetti, «una sanzione nei confronti dello sport israeliano potrebbe essere pienamente giustificabile».
A inizio ottobre, però, la Fifa ha rimandato per l’ennesima volta questa decisione, che la Federazione palestinese aveva provato a mettere ai voti durante il suo 74esimo congresso, addirittura a maggio. Nel frattempo le atrocità nella striscia di Gaza continuano ad andare avanti e solo ieri secondo Al Jazeera altri 63 palestinesi sono morti per via degli attacchi dell’esercito israeliano.
Per la Francia, la questione politica intorno a questa partita si lega a doppio filo a quella della sicurezza. Il Paese contiene allo stesso tempo la più grande comunità ebraica d’Europa e la fetta di popolazione di origine araba più grande del continente, e rimanere in equilibrio tra queste due realtà dopo i fatti di Amsterdam sembra sempre più difficile.
«Siamo in Francia», ha ricordato Bruno Retailleau a chi gli chiedeva se la gara si potesse giocare a porte chiuse, o addirittura in un altro Paese, come ha fatto per esempio il Belgio a settembre, quando ha deciso di trasferirla in Ungheria (proprio lassù, e a porte chiuse, si giocherà anche la partita di Europa League del 28 novembre tra Besiktas e Maccabi Tel Aviv). E in Francia – il Paese dell’Illuminismo, dell’uguaglianza, dello stato di diritto – «anche una partita con Israele deve potersi tenere in normali condizioni».
Tutto sta nel capire cosa significhi: normali condizioni. La partita si giocherà allo Stade de France, come previsto, ma in un ambiente completamente militarizzato e con un’affluenza prevista piuttosto bassa proprio per via delle tensioni degli ultimi giorni.
Secondo Le Parisien, allo stadio dovrebbero presentarsi circa ventimila spettatori, di cui circa 150 israeliani nel settore ospiti, nonostante l’invito esplicito da parte del governo Netanyahu ai propri cittadini di evitare qualsiasi evento sportivo o culturale in Europa per tutta questa settimana. Una presenza importante per una partita la cui rilevanza simbolica ha messo ormai totalmente in ombra quella sportiva.
Per il presidente Macron, che sarà sugli spalti, per esempio potrebbe essere l’immagine di una Francia forte, imparziale e tollerante quella in grado di avere una voce nel conflitto più antico e complicato del mondo, in un’Europa in cui le cose lentamente stanno cambiando per lo Stato di Israele.
A maggio la Spagna, la Norvegia e l’Irlanda hanno deciso di riconoscere lo Stato palestinese, scatenando la reazione diplomatica israeliana, mentre la Francia, pur rimanendo sulle proprie posizioni, ha provato a utilizzare il proprio peso negoziale. Il capo della diplomazia francese ha detto che il riconoscimento della Palestina «non è un tabù», e che rimane convinto che si possa arrivare alla soluzione dei due Stati, ma allo stesso tempo Macron ha chiesto al presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmūd Abbās, «riforme essenziali» per ottenerlo.
È un’immagine, questa, che però prevede due parti più o meno equivalenti in causa, che al momento nella realtà dei fatti non esiste. Non solo fuori dalle organizzazioni internazionali, dove la Palestina di certo non può definirsi un vero e proprio Stato, ma anche in Francia, dove possiamo vedere riflessa la disparità di un contesto senza cui è impossibile capire il conflitto in corso.
Mentre allo Stade de France non saranno ammesse bandiere palestinesi, oggi a Parigi, invitato da alcuni movimenti israeliani di estrema destra, arriva il ministro delle finanze dello Stato di Israele, Bezalel Smotrich. Un uomo che vive in una delle colonie israeliane nella parte occupata della Cisgiordania, illegali secondo il Diritto internazionale, e secondo il quale «il popolo palestinese non esiste».